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Spread, Grecia meglio dell’Italia: i bond di Atene sono meno rischiosi. Rapporto Osservatorio Conti pubblici italiani

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La Grecia va meglio dell’Italia. Il sorpasso riguarda una performance economica greca che da qualche anno è migliore di quella italiana in termini di crescita del Pil, di velocità nella riduzione degli squilibri di finanza pubblica, di capacità di attrarre investimenti esteri e di credibilità dell’azione di governo. Non solo, anche sul mercato dei titoli di Stato è avvenuto (di nuovo) il sorpasso Roma-Atene. Ma in che modo la Grecia è fuoriuscita dalla crisi che ha messo l’euro a rischio? Lo spiega uno studio del Cpi, l’Osservatorio sui Conti pubblici italiani dell’Università Cattolica guidato da Giampaolo Galli.

Spread: il sorpasso della Grecia

Dal maggio scorso il rendimento dei titoli di Stato ellenici è inferiore a quello degli analoghi titoli italiani. Non è la prima volta che accade, ma in passato il fenomeno si è manifestato per singole emissioni, con differenze contenute e durate relativamente brevi. Ora invece siamo di fronte a differenze notevoli che durano da molti mesi. Guardando allo spread dei titoli decennali rispetto ai Bund tedeschi sia l’Italia che la Grecia hanno migliorato la performance nell’ultimo anno, ma il miglioramento di Atene è stato molto più forte: ben 139 punti base a fronte di 60 punti base in Italia.


Il “sorpasso” della Grecia sull’Italia non riguarda solo i titoli decennali, ma tutte le scadenze (Fig. 2): eccetto per i titoli a scadenza di 1 mese (molto volatili per mancanza di un mercato liquido), i titoli greci hanno un rendimento minore di quelli italiani di circa 40-50 punti base.


Come è possibile?

Leggendo i rapporti delle istituzioni internazionali, nonché quelli delle agenzie di rating, appare evidente che molte riforme fatte in seguito alla crisi del debito nel 2010 stiano dando adesso risultati positivi dopo aver comportato grandi costi economici e sociali nei primi anni.

Secondo Cpi, non va sottovalutato però che la gran parte del debito pubblico greco non sta sul mercato (Fig. 3) ma è detenuto dalle istituzioni europee (essenzialmente il Mes) e che tale debito ha scadenze lunghissime (la vita residua media del debito greco è attorno ai 17 anni) e tassi molto bassi (in media 1,2%) e soprattutto fissi. Ciò significa che, per la Grecia, l’aumento dei tassi di interesse della Bce ha un impatto modesto sul costo medio del debito.


Ma la circostanza che gran parte del debito è detenuto dal Mes non è sufficiente a spiegare il successo greco. Ci sono altri fattori che stanno consentendo alla Grecia di lasciarsi alle spalle il titolo di Paese più indebitato dell’Ue (in termini percentuali), lasciando il triste primato all’Italia.

I dati del successo greco

A conti fatti, le grandi riforme che hanno cambiato il volto della Grecia sono state fatte dopo la crisi del debito (2010). La Fig. 4 mostra come il Pil della Grecia crescesse molto più di quello dell’Italia fino al 2010 e come sia crollato durante la crisi del debito (2010-2012), in seguito alla scoperta che i dati del deficit e il debito greco erano stati falsificati.


In seguito, e per molti anni, la crescita della Grecia è stata piuttosto piatta, come quella dell’Italia. Le cose cambiano attorno al 2019 quando c’è stato il primo sorpasso. Fatto 100 il Pil del 2015, nel 2022 la Grecia stava a 109 e l’Italia a 105. Nelle proiezioni dei piani di stabilità nazionali, nel 2026 la Grecia arriverebbe a quota 121 e l’Italia a 110. È comunque un fatto che il rimbalzo post-Covid è stato più forte in Grecia che in Italia: dopo una caduta del 9% in entrambi in Paesi nel 2020, la crescita cumulata del triennio 2021-2023 è stimata al 17% in Grecia e al 12% in Italia. Nel 2022, ultimo anno di cui è disponibile il consuntivo, la crescita è stata del 5,9% in Grecia e del 3,7% in Italia.


La Fig. 5 racconta la storia della Grecia dal punto di vista del bilancio pubblico. Come si vede, l’eredità degli anni precedenti al 2010 è pesantissima, ma la correzione è stata incredibilmente rapida. Per conseguire questo risultato il governo, presieduto da Antonis Samaras di Nuova Democrazia e con il sostegno del Pasok, realizzò tagli drastici alla spesa sociale e aumenti di imposte. È di questo periodo anche la ristrutturazione del debito greco, che si realizzò nel 2012. L’aggiustamento continua e nel 2016 il bilancio arriva al pareggio; fra il 2016 e il 2019 si registra un piccolo avanzo. Nell’anno della pandemia il bilancio segna un deficit uguale a quello dell’Italia (-9,7%), ma negli anni successivi l’aggiustamento è sorprendentemente rapido. Già nel 2022 il deficit è ridotto al 2,3% del Pil; nelle previsioni del governo greco dovrebbe tornare in pareggio entro il 2026.


Il rapporto debito/Pil (Fig. 6) si impenna negli anni della crisi sale ancora nel 2020 e scende molto velocemente successivamente: dal 206% del Pil al 171% nel consuntivo 2022 e al 163% nei preconsuntivi 2023. Secondo il programma del governo greco, il rapporto debito/Pil greco scenderà sotto quello dell’Italia nel 2026. Stando ai rapporti del FMI e della Commissione europea, una buona parte della riduzione del deficit è dovuta a un allargamento della base imponibile e alla contemporanea riduzione delle aliquote. Un ruolo importante è stato svolto anche dalle azioni per valorizzare il patrimonio pubblico, le liberalizzazioni e le privatizzazioni.

