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Social media: la svolta nell’immaginario collettivo

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Riflessione sulla contemporaneità 

I social media sono indubbiamente una delle più importanti e ormai radicate novità della contemporaneità. A questo proposito è in libreria l’importante riflessione di un autore italiano sulla contemporaneità osservata da diverse angolazioni. All’apparenza non paiono palesemente connesse, ma hanno un filo forte conduttore sotterraneo che le rende dei nodi di un unico sistema. Si tratta del libro La conquista del popolo. Dalla fine delle grandi ideologie alle nuove identità politiche (Guerini & Associati, 2019) del sociologo Enzo Risso, docente di Teoria e analisi delle audience presso l’Università La Sapienza di Roma e direttore scientifico di SWG di Trieste, una società che progetta e realizza ricerche di mercato, di opinione.  

Risso, quindi, guarda la contemporaneità da un osservatorio assolutamente privilegiato e in effetti si vede. Il cambiamento epocale che caratterizza la società, al quale guardiamo tutti con un certo spaesamentoanche un difetto di comprensione, sta trasformando le stesse convinzioni valoriali e identitarie che si erano consolidate nell’ultimo trentennio nell’Europa e nel mondo.  

Protagonisti di questi cambiamento sono anche i social media che hanno sfarinato la narrazione top-down che aveva costruito l’immaginario collettivo e il comune sentire di un’epoca, quella dei mass-media, che sembra giunta alla sua stagione autunnale. Sono proprio le riflessioni di Risso sui social media – in particolare il brano intitolato I social media al centro della trasmutazione dell’immaginario collettivo in ecosistema narrativo – che vogliamo proporre ai nostri lettori nelle pagine che seguono. Buona lettura! 

La disgregazione del modello top down dell’industria culturale

I social media hanno agito sulla società intervenendo, insieme ai nuovi modelli narrativi delle serie Tv, ai videogiochi, alla relazione tra social e Tv, sull’immaginario collettivo sospingendo la sua mutazione. 

L’immaginario collettivo è il prodotto di una società contemporanea che credeva ancora nella possibilità di una direzione di progresso costante. Una società che costruiva le proprie rappresentazioni sociali sotto l’influsso delle narrazioni cinematografiche, televisive e pubblicitarie, sotto la spinta narrativa e culturale top down. Un complesso di narrazioni che si intrecciavano con le immagini iconiche, i ricordi, le reminiscenze collettive (miti, leggende, fiabe, racconti), la conoscenza popolare (proverbi, superstizioni, credenze), ma anche con i pregiudizi e gli stereotipi. 

Walter Benjamin, di cui resta insuperato l’apporto fornito con il suo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, ha raccontato con arguta precisione filosofica la svolta industriale dell’immaginario collettivo. Nei primi trent’anni del Novecento film, fotografia, discografia e trasmissioni radio avevano soppiantato i quadri e le sculture come riferimenti per l’immaginazione collettiva.  

Con l’arrivo di questi nuovi generi narrativi s’insediarono nuove muse ispiratrici, nuove icone forgiatrici dell’identità culturale collettiva, del comune sentire. La tecnologia, nel corso degli anni, ha assunto un ruolo sempre più centrale nell’ambito della trasmissione culturale, trasformando i prodotti culturali in merci, prodotti realizzati attraverso un processo di produzione intriso della dimensione sociale della realtà di cui sono espressione.  

I mass media, nel corso dei decenni, non sono stati solo un formidabile mezzo di propaganda, strutturati intorno al loro flusso monodirezionale (top down) di veicolazione culturale, ma sono diventati anche uno strumento di amalgama e omogeneizzazione dei gusti e dei punti di riferimento.  

Ciò che vien meno – afferma Benjamin – nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’«aura» dell’opera d’arte. Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda al di là dell’ambito artistico. La tecnica della riproduzione, così si potrebbe formulare la cosa, sottrae il riprodotto all’ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi, permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il riprodotto. Entrambi i processi portano a un violento rivolgimento che investe ciò che viene tramandato – a un rivolgimento della tradizione, che è l’altra faccia della crisi attuale e dell’attuale rinnovamento dell’umanità. Essi sono strettamente legati ai movimenti di massa dei nostri giorni. Il loro agente più potente è il cinema. Il suo significato sociale, anche nella sua forma più positiva, e anzi proprio in essa, non è pensabile senza quella distruttiva, catartica: la liquidazione del valore tradizionale dell’eredità culturale. 

