Le concessioni per gli stabilimenti balneari non possono essere rinnovate automaticamente, ma vanno messe a gara. A stabilirlo è la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in una sentenza ampiamente prevista, ma che rischia comunque di avere ripercussioni pesantissime sulle circa 30mila imprese italiane del settore, che da oggi rischiano di essere considerate abusive, alla luce della richiesta dell’Ue di una selezione “imparziale e trasparente” delle concessioni attraverso le gare d’appalto.
Bocciata, dunque, la normativa italiana, che prevede una proroga automatica e generalizzata delle concessioni sulle aree demaniali, la cui scadenza è stata di recente rinviata al 31 dicembre 2020. Un principio ritenuto contrario alle disposizioni contenute nell’articolo 12 della direttiva europea sui servizi, la Bolkestein, che ha stabilito che il rilascio delle autorizzazioni deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i potenziali candidati.
Le Conseguenze della sentenza
Nell’immediato non dovrebbe cambiare nulla, ma la sentenza della Corte di Giustizia europea proietta molte nubi sul futuro degli stabilimenti italiani. Per sanare la situazione, almeno nell’immediato, il Governo potrebbe inserire un emendamento nel decreto enti locali.
Negli scorsi giorni, il ministro degli Affari Regionali Enrico Costa aveva incontrato gli imprenditori balneari per chiarire i contenuti principali della legge delega che avrebbe dovuto riordinare la materia. I temi più caldi sono il periodo transitorio richiesto dal Sindacato italiano balneari, che vorrebbe un periodo congruo, stimato poco realisticamente in trent’anni, per ammortizzare gli investimenti.
Al centro del dialogo tra il ministro e il sindacato, poi, ci sono anche gli eventuali requisiti delle gare. In questo caso la direttiva europea consente agli Stati di tenere in considerazioni gli interessi di chi è già titolare delle autorizzazioni, in modo da ammortizzare gli investimenti effettuati sull’area demaniale ottenuta in concessione.
Uno dei problemi, secondo il Sib, è quello legato alla difficoltà di disciplinare, a livello europeo, situazioni tanto diverse come quella italiana e quelle greche e spagnole. Il rischio principale, però, è che l’attuale quadro di stabilimenti a conduzione famigliare venga spazzato via, nelle gare, da multinazionali (favorite dalla visione della Corte Ue, secondo cui l’attuale normativa italiana sarebbe colpevole di penalizzare le imprese con sede all’estero) e malavita organizzata.
Le Reazioni
La politica italiana è già sul piede di guerra sull’argomento. L’assessore al turismo della regione Liguria e coordinatore del tavolo interregionale sul Demanio Marco Scajola, che è da tempo impegnato in questa battaglia, aveva anche pensato ad una legge regionale per trasformare le imprese balneari in aziende, le quali sarebbero state tutelate dal Growth Act. E proprio la Regione Liguria ha già convocato una riunione per studiare le reazioni alla sentenza della Corte di Giustizia Ue.
Per il centrodestra la notizia della sentenza è stata l’occasione per sferrare diversi attacchi nei confronti dell’Europea, definita “criminale” dal capogruppo dei senatori leghisti Gian Marco Centinaio, e del Governo, “incapace di difendere le nostre peculiarità territoriali” o, per dirla con le parole di Gasparri, “impotente di fronte a questo tentativo di massacro delle imprese italiane”.
Per il capogruppo del Pd nella Commissione Industria Salvatore Tomaselli la sentenza Ue rappresenta invece un occasione per “mettere in campo al più presto possibile una legge organica di riordine del settore balneare, che rispetti le norme Ue, ma tuteli i concessionari e i loro investimenti”.