Entrate in vigore con il decreto ministeriale n. 34/2013, le Società tra professionisti presentano ancora molte criticità: dallo scenario normativo alle modalità di trasformazione di uno studio professionale in Stp, dall’analisi pratica degli statuti agli aspetti fiscali, previdenziali e disciplinari.
Secondo gli addetti ai lavori, dottori commercialisti e notai di Milano intervenuti nel corso del convegno “Società tra professionisti, le strutture societarie divengono a pieno titolo strumento di esercizio dell’attività professionale: potenzialità e limiti”, le Stp suscitano ancora molte perplessità. “Volute soprattutto dal legislatore – ha affermato Alessandro Solidoro, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Milano – non rispondono alle reali esigenze dei professionisti ed evidentemente nemmeno a quelle dei soci di capitale. Tutto ciò nonostante il momento storico richieda aggregazione di funzioni e suddivisione di costi per essere competitivi in un mercato che necessita di risposte sempre più complesse. La sfida dunque consiste nel chiarire il contesto normativo per vedere se ci sarà un reale decollo”.
Lo stesso scetticismo è stato mostrato anche dal presidente dell’Ordine dei commercialisti di Roma Mario Civetta che ha sostenuto: “Le Stp sono modelli piuttosto distanti dalla nostra tradizione culturale e giuridica la cui applicazione, nell’intento di creare nuove opportunità, deve tener presente le specifiche peculiarità del mercato italiano. La possibilità di esercitare le attività professionali, regolamentate nel sistema ordinistico, attraverso società di ogni tipo alla prova dei fatti non ha avuto un riscontro rilevante presso i nostri Iscritti”.
I dati forniti da Unioncamere negli ultimi due mesi, e cioè da metà novembre, vedono il numero delle Stp iscritte nella sezione speciale del registro delle imprese praticamente raddoppiato. Il totale ad oggi è però di sole 54 società tra professionisti.
La mancata diffusione delle società fra professionisti come strumento per l’esercizio collettivo della professione può in parte essere attribuita alla preoccupazione che la struttura societaria porti ad una spersonalizzazione del rapporto col cliente ed alla facoltà di libero trasferimento della partecipazione. La conseguenza sarebbe lo scardinamento del carattere fiduciario e personale dei rapporti non solo con i clienti ma anche fra gli stessi professionisti associati. Per adattare la struttura societaria alle esigenze proprie delle aggregazioni fra professionisti è possibile utilizzare, introducendoli nel contratto sociale, istituti, quali clausole che stabiliscano i requisiti dei soci e clausole di ammissione, di recesso e di esclusione, che consentano di controllare la compagine sociale. In questo modo si garantisce il perdurare del rapporto fiduciario e personale fra i soci, avvicinando le società tra professionisti alle organizzazioni collettive che fino ad oggi sono state usate per l’esercizio dell’attività professionale.
La legge non risponde a molte domande. Si possono ancora costituire associazioni professionali? La Stp può fallire? La Stp deve avere come oggetto esclusivo la attività professionale? Il socio professionista può esercitare singolarmente l’attività? O è obbligato a svolgere la sua attività professionale per la società? Si può costituire una Stp unipersonale? Il credito della società è privilegiato a sensi art 2751 bis come quello del professionista?
Il corpus normativo relativo alle Stp, inoltre, non fornisce alcuna indicazione in merito al regime fiscale e previdenziale riservato alle stesse e il conseguente trattamento dei soci. In considerazione del fatto che la società tra professionisti è costituita per svolgere in via esclusiva attività professionali regolamentate dagli ordini il reddito dalle stesse prodotto dovrebbero qualificarsi come reddito da lavoro autonomo. Con la naturale conseguenza che: venga determinato con il criterio di cassa; venga assoggettato ad Irap; parte del ricavo venga destinato alla Cassa Previdenza.
“L’imposizione – ha commentato Mario Civetta – si avrà quindi in capo ai soci, che riceveranno per trasparenza i profitti in proporzione alle quote di partecipazione, mentre l’Irap sarà dovuta dalla Stp”.
E’ possibile tuttavia delineare alcuni punti fermi della Stp: quanto alla responsabilità civile, il socio professionista risponde anche per l’operato dei suoi sostituti e ausiliari; sono rigidi, inoltre, gli obblighi informativi da parte del professionista nei confronti del cliente che è libero di scegliere a chi affidarsi.
Poche certezze, tante perplessità. Solo se verranno sciolti i nodi suddetti, le Stp potranno decollare.