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Smart working: anche i top manager vogliono lavorare da casa, mentre i dipendenti restano alla scrivania

Pixabay

Il mondo del lavoro sta vivendo una trasformazione epocale, con i top manager che abbracciano sempre più lo smart working. Oggi, la flessibilità lavorativa, esplosa dopo la pandemia, non è più un desiderio esclusivo dei dipendenti, ma una priorità anche per i dirigenti di alto livello. Esempi recenti dimostrano che il modello tradizionale dei cinque giorni in ufficio a settimana sta cedendo il passo a nuove modalità di lavoro.

E se un ceo, con uno stipendio che fa impallidire quello di un impiegato, può lavorare a bordo piscina, è difficile spiegare perché il dipendente dovrebbe essere incatenato alla scrivania in ufficio. In fondo, chi non vorrebbe scambiare il cubo d’ufficio con una sedia a sdraio?

Brian Niccol e Hillary Super: i nuovi leader del lavoro flessibile

Brian Niccol, il nuovo ceo di Starbucks, è un esempio emblematico di questa tendenza. Ha deciso di non trasferirsi nella sede centrale di Seattle, preferendo lavorare dalla sua esclusiva residenza a Newport Beach, California. Con un pacchetto retributivo che supera i 113 milioni di dollari – quattro volte il suo predecessore – Niccol ha negoziato un contratto che gli consente di visitare la piovosa Seattle al massimo tre volte a settimana, mentre la maggior parte del suo lavoro sarà gestita da remoto. Per i suoi spostamenti, disporrà di un jet privato, riflettendo una crescente tendenza tra i leader aziendali a scegliere la comodità e la flessibilità.

Anche Hillary Super, la nuova ceo di Victoria’s Secret, segue una filosofia simile. Nonostante la sede principale dell’azienda sia a Reynoldsburg, Ohio, Super lavorerà principalmente da New York, una delle capitali globali. Anche lei ha ottenuto una flessibilità che le permette di mantenere una base operativa a New York e di viaggiare in Ohio quando necessario, con il supporto di un jet privato.

Le scelte di Niccol e Super non sono casi isolati, ma rappresentano una tendenza crescente nel mondo degli affari. Ron Johnson, chiamato a risollevare le sorti di JC Penney, ha ottenuto di restare a Palo Alto, California, invece di trasferirsi a Plano, Texas, dove si trova la sede dell’azienda. Anche Scott Kirby, ceo di United Airlines, divide il suo tempo tra Dallas, Texas e Chicago, Illinois, anziché stabilirsi completamente a Chicago. Kelly Ortberg, il nuovo capo di Boeing, ha deciso di risiedere a Seattle, dove vengono fabbricati i 737, gli aerei finiti sotto accusa per una serie di problemi strutturali, piuttosto che a Arlington, Virginia, dove si trova la sede centrale della compagnia.

Le reazioni e le critiche: un dilemma di efficienza e prossimità

Tuttavia, il lavoro remoto dei top manager non è privo di critiche. Gli esperti avvertono che la distanza fisica dai luoghi di lavoro potrebbe creare una percezione di disconnessione tra i leader e il resto dell’azienda, compromettendo il morale e l’efficacia operativa. Studi recenti suggeriscono che le aziende con ceo remoti potrebbero vedere ritorni sugli asset e valori di mercato inferiori rispetto a quelle con i dirigenti presenti in ufficio. Ad esempio, Eddie Lampert di Sears e Ron Johnson di JC Penney, vennero accusati di non trascorrere abbastanza tempo nelle sedi aziendali, il che sollevò dubbi sulla loro gestione.

Nonostante le preoccupazioni, molte aziende vedono il lavoro remoto come una soluzione vantaggiosa, in particolare per le operazioni globali e per i dirigenti che necessitano di una maggiore flessibilità. Il lavoro ibrido, che combina lavoro remoto e presenza fisica, può essere anche una soluzione economica per le aziende. Per Starbucks, mantenere Niccol in California potrebbe essere stato più conveniente rispetto a un aumento salariale per compensare il trasferimento. Allo stesso modo, per Victoria’s Secret, la base a New York è considerata una sede primaria, e molti dirigenti fanno frequenti viaggi tra New York e Columbus.

Il paradosso delle Big tech

È curioso che le grandi aziende tecnologiche, pur avendo le risorse per rendere efficace il lavoro remoto, mantengono spesso rigide politiche di presenza fisica per i loro dipendenti, abbiano imposto ai dipendenti di tornare in ufficio una volta finita l’emergenza sanitaria. Google, Amazon, Apple, Meta e persino Zoom, la piattaforma che ha reso il lavoro a distanza così diffuso, hanno chiesto ai loro team di rientrare. Sam Altman, ceo di OpenAI, aveva definito lo smart working uno dei “peggiori errori dell’industria tecnologica”, accusandolo di limitare la creatività. Elon Musk, contrario al lavoro remoto, aveva imposto 40 ore settimanali in ufficio e minacciato di licenziamento i dipendenti che non rispettavano la regola.

Questo paradosso è confermato dalle recenti dichiarazioni di Eric Schmidt, ex ceo di Google, e John Donahoe, ceo di Nike. Entrambi riconoscono i benefici del lavoro remoto, ma avvertono che, se non gestito con attenzione, può compromettere l’innovazione e la produttività, limitando la creatività a causa della mancanza di interazione fisica

Smart working o ufficio: chi prevarrà nella nuova era del lavoro?

In questo scenario di cambiamenti e contraddizioni, il lavoro remoto sta diventando la nuova norma per molti top manager, ma non senza sollevare interrogativi. Le grandi tech sembrano aggrappate a un modello di lavoro che privilegia la presenza fisica in ufficio per i propri dipendenti, mentre i top manager godono di un’eccezione che sottolinea una disuguaglianza di trattamento tra i livelli aziendali. Questo contrasto rivela una realtà complessa: la libertà di lavorare da qualsiasi luogo non è ancora una realtà universalmente accettata. Ma soprattutto non vale per tutti.

In ogni caso, il dibattito è solo all’inizio e promette di scuotere le fondamenta del nostro modo di lavorare nei prossimi anni. Chi avrà la meglio nella battaglia tra flessibilità e presenza fisica? Solo il tempo e le scelte aziendali lo diranno, ma una cosa è certa: il futuro del lavoro non sarà mai più lo stesso.

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