I social sono intervenuti su questo spazio dell’immaginario. Il loro battito giornaliero ha consentito alle persone di incrementare la propria quotidiana fruizione mediale, emozionale e opinionale. Nella rete, nei forum e nei blog dei fan di attori, cantanti o serie televisive la qualità dell’esperienza di fruizione di un prodotto artistico-cultural-narrativo (così come nella produzione di post, tweethashtag) alimenta un’enorme produzione culturale e di immaginario. Un processo che è strutturalmente bottom upLa navigazione nei diversi nodi dell’immaginario collettivo è diventata così esperienza, sintomatica e avvincente.  

Da individuo-massa a nodo della rete 

Le persone, oggi, non si pongono il problema di quanto possono essere inadeguati o superficiali i propri gusti o i propri commenti, perché all’interno del gruppo di fan non ci sono critici esperti, non ci sono dotti conoscitori della materia, ma una rete di persone che condividono una passione, un’emozione, un’affinità.  

Twitter e Facebook si sono trasformati, per questa via, in festival del narcisismo, in cui le persone si divertono e si sforzano nel cercare di far diventare monumentali le proprie opinioni e il proprio particolare temperamento.  

I social hanno consentito a ciascuna persona di mettersi in scena, di ottenere attestati di identità, di produrre opinioni, di strillare la rabbia, di sfoggiare acquisti e storie personali, di mostrare le proprie insofferenze e idiosincrasie, di sbandierare se stessi e il proprio essere conformi o anticonformisti.  

I social hanno permesso agli individui di emergere dalla società di massa. Di lasciare tracce di sé, ma, al contempo, gli hanno consentito di sentirsi parte di un gruppo, di essere dentro le nuove comunità di sentire, di condividere passioni e affinità con gli altri.  

Le persone proiettate nella rete sono divenute punti di interconnessione e non più semplicemente individui nella massa. Sono diventate punti sempre collegati agli altri, touchpoint di un processo collettivo di costruzione di un’identità e di community. Le persone da individui sono diventate attori, da meri spettatori si sono trasformate in autori, che possono esprimersi su ogni tema, che possono rendersi utili condividendo la propria esperienza, che possono contribuire ad alimentare il senso di sé della community condividendo, bollando, votando, esprimendo le proprie opinioni.  

In un mare di hashtag, tra i flutti di cinguettii, tra le nuvole di post e immagini, commenti, pensieri, emozioni, opinioni, giudizi, rabbie, frustrazioni, ricordi, immagini di sé, flutti e flussi d’immaginazione, tutto quello che un tempo era relegato alla propria cerchia ristrettissima di amici o che si condivideva in un bar, davanti a una birra o un bicchiere di vino, è divenuto narrazione di sé, strumento per essere touchpoint di una community, mezzo per esprimere la propria autentica essenza di sé.  

I pensieri e le emozioni delle persone hanno iniziato a connettersi e intrecciarsi con quelle di altre persone (spesso sconosciute). In questo processo nugoli di persone distanti, estranee, sono entrate a far parte integrante del sentire comune e condiviso.  

I social hanno estratto le persone dall’isolamento dell’uomo-­massa (monadico) e le hanno fatte diventare parte di una comunità di soggetti che condividono passioni, emozioni, opinioni. Hanno trasformato le persone da individui-nella-massa a membri di una qualche comunità, ad appartenenti a un soggetto collettivo, che ha i propri confini identitari, i propri linguaggi, le proprie icone, le proprie tradizioni e forme retoriche.  

La nuova era della televisione 

A questo processo trasformativo ha partecipato attivamente anche la televisione. I mutamenti intervenuti nell’offerta televisiva con l’avvento della «post-broadcast era» hanno agito sulle persone e sul modello dell’immaginario collettivo. La moltiplicazione dei canali in digitale, «la segmentazione delle audience favorita dal narrowcasting, la prima diffusa sperimentazione del Pvr (Personal Video Recorder) e l’accesso ai contenuti on demand (attraverso i servizi dei cable operators)» hanno mutato il ruolo della televisione nel panorama sociale. Le innovazioni e le trasformazioni non hanno offerto solo un moltiplicarsi di forme di fruizione televisiva, ma hanno anche determinato una metamorfosi dei contenuti e degli stili di narrazione. Un’espansione narrativa che è stata sorretta, tra le altre cose, proprio dall’interazione delle Tv con i social e dall’insediarsi della transmedia logic. Siti web e fan page, contenuti ancillari come webisodesrecapsmaking ofbloopers, hanno integrato ed espanso le linee narrative; videogame e social game si sono aggiunti alle serie, operando in forma correlata allo story­world; le app su mobile, infine, hanno consentito una nuova fitta rete di partecipazione alle community e un presenzialismo costante dei contenuti delle series e degli eventi televisivi nelle relazioni tra le persone.  

