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Smart working: a Milano l’80% delle aziende lo prevede e il 63% vuole renderlo strutturale

Secondo uno studio di Assolombarda, le percentuali risultano più elevate nei servizi che nell’industria (91 contro 79%) e nel Comune rispetto all’hinterland (90 contro 78%)

Smart working: a Milano l’80% delle aziende lo prevede e il 63% vuole renderlo strutturale

Nel primo trimestre del 2022, più di 8 aziende su 10 attive a Milano avevano almeno un dipendente in smart working, per un numero di dipendenti coinvolti pari al 22% del totale. Le percentuali risultano più elevate nei servizi che nell’industria (91 contro 79%) e nel Comune rispetto all’hinterland (90 contro 78%). Lo scrive il centro studi di Assolombarda in un report che ha coinvolto più di 250 imprese milanesi del manifatturiero e dei servizi avanzati. Lo studio completo è pubblicato sul magazine Your Next Milano.

Dall’analisi emerge inoltre che nel 2019 solo 3 imprese su 10 ricorrevano al lavoro agile e la percentuale di lavoratori in smart working era del 15%. Ora invece il 63% delle imprese milanesi che hanno risposto al sondaggio prevede di attivare lo smart working in maniera strutturale nel futuro.

“Lo smart working negli ultimi due anni è un modello organizzativo che ha visto una forte accelerazione ed è oggi entrato a far parte della cultura aziendale diffusa – commenta Diego Andreis, vicepresidente di Assolombarda con delega a Politiche del lavoro, Sicurezza e Welfare – Nel 2021 Confindustria, insieme alle organizzazioni sindacali, ha sottoscritto il Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile con lo scopo di fissare le linee di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale, aziendale e/o territoriale. Quando finirà il periodo di emergenza che ha condizionato il ricorso diffuso allo smart working, pertanto, non ci troveremo impreparati”.

Al momento lo smart working d’emergenza è prorogato fino al 31 agosto 2022. Tra le imprese di Assolombarda nell’area di Milano, Monza Brianza, Lodi e Pavia che hanno introdotto lo smart working in modo strutturale la quota di smart worker raggiunge il 27%, con punte del 43% nei servizi rispetto al 17% dell’industria: una percentuale di lavoratori superiore non solo al 15% pre-Covid, ma anche al 22% dei primi mesi del 2022 (che in parte include ancora la modalità di emergenza).

I requisiti per lo smart working

Nelle aziende che hanno introdotto strutturalmente il lavoro da remoto, la compatibilità delle mansioni è quasi sempre la condizione di accesso prioritaria allo smart working (96%), seguita dall’adeguatezza della connessione (62% delle aziende). Meno rilevante è l’appartenenza ad aree aziendali predeterminate (42%). Infine, un’azienda su quattro vincola la possibilità di smart working alla frequenza di un corso di formazione mirato.

Gli investimenti

Solo il 19% delle aziende non prevede investimenti nell’ambito dello smart working. La quasi totalità delle imprese (81%) segnala la necessità di pc portatili, mentre gli investimenti sullo smartphone aziendale sono circoscritti al 38% delle aziende. Rilevante appare invece l’attenzione alla sicurezza informatica: in ben 4 aziende su 10 gli investimenti fisici sono concentrati su strumenti di protezione. Riorganizzazione di spazi e potenziamento di infrastrutture ICT hanno coinvolto circa il 30% delle aziende.

Smart working e gestione delle risorse umane

Le aziende che segnalano la necessità di cambiamenti nella gestione delle risorse connessi allo smart working sono solo il 40%, una quota sorprendentemente contenuta considerando l’impatto che tale organizzazione del lavoro comporta: in un’azienda ogni 3 è stato introdotto un sistema di valutazione basato sul raggiungimento di obiettivi, ma solo l’1% ha adottato parametri specifici di produttività per chi lavora a distanza.

Rischi e benefici dello smart working

La maggior parte delle aziende ritiene che il beneficio principale dello smart working riguardi le ricadute positive sulle vite dei lavoratori (conciliazione vita-lavoro 31%, fidelizzazione e attrattività aziendale 17%), mentre il fattore economico è quello principale per meno di un quarto delle aziende (orientamento al risultato 13%, miglioramento delle performance 6%, ottimizzazione dei costi per l’utilizzo degli spazi 4%).

Tra i pericoli maggiori, invece, vengono citati i problemi di comunicazione (29%) e il minor contributo all’innovazione (15%).

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