ROMA «Nel nuovo piano strategico che presenteremo, come ogni anno, a marzo, le aree di crescita saranno le reti, le fonti rinnovabili, senza tralasciare una quota di generazione tradizionale in America Latina, e i servizi innovativi per i clienti finali, soprattutto in Europa. Numeri non posso darne, li stiamo ancora definendo». Francesco Starace, da maggio, amministratore delegato e direttore generale dell’Enel, si prepara al brindisi di fine anno. E’ l’occasione per tracciare un bilancio sulle mete raggiunte nel 2014 e sui nuovi obiettivi in vista del piano strategico che sarà presentato a marzo 2015, il primo a portare la sua firma. Ma anche per spiegare la nuova impronta che sta progressivamente imprimendo all’Enel: dalla profonda riorganizzazione avviata, al cambiamento del perimetro industriale, allo scioglimento del nodo sul debito.
Si avvicina il 31 dicembre, è il momento di fare i conti. Il mercato aspetta 4 miliardi di cessioni per riportare l’indebitamento finanziario del gruppo tra i 39 e i 40 miliardi. Obiettivo raggiunto?
«La vendita del 22% di Endesa ha portato 3,1 miliardi. A questo dobbiamo aggiungere le dismissioni delle partecipazioni nell’idroelettrico in Alto Adige, quelle nelle rinnovabili in Francia e della quota in La Geo in Salvador, realizzata venerdì. Ci siamo, l’obiettivo è raggiunto. E siccome la cessione di Slovenske Electrarne e delle attività di distribuzione in Romania avverrà nel corso del 2015, aggiungo che andremo anche oltre».
Bastano le dismissioni? Standard & Poor’s ha confermato il rating BBB di Enel che ha ”battuto” il Tesoro. Ma 39 miliardi sono tanti, come si governa un debito così alto?
«Enel sarà capace di generare, a fine anno, un Ebitda di oltre 15 miliardi. Un debito di 2 volte e mezzo l’Ebitda è del tutto in linea con i nostri principali competitor. Perché il debito dovrebbe scendere ancora? Lo chiede il mercato, perché finora ha messo in dubbio che fossimo in grado di garantire stabilmente questo livello di redditività. Ma noi vogliamo convincerlo che siamo perfettamente capaci di farlo; per questa ragione, abbiamo cominciato, prima di tutto, con la separazione di Spagna e America Latina, portando quest’ultima sotto il nostro diretto controllo. Poi, per rendere trasparente e intellegibile la nostra azione agli analisti e agli investitori, abbiamo inciso sulla complessità organizzativa che ci ha caratterizzato per anni. Da 30 centri di decisione autonomi, con molte sovrapposizioni, siamo passati a 5 divisioni globali: reti, rinnovabili, generazione convenzionale, trading, a cui si affianca l’attività di esplorazione gas. Per i clienti, che per loro natura hanno una connotazione locale, con abitudini e sistemi regolatori diversi, abbiamo creato una seconda dimensione dell’organizzazione, geografica, con quattro aree: America Latina, Est Europa, Iberia e, grande novità, l’Italia. Qui si gestiscono i flussi di cassa, nelle divisioni globali gli investimenti. La stessa operazione, in Enel Green Power, ha già portato risparmi per circa il 10% sugli investimenti in manutenzione. Investimenti che, a livello di gruppo, assorbono i due terzi dei 26 miliardi di investimenti complessivi programmati nel quinquennio 2014-2018. E’ un errore. Interverremo anche su questo, si tratta di molti soldi».
Quanti?
«Almeno 1,6 miliardi che possono essere destinati alla crescita, a dare maggiori dividendi e, se necessario, a ridurre il debito. Ecco perché la semplificazione è la base su cui poggerà il nuovo piano industriale che presenteremo ai mercati nel 2015».
Serviranno anche numeri in grado di convincere il mercato…
«Per molti, forse troppi anni, abbiamo vissuto una sorta di “disconnessione” tra i nostri scenari e quelli della comunità di analisti e investitori che ci seguono. Abbiamo deciso di sciogliere questo nodo. Come? Allineando le nostre stime a quelle del consensus. I numeri? Il punto di equilibrio tra redditività e debito sarà il frutto dei conti che stiamo facendo e che presenteremo a marzo».
L’Enel sta cambiando anche il suo profilo industriale: con l’uscita da Slovacchia e Romania il nucleare è confinato alla Spagna, il carbone è in ridimensionamento dopo l’addio ai progetti su Porto Tolle, le rinnovabili aumentano il loro peso, mentre chiuderanno 23 vecchie centrali tradizionali. Sole e vento sono un business redditizio, incentivi a parte?
«L’Enel cambia perché cambia il mondo intorno all’Enel. Gli impianti che chiuderanno sono vecchi, non funzionano, non producono. E non lo abbiamo scoperto oggi. La dismissione di questi impianti non avrà alcuna ricaduta in termini occupazionali, andremo invece a valorizzare e utilizzare in maniera intelligente tutte le risorse. Le rinnovabili, invece, sono un punto di forza, di redditività certa. È questa sostenibilità economica ad aver orientato le nostre scelte sin dall’inizio, senza inseguire gli incentivi, ma puntando invece sui Paesi dove migliori sono le risorse, quali sole e vento, per intenderci, e dove siamo andati ad installare negli ultimi quattro anni altri 4 mila MW di capacità. In questo siamo stati dei precursori e siamo stati premiati, visto che gli incentivi sono finiti sotto esame ovunque: Germania, Spagna, Italia e, domani, lo saranno in Giappone. Ma c’è un altro cambiamento, non meno importante, che vede l’Italia in prima fila».
Qual è?
«Si tratta della digitalizzazione della rete di distribuzione, dei contatori e di tutti i suoi snodi, per renderla sempre più in grado di adattarsi al grande cambiamento rappresentato dall’energia rinnovabile. L’Italia è all’avanguardia a livello internazionale e, oggi, gran parte del Paese è smart a sua insaputa. Dopo essere stati i primi a installare i contatori elettronici, ora stiamo digitalizzando 13 milioni di contatori in Spagna e sostituiremo oltre 30 milioni di contatori in Italia, con modelli ancora più avanzati. Siamo un esempio di innovazione che possiamo esportare, in maniera vincente, all’estero».
Tirando le somme, l’azione Enel a 5 euro rispetto agli attuali 3,6-3,8 è un obiettivo raggiungibile? I tempi?
«L’obiettivo è nei nostri target, i tempi sono funzione di quanto velocemente stabiliremo la fiducia sull’accoppiata redditività-debito di cui abbiamo parlato prima».