La televisione, integrata e fusa nel mondo social, ha metamorfizzato la relazione tra le persone e il prodotto televisivo, offrendo alle persone un nuovo strumento di engagement e partecipazione. Nella nuova offerta televisiva le «interazioni autonomamente prodotte dalle audience sui social media intaccano progressivamente […] il modello top down» storicamente strutturato dalla comunicazione televisiva e attivano, anche in questo contesto mediale, «un modello di circolarità dei contenuti».  

I social media e la nascita dell’ecosistema narrativo 

I social network (di concerto con gli altri nuovi strumenti e format della narrazione contemporanea) hanno agito sulla complessità della società. La loro interazione e comunicazione orizzontale è divenuta produzione culturale, generazione di immaginario e contenuti. Essi hanno operato sull’immaginario collettivo, stravolgendolo, trasformandolo, facendogli vivere una mutazione genetica. 

Con i social network e la nuova era della televisione si è generato un nuovo modello di immaginario collettivo, che non è più tendenzialmente top down, come nell’epoca dei media tradizionali, ma s’impernia sulla possibilità-capacità delle persone di produrre narrazioni e realizzare contenuti (dai post ai video, dalle storie youtube alle narrazioni instagram ecc.). 

L’immaginario collettivo si è metamorfizzato ed è diventato ecosistema narrativoOggi non c’è più un immaginario collettivo tendenziale, ma c’è un flusso costante di immagini e sensazioni, di stimoli e letture (e riletture).  

Ci troviamo di fronte a un ecosistema narrativo prodotto non dalla linearità delle rappresentazioni, ma  

  • dall’intrecciarsi dei racconti (top down bottom up); 
  • dallo sviluppo della complessità e della crossmedialità narrativa;  
  • dall’ossimoricità della società e dell’affermarsi della spinta all’ammirazione e al bisogno di mettere in scena se stessi.

È necessario parlare di ecosistema perché dobbiamo intendere le rappresentazioni sociali come un ambiente composito, capace di integrare i flussi provenienti da utenti, tecnologie e oggetti mediali differenti.  

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L’ecosistema narrativo è il frutto della complessità, della presenza di ambienti modulari distinti e di persone che abitano, contemporaneamente, ambienti differenti. Esso è il frutto della dimensione ramificata delle persone che attraversano diverse subculture e produzioni culturali ed espressive; che generano costantemente produzioni di immaginario bottom up; che partecipano, con il loro attivismo in rete, alla costruzione complessiva della narrazione dell’oggi, della contemporaneità.  

Il nuovo ecosistema narrativo, infine, ha una dimensione narrativa che non spinge solo al presente, ma che ha bisogno di futuro, di guardare al domani.  

La narrazione continua 

Il presentismo della postmodernità era dipendenza dall’oggi, era una dimensione unica omnicomprensiva, ossessiva. I social sono intervenuti su questo aspetto. Hanno trasformato l’oggi in un «presente in permanenza»; hanno creato una storia; permettono alle persone di non distaccarsi mai da ciò che hanno detto e affermato ieri. Nel fare questo hanno generato il bisogno di dire sempre qualcosa di nuovo, di essere permanentemente in grado di esserci ed esprimersi, di narrarsi. Hanno sospinto la realtà a guardare oltre l’oggi, aprendo le porte alla necessità di senso futuro.  

I social network, infine, hanno mutato anche il ruolo delle persone nella realtà: da monadi, spesso disarticolate, divengono iper-sociali; da fruitori passivi, divengono generatori di contenuti, narrazioni, senso di sé; da marginali che hanno l’obiettivo di ridurre il senso di esclusione ad attori che partecipano a un qualche noi collettivo e che sono in grado di alimentare senso di appartenenza.  

Il processo trasformativo da immaginario collettivo a ecosistemi narrativi è stato possibile perché, come dice Baudrillard, i media partecipano quotidianamente «alla costruzione di significati, indipendentemente dalle modalità con cui vengono consumati o inseriti nelle biografie individuali». Essi contribuiscono alla definizione di «aspettative, di un immaginario che attraverso specifici prodotti mediali si traduce nel progressivo avvicinamento dell’immaginato all’immaginatore». 

