Scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati, dovrebbe essere questo il paradigma dello smart working ai tempi del Coronavirus, invece – troppo spesso – si riduce tutto al lavoro dal proprio domicilio, utilizzando la strumentazione informatica casalinga.
Questo semplificazione, purtroppo, porta con se un aspetto che riguarda la sicurezza delle reti aziendali di tutte le imprese, dalle più grandi alle più piccole. C’è chi non è stato colto di sorpresa dallo smartworking forzato dal Coronavirus semplicemente perché lo smart working non è una novità come prassi lavorativa, ma c’è anche chi, non solo ha fatto la conoscenza con questa modalità solo ora, ma ha dovuto attrezzarsi per garantire la continuità dell’impiego durante questa fase delicata. E il discorso vale tanto per i lavoratori quanto per i datori di lavoro.
Gli sforzi fatti dalle aziende, in genere, sono stati sufficienti, ma per talune realtà, la coperta troppo corta è andata a scapito della sicurezza dell’intera rete aziendale. Reti private virtuali (VPN) improvvisate, inadeguate dotazioni e insufficienti meccanismi di protezione hanno reso vulnerabile quello che, in passato, era un sistema blindato ed efficiente. Dalla fotografia scattata da Unioncamere sulle 18mila imprese che hanno svolto online il test di maturità digitale attraverso i Punti impresa digitali (Pid) è emerso che, quasi 4 aziende italiane su 10 sono dotate di sistemi cloud, una tecnologia fondamentale per garantire una più agile transizione delle attività svolte all’interno degli uffici in modalità “smart”, ma solo 3 imprese su 10 sono equipaggiate per proteggere le connessioni da remoto con strumenti di cybersecurity necessari per garantire sicurezza nella gestione dei dati.
Sono in particolare le imprese del Sud le meno attrezzate tecnologicamente ad accogliere i nuovi modelli organizzativi di lavoro agile: soltanto il 27% ha un cloud e il 17% possiede strumenti per l’utilizzo a distanza dei dati in sicurezza. Mentre le più equipaggiate appaiono le aziende del Nord-Ovest per l’uso di sistemi cloud (40%) e quelle del Nord est per l’adozione di strumenti di cybersecurity (37%). A livello regionale, le imprese del Trentino Alto Adige sono le più strutturate a raccogliere la sfida del lavoro “smart”: 1 su 2 dichiara di avere sistemi di cloud e di protezione dei dati per le connessioni da remoto. Più in affanno sembrano invece le aziende del Molise per la presenza di cloud, solo il 22% dispone di questi sistemi, e le imprese siciliane per l’uso di sistemi anti hacker, appena il 13% dichiara di utilizzarli.
I sistemi più più a rischio rimangono quelli “improvvisati” o anche quelli che, per semplicità d’uso, vengono preferiti alle soluzioni professionali. In questi giorni di isolamento forzato, sono tanti i lavoratori che stanno usando connessioni non sicure attraverso l’utilizzo di software per il controllo remoto, per raggiungere le risorse informatiche dei propri uffici. Tanti sono quelli che stanno sfruttando soluzioni cloud personali per condividere files di ogni tipo con i colleghi o con i clienti. Ci sono molti computer lasciati accesi nei luoghi di lavoro, ma non adeguatamente protetti, proprio con l’intento di usare sistemi VPN artigianali per continuare a lavorare da remoto. Per non parlare dei pc chiusi negli armadi che ora tornano ad essere utilizzati, ma senza fare troppo caso a quel sistema operativo obsoleto che mette a rischio la privacy di tutti i propri clienti.