In attesa che i vari “progetti” tecnici (prima Luis Enrique, ora Zeman) si tramutino in risultati sul campo, la Roma a stelle e strisce di James Pallotta un progetto concreto lo sta già per mettere a segno. A rivelarlo al Sole 24 Ore è stato lo stesso presidente americano: 200 milioni di euro per un nuovo stadio, tutto giallorosso, da costruire in una location ancora da stabilire, ma che vede in pole position l’area a ridosso dell’ippodromo di Tor di Valle.
L’annuncio potrebbe sembrare l’ennesima boutade tipica del calcio italiano, che sul discorso stadio ha un tabù sul quale si sbatte ormai da decenni in tutte le grandi città, in particolare su entrambe le sponde di Milano e Roma, e che solo la Juventus è riuscita a infrangere. Juventus che indirettamente è coinvolta anche in questo caso, visto che la società a cui gli americani di Roma hanno chiesto di selezionare le aree per costruire il nuovo impianto è la Cushman & Wakefield, che di statunitense ha solo il nome e qualche azionista, ma la proprietà è tutta italiana, e guarda un po’ indossa gli odiatissimi (dalle parti del Tevere) colori bianconeri: è la Exor degli Agnelli a cui fa capo il 70% della società di advisory immobiliare.
Questa volta dunque l’As Roma sembra voler fare sul serio, grazie alle motivazioni di una proprietà straniera (quindi abbiente e lontana dalla mentalità preistorica dello Stivale) e ambiziosa, al supporto di una società che ha già gettato con successo le basi per uno stadio di primissimo livello come lo Juventus Stadium, e persino alla benedizione del sindaco Gianni Alemanno, a rappresentanza di una classe politica che generalmente, tra vuoti legislativi e giochi di potere, è il primo dei bastoni fra le ruote: “Abbiamo atteso molto, ci sono state difficoltà e problemi di accordo tra i partiti, ma sono sicuro che almeno uno stadio verrà fuori entro la fine dell’anno”, ha pronosticato il primo cittadino del Campidoglio, alludendo anche alla possibilità che a muoversi sia per prima la Lazio.
I terreni individuati per l’attesissima struttura sono dunque tre: oltre al favorito Tor di Valle, di proprietà della famiglia Parnasi (alla quale nell’affare sarebbe anche offerta parte delle azioni ancora in mano al socio di minoranza Unicredit), che ha confermato la trattativa, sono in corsa l’area della Bufalotta di Claudio Toti e un’area industriale dismessa dall’Eni a Testaccio, quartiere che negli anni ‘30 ospitava il vecchio stadio (in cui la Roma però non conquistò il primo scudetto nel 1942: quella stagione si giocò nell’attuale stadio Flaminio).
Il gruppo petrolifero ha fatto tuttavia sapere che non ci sono trattative in corso per la cessione del terreno, il che però non esclude la possibilità che gli emissari di Pallotta si facciano comunque avanti con Paolo Scaroni. La decisione finale, in ogni caso, è attesa entro fine anno, al massimo a inizio 2013, e la costruzione, nelle intenzioni dei vertici giallorossi, entro il 2016.
Il calcio italiano potrebbe dunque vedere alla luce entro pochi anni un nuovo stadio di proprietà di un club, dopo lo Juventus Stadium inaugurato un anno fa (e nel quale la Juve non ha ancora perso una partita). L’evento dovrebbe però – si auspica – essere solo il secondo di una lunga serie, che contribuisca finalmente a risolvere, seppur gradualmente e budget e leggi permettendo, l’annoso problema dei bilanci delle società calcistiche italiane, che continuano a giocare in impianti disfunzionali, in alcuni casi anche fatiscenti, dai quali ricavano molto meno del 20% dei profitti (Milan 16% e Inter 15%, per esempio), mentre in Inghilterra e Germania gli stadi fruttano oltre un terzo del fatturato e i due club più ricchi del mondo, Real Madrid e Barcellona, hanno la proprietà del loro impianto e ne incassano rispettivamente 123 e 110 milioni di euro all’anno.
Risultati ai quali attualmente può aspirare solo la Juventus, il cui stadio a dire il vero non è neanche stato il primo esempio in assoluto Italia, e, per quanto avveniristico (polifunzionale, aperto tutti i giorni con negozi, bar, ristoranti, in pieno stile centro commerciale), neanche quello più all’avanguardia. Considerando infatti che il Giglio di Reggio Emilia fu costruito ben 16 anni prima, nel 1994, in soli 8 mesi e al costo di 25 miliardi di lire, non aveva nulla da invidiare agli stadi moderni. Anzi, il piccolo impianto da 30mila posti scarsi (poi ridotti a 20mila) era persino troppo avanti per quei tempi: aveva già tornelli (istituti formalmente solo con la legge Maroni del 2007 dopo l’omicidio a Catania dell’agente di polizia Filippo Raciti), biglietti nominali e telecamere di sicurezza. Un piccolo angolo di Inghilterra nel cuore dell’Emilia, e ben prima del faraonico Juventus Stadium, peccato però che nel 2005 la società granata sia fallita e abbia inserito lo stadio fra i beni del crac, ora in mano al curatore fallimentare.
E gli altri? Per ora, ancora al palo. A Milano il consorzio San Siro 2000 (ne fanno parte Inter e Milan al 50% ciascuna) , che da anni è al lavoro sul tema di un nuovo impianto, ha in gestione dal Comune lo stadio Giuseppe Meazza che però, per quanto abbia 4 stelle Uefa e sia stato inserito nel 2009 al secondo posto nella classifica del Times sugli stadi più belli al mondo, è sempre lo stesso: troppo grande per i canoni del calcio moderno, che tra diritti televisivi e abitudini diverse tende a prediligere impianti da 40 massimo 50mila posti (lo Juventus Stadium ne fa 41mila), poco funzionale e soprattutto ancora diviso tra due società.
Novità, almeno sulla sponda rossonera, potrebbero arrivare solo nel caso in cui si concretizzasse la trattativa tra la famiglia Berlusconi e il fondo del Qatar guidato dalla famiglia Al Thani (la stessa del Psg che in estate ha “saccheggiato” via Turati) per la cessione del 30% del Milan. In quel caso arriverebbero denari freschi per 250 milioni, abbastanza per valutare, fra le tante cose, anche la costruzione di un nuovo stadio.
Cosa che stanno pensando di fare anche il presidente nerazzurro Massimo Moratti, non si sa però bene dove e quando, e Claudio Lotito, patron dell’altra squadra di Roma, la Lazio, che ha in progetto da anni la Cittadella dello Sport biancoceleste, per la quale però servono soldi (“Dovremmo fatturare il doppio”) e novità incoraggianti dalla riforma che ora è al vaglio del Senato e che ancora, a giudizio di molti, presenta troppi vincoli per le società.
Dove invece gli stadi di proprietà sembrano ancora più lontani è a Napoli e Firenze. Il sindaco del capoluogo campano, Luigi De Magistris, ha promesso che entro la fine del suo mandato l’amministrazione avrà fatto di tutto per consegnare agli azzurri un nuovo stadio, ma il progetto sembra per ora ancora fumoso. Definitivamente tramontato invece quello dei Della Valle per la Cittadella Viola: non hanno ottenuto il via libera del Comune di Firenze.