E’ tornata la paura dello spread. Il differenziale tra i titoli decennali italiani (Btp) e i corrispondenti tedeschi (bund) sta ricominciando a salire. Nella giornata di lunedì 21 maggio, ha toccato i 190 punti base mentre i rendimenti sono schizzati a quota 2,409%, ai massimi dal 2014.
Un’impennata avvenuta mentre Luigi Di Maio e Matteo Salvini si recavano al Colle per fornire al presidente della Repubblica il nome del prossimo (forse) premier e dopo i moniti dell’agenzia di rating Fitch, che ha rilasciato un report sull’Italia nel quale si sostiene che il contratto di governo targato Lega-M5S “aumenta i rischi per il profilo di credito sovrano, in particolare attraverso un allentamento di bilancio e un potenziale danno alla fiducia”.
La realtà è che al momento la situazione sembra essere sotto controllo – siamo lontani anni luce dai 575 punti base raggiunti nel 2011 -, ma nonostante i leader dei due partiti continuino ad ignorare ciò che sta accadendo sui mercati, lanciando messaggi infuocati all’Ue, sottovalutare i movimenti dello spread potrebbe essere un errore.
La salita del differenziale tra Btp e Bund, a prescindere dal “livello”, non è mai una buona notizia e rappresenta ad oggi un campanello d’allarme che va ascoltato proprio per evitare di minare la “sostenibilità” del nostro debito.
LO SPREAD SALE: QUALI SONO I RISCHI PER LO STATO?
La Banca centrale Europa stabilisce dei tassi ufficiali identici per tutti i paesi della Zona euro. Mensilmente decide il da farsi: attualmente i tassi sono ai minimi per tutti da diverso tempo nell’ambito di quel quantitative easing lanciato nel 2015, con il quale l’Eurotower crea moneta e la utilizza per acquistare titoli finanziari dalle banche, allo scopo di stimolare l’economia degli Stati Membri, consentendo loro di mettersi alle spalle la crisi.
Lo spread è legato a filo doppio ai rendimenti, che rappresentano l’ammontare degli interessi che lo Stato deve pagare sui titoli di Stato. A parità di tassi ufficiali quindi, se spread e rendimenti salgono (come sta accadendo adesso, ma soprattutto come accaduto nel 2011), l’Italia sarà dunque costretta a pagare interessi più alti sul debito rispetto alla Germania perché viene considerata dai mercati “più a rischio” o, come nel caso odierno, “meno affidabile”.
Se, al contrario, spread e rendimenti scendono e si mantengono bassi per un certo periodo di tempo (non basta il saliscendi giornaliero), lo Stato risparmia dei soldi che in teoria potrà utilizzare per qualcosa di più “utile”.
LO SPREAD SALE: I RISCHI PER BANCHE E IMPRESE
A questo punto occorre però chiarire un aspetto importante: l’andamento dello spread non riguarda solo lo Stato o l’alta finanza, come credono in molti – o ancora meglio: come lasciano credere molti politici – ma ha ripercussioni tangibili anche sull’economia reale e quindi sulla vita di ogni cittadino.
Se sale il differenziale, non è solo lo Stato a pagare interessi più alti sul debito, ma anche le banche pagheranno interessi più elevati per finanziarsi sui mercati. Gli istituti di credito italiani hanno in pancia molti, moltissimi, titoli di Stato Italiani. Se il rischio su questi ultimi cresce, cresce anche quello sugli istituti. Viceversa se spread e rendimenti si abbassano le banche reperiranno soldi più facilmente e, dato che tutto è collegato, presteranno soldi a famiglie e imprese non solo più facilmente, ma anche e soprattutto a tassi più bassi.
Passando dalla teoria alla pratica, l’esempio più eclatante è proprio l’Italia. Come spiega il Sole 24 Ore, nel 2011, con la cosiddetta crisi dello spread, il costo del debito a breve termine è aumento di 80 punti base che tradotti in euro diventano 15 miliardi di oneri finanziari aggiuntivi. Parallelamente le banche hanno concesso meno credito alle aziende, compromettendone redditività e investimenti, e alle famiglie: meno mutui e con tassi d’interesse più alti.
Lo spread non sarà dunque la prima cosa a cui pensare mentre facciamo colazione la mattina, ma sicuramente ignorarlo rappresenta uno sbaglio molto, molto grosso.
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tutte speculazioni finanziare a vantaggio di pochi.