A loro volta le privatizzazioni e l’accresciuta fiducia nelle prospettive della Grecia hanno generato un fortissimo aumento degli investimenti diretti esteri. Come si vede dalla Fig. 7, per molti anni gli investimenti diretti in entrata sono stati molto modesti (attorno all’1% del Pil), come in Italia. Negli ultimi anni, vi è stato uno scatto verso l’alto fino al 3,5% del Pil nel 2022.


Le riforme del mercato del lavoro

Un ruolo cruciale è stato quello delle riforme del mercato del lavoro. In Grecia, come anche in Italia, sono state fatte molte riforme, spesso incomplete e non infrequentemente cancellate dai successivi governi. Un recente paper del FMI identifica alcuni passaggi fondamentali che possono spiegare perché il costo del lavoro che nei primi anni Duemila era cresciuto a ritmi incompatibili con la produttività si sia riallineato negli anni successivi. Come mostra la Fig. 8, negli anni Duemila, il costo del lavoro per unità di prodotto (Clup) in Grecia ha avuto una perdita secca di competitività verso i partner europei. Anche in Italia il Clup è salito troppo in quegli anni, ma meno che in Grecia. Negli anni successivi, fino al 2019, vi è stato un riallineamento che ha portato il Clup della Grecia su valori compatibili con quelli dell’Eurozona.


Un rapporto del Fondo Monetario – scritto nel 2019 – sottolinea alcuni aspetti delle riforme che furono introdotte fra il 2011 e il 2012:

  1. Contrattazione collettiva. Nel 2011 furono introdotte una serie di riforme volte a incentivare la contrattazione aziendale, in luogo di quella nazionale.
  2. Licenziamenti. Fu aumentato il numero di dipendenti necessario per qualificare un licenziamento come collettivo e in quanto tale meritevole di protezioni aggiuntive.
  3. Digitalizzazione. La digitalizzazione delle notifiche per cambiamenti di orari, turni di lavoro, assunzioni, licenziamenti comportò una notevole flessibilizzazione del sistema.
  4. Taglio del salario minimo e degli stipendi pubblici. Nel marzo del 2012, il salario minimo fu tagliato del 22% per la generalità dei lavoratori e del 32% per i giovani sotto i 25 anni. Furono aboliti gli scatti di anzianità e alcune indennità. Nel luglio del 2013, la riduzione del salario minimo fu applicata anche all’intero settore pubblico. Queste decisioni furono modificate solo nel 2018, alla fine del programma di aggiustamento.

È anche importante notare che nei primi anni Duemila le partite correnti della bilancia dei pagamenti peggiorarono fino al 13 del Pil nel 2008 (Fig. 9). Dunque, un riallineamento dei costi del lavoro in funzione della produttività era assolutamente necessario.


Negli ultimi anni il problema del deficit esterno si è riproposto con forza: le partite correnti sono peggiorate fino all’8% del Pil nel 2022. È anche estremante negativa la posizione netta sull’estero (stock), perché le passività del Paese (del settore privato più il settore pubblico) superano di gran lunga le attività. È possibile che questi deficit esterni siano la controparte e la conseguenza fisiologica della capacità di Atene di attrarre capitali dall’estero, ma è difficile non vedere in questo un punto di vulnerabilità della Grecia di oggi, e tale è considerato nei rapporti delle organizzazioni internazionali.

Le mancate riforme del mercato dei beni

Durante gli anni del governo di Tsipras furono fatte moltissime riforme volte a liberalizzare e/o privatizzare le attività economiche. Al di là dei singoli casi, spiega l’Osservatorio, il giudizio che emerge è che le riforme dei mercati di beni e servizi furono fatte senza la necessaria convinzione e non furono sufficienti.

Il programma delle liberalizzazioni fu portato avanti dal governo che si formò dopo le elezioni politiche del luglio 2019, che videro la vittoria del leader di Nuova Democrazia, Kyriakos Mitsotakis.

I fattori politici

È anche importante ricordare due fattori politici che hanno fatto una notevole differenza negli ultimi anni. Il primo è che il nuovo premier ha una forte autorevolezza personale. Mitsotakis conosce bene il linguaggio dell’economia, sa cosa è fattibile e cosa non lo è, non indulge in posizioni estreme o comunque populiste. Da questo punto di vista può essere in qualche misura accostato a Mario Draghi, con l’importante differenza che Mitsotakis è un leader politico e ha vinto le elezioni per due volte di seguito.

Un secondo fattore importante è che nel 2020, poco dopo la vittoria del 2019, Mitsotakis fece approvare una riforma elettorale con premio di maggioranza che è servita a dare stabilità al governo greco. In sostanza ripristinò, rafforzandolo ulteriormente, un sistema che era in vigore prima che nel 2016 Tsipras introducesse un sistema puramente proporzionale con soglia di sbarramento al 3%. Senza la nuova legge, il partito di Nuova Democrazia non avrebbe avuto la maggioranza dei seggi nelle elezioni di giugno 2023, e oggi sarebbe costretto a formare governi di colazione. Infine, Roma e Atene hanno la possibilità di giocare la carta del Pnrr, in modo da poter far respirare le rispettive economie. La Grecia, però, sembra essere riuscita a trovare un sistema per trasformare i fondi europei in spinta maggiore per far crescere l’economia. Mentre l’Italia deve affrontare non pochi problemi: l’incapacità di spendere, il desiderio di un nuovo governo di cambiare i progetti e la scarsa attenzione alle riforme.

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Categories: Economia e Imprese