In questo percorso trasformativo, i social e il nuovo modello di Tv hanno agevolato la metamorfosi dell’identità dei singoli. «Il modello personale nella ricerca di identità – afferma Bauman – diviene quello del camaleonte». L’attuale cultura totalizzante, sospinta dai social, richiede alle persone la capacità di cambiare «l’identità (o almeno la sua manifestazione pubblica) con altrettanta frequenza, rapidità ed efficienza con cui cambiamo la camicia». 

Le molteplici identificazioni dell’io 

La persona di oggi, sospinta dal ruolo dei social, realizza pienamente quanto era già in nuce nella società postmoderna. Essa diviene «un ‘io’ che assume identificazioni molteplici, capace di indossare differenti maschere in armonia con le situazioni e gli incontri che gli si prospettano, in un cammino incerto e non sempre funzionale all’ordine sociale». 

Se l’individuo era l’ideale contraente del contratto sociale, l’abitante dell’universo dei social «si accontenta di assumere ruoli intercambiabili, siglando patti ‘ambientali’ all’interno di quegli insiemi affettivi» rappresentati, soprattutto, dalle community of sentiment 

Nell’era dei social network l’identità non è più unitaria e singola, non è la versione «concettualizzata dell’individualità borghese», ma cede il posto alle «identificazioni multiple, in alcuni casi contraddittorie». Le tendenze e le ricomposizioni in corso, «i significati aleatori e le panoplie delle apparenze» accentuano, nella nuova epoca, quello «stile barocco, segnato dalla predominanza dell’immagine e degli affetti», già emerso nel corso di tutta la fase postmoderna e che oggi trova nei social il canale di espressione e di consolidamento. Uno stile barocco che associa forme di arcaismo e di iper-tecnologismo, tradizione e iper-modernità, consumi e bisogni specifici, legami e individualismo, ricerca di sicurezza e spinte libertarie.

Il mutamento politico in Italia 

Il mutamento politico che ha vissuto l’Italia il 4 marzo 2018 non è il risultato della capacità di alcune forze politiche d’imbonire il popolo, di illuderlo o di soffiare sulle paure, ma è il portato di un lungo processo di metamorfosi sociale e politica, che ha coinvolto molti paesi oltre all’Italia. La conquista del popolo non è avvenuta per mano di scaltri oratori e propagandisti, per l’arguzia e l’expertise nell’usare i social, ma perché alcune forze politiche sono risultate in sintonia con l’onda di cambiamento che da anni sta montando e sono divenute, nelle parole d’ordine e nei simboli, il canale attraverso cui le nuove esigenze emergenti dalla società hanno trovato espressione politica e identitaria.

L’Italia di oggi (per come pensa e vota) è il risultato dell’incrociarsi dei mutamenti strutturali intervenuti nelle classi sociali, nel mondo del lavoro, nella società con le trasformazioni indotte dal consumismo e dai social network; degli effetti causati dalle molteplici crisi (economica, climatica, del ceto medio, delle banche, dell’Europa) e, infine, dei fallimenti del liberismo, della globalizzazione, della Terza via, delle élite, ma anche delle politiche per l’immigrazione, per il Sud e per le periferie. Mutamenti, crisi e fallimenti hanno generato un processo di metamorfosi nella società, nella politica, nelle identità, nelle vision di futuro e nei valori. Il volume propone uno sguardo inedito e complessivo sulle dinamiche profonde che stanno attraversando la società e la politica italiana, gettando un fascio di luce sulle prospettive e sul quadro in divenire. 

 

Enzo Risso è direttore scientifico di SWG Spa di Trieste, docente di Teoria e analisi delle audience (laboratorio di ricerca sui media digitali e le audience multiscreen,) presso l’Università La Sapienza di Roma. È autore di una vasta bibliografia di volumi di ricerca su temi valoriali, politici, economici e sociali del Paese. Ha al suo attivo moltissime pubblicazioni. Tra le ultime: Consumer Affinity. Un nuovo modello di analisi dei consumatori (2016), Con rabbia e speranza. Il nuovo volto dell’Italia in cerca di riscatto (2016Guerini) e In modo diverso. 1997-2017: come è cambiata l’opinione pubblica italiana (2017Guerini)Il terzo settore in transito (2018). 

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