Ma quant’è bello procedere controcorrente sulla barca guidata da Mario Draghi. Anche venerdì mattina, come giovedì, i mercati obbligazionari Usa e dell’Eurozona registrano un aumento dei rendimenti dei Bond, le aspettative di un risveglio dell’inflazione stanno spingendo all’insù i rendimenti delle obbligazioni di lungo e lunghissimo periodo. Diventa così più ripida la curva dei tassi di mercato: denaro a breve compresso dall’azione delle banche centrali, contro denaro a lungo in (lieve) ascesa per l’inflazione e, si spera, una maggior richiesta di fondi da parte delle economie.
Ma il maggior rendimento dei Bund tedeschi aiuta in questa congiuntura ad esaltare la formidabile riduzione dello spread tra i titoli italiani e quelli degli altri che sta prendendo velocità a mano a mano che cresce la fiducia sui mercati sulla nascita di un governo guidato da super Mario. La forbice tra titoli italiani e tedeschi si è già ridotta di 15 punti base tra mercoledì e giovedì per poi proseguire stamane una volta abbattuta la barriera di quota 100. Ora, dopo un progresso nell’ordine di 8 punti percentuali in meno di una settimana, la distanza dal Bund, punto di riferimento per l’intera Eurozona è a quota 97. Solo un antipasto, di quel che potrebbe quando alle parole seguiranno i fatti.
Presto, infatti, i titoli italiani si avvicineranno, in questo scenario virtuoso a quelli spagnoli, ovvero lo spread potrebbe ridursi a 70/80 punti. Le conseguenze? Scrive Andrea Delitala di Pictet:” Oltre ai risparmi sugli interessi già maturati in tutta la fase di discesa dei rendimenti a livello globale che ci consente di emettere oggi a tassi mediamente vicini a 0%, ben al di sotto del costo medio del nostro debito pregresso (circa 2,5%), un ulteriore restringimento dello spread di circa 50 punti base, vale ogni anno, un ulteriore risparmio quantificabile in circa 1,5 miliardi di euro”, visto che nel 2020 l’attività di emissione è stata pari a 500 miliardi . A tanto ammonta una prima stima di quel che può significare un aumento della fiducia motivato da un esecutivo guidato da Draghi ancor prima dell’erogazione dei fondi in arrivo dal Recovery che consentiranno altri risparmi.
Le emissioni in arrivo dagli altri Paesi (fino al 2027) consentiranno infatti di ridurre le emissioni di casa nostra al netto dello sperato salto di qualità generato dalle riforme. Si può dire insomma che la sola comparsa di Mario Draghi sull’orizzonte di Palazzo Chigi ha generato un effetto valutabile nell’ordine di alcuni miliardi per la sola finanza pubblica. Ma la cifra, naturalmente, si alza e non di poco se si allarga lo sguardo al sistema bancario, il più sensibile alle variazioni dello spread: un calo di 100 punti base della forbice si traduce in un incremento medio dei CET1 ratios di 15-20 punti base. Non a caso la settimana marchiata dall’incarico affidato dal presidente Sergio Mattarella si chiude per il settore con un progresso del 14% circa, la miglior settimana da giugno dopo cinque sedute consecutive al rialzo.
Per non parlare più in generale, del miglioramento delle condizioni praticate alle emissioni corporate nelle aziende italiane. Al contrario, un fallimento della missione di Draghi, secondo Ubs, potrebbe comportare un rimbalzo della forbice fino a 200 punti. Ma in quel caso i problemi politici andrebbero assai al di là dello spread.