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Siria: i ribelli conquistano Damasco, è la fine del regime di Assad. Cosa succede ora?

FIRSTonline

Dopo 50 anni di regime Baathista, la famiglia al-Assad ha perso il controllo della Siria. La rapida avanzata dei ribelli, che in 10 giorni hanno preso città cruciali come Aleppo e Hama, ha portato al crollo del regime. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre, i ribelli sono entrati anche nella capitale, Damasco, segnando di fatto la fine del governo di Bashar al-Assad, al potere dal 2000 dopo averlo ereditato dal padre Hafez.

Assad è in fuga e sembra abbia lasciato la Siria con un volo verso una destinazione sconosciuta.

Quale futuro ora per la Siria? Il regime di al-Assad ha sempre ricevuto il sostegno di Russia e Iran, con la Siria che rappresenta una posizione strategica per entrambi, in particolare per la Russia, che ha l’unico sbocco nel Mediterraneo tramite il porto di Tartus, e per l’Iran, che utilizza il Paese come corridoio per le sue alleanze regionali. Con la sua caduta, il Paese rischia di diventare il centro degli interessi di altre potenze, sconvolgendo gli equilibri del Medio Oriente e rischiando di essere smembrata. Inoltre, potrebbe favorire la rinascita di gruppi estremisti, come lo Stato Islamico, aumentando la minaccia alla sicurezza regionale e internazionale. La già grave crisi umanitaria rischia di peggiorare ulteriormente, con milioni di sfollati e il collasso dei servizi essenziali.

I ribelli conquistano Damasco, la fine del regime di Assas

Nella notte, i ribelli a guida islamica, tra cui il gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS), hanno dichiarato di aver conquistato Damasco e annunciato la “fuga” di Bashar al-Assad. Dopo decenni di dominio del regime, che era iniziato con suo padre Hafez al-Assad, i ribelli hanno compiuto una marcia trionfale, conquistando in sole due settimane città chiave come Homs e Aleppo. A Damasco, i residenti sono scesi in strada per festeggiare la fine dell’era Baath e l’inizio di una “nuova era” per la Siria.

Con l’ingresso dei ribelli nella capitale, le istituzioni siriane sono passate rapidamente sotto il controllo dell’opposizione. Il primo ministro, Mohammed Ghazi Jalali, ha dichiarato di essere ancora a Damasco e pronto a collaborare con la nuova leadership, sebbene le istituzioni pubbliche siano rimaste sotto la supervisione temporanea dell’ex primo ministro fino al completo trasferimento dei poteri: Nessuno dovrà avvicinarsi alle “istituzioni pubbliche” a Damasco, che resteranno per ora sotto la “supervisione” del primo ministro uscente, “finché non passeranno ufficialmente di mano” ha annunciato Abu Mohammed al-Jolani, leader di HTS.

Il leader dei ribelli ha dichiarato che Damasco è stata “liberata” e che l’obiettivo ora è avviare un processo di ricostruzione, coinvolgendo tutte le forze politiche siriane. In precedenza, lo stesso al-Jolani aveva anche annunciato la vittoria a Homs: “Stiamo vivendo gli ultimi momenti della liberazione della città di Homs, è un evento storico che distinguerà la verità dalla menzogna”, ha detto al-Jolani in un video postato su Telegram.

Dopo aver preso il controllo della capitale, i ribelli hanno occupato il centro della città e la principale emittente televisiva pubblica, e hanno liberato il famigerato carcere di Sednaya, noto per i gravi abusi compiuti durante il regime, permettendo la liberazione di migliaia di detenuti.

Assad in fuga, cosa farà ora?

Il destino di Bashar al-Assad rimane incerto. Il presidente sembra essere fuggito da Damasco, con alcune voci che lo indicano direzione Teheran o Mosca, mentre altre ipotizzano che si trovi in una località sconosciuta. Bloomberg riporta che Assad potrebbe essere disposto a negoziare un esilio sicuro o mantenere il controllo sulle poche aree rimaste sotto il suo potere. Si ipotizza che attualmente si trovi a Teheran, dove starebbe cercando di mediare con gli Stati Uniti, tramite gli Emirati Arabi Uniti, offrendo di interrompere i legami con gruppi come Hezbollah, in cambio di un intervento occidentale per fermare i combattimenti. Altre fonti, invece, suggeriscono che potrebbe essere a Mosca, dove è stato anche visto per l’ultima volta il 1° dicembre, accompagnando la moglie, la first lady Asma, affetta da tumore, per la cerimonia di laurea del figlio maggiore Hafez.

La speranza di una Siria libera

Con l’ingresso dei ribelli nella capitale e la sconfitta definitiva del regime, cresce tra i cittadini la speranza di una Siria rinnovata. Nonostante le difficoltà di una ricostruzione che si preannuncia ardua, i gruppi di opposizione hanno lanciato un appello a tutti i siriani, inclusi quelli sfollati all’estero, affinché tornino a contribuire alla ricostruzione della “Siria libera”. Un paese che, si spera, possa finalmente voltare pagina dopo decenni di dittatura e guerra civile.

Usa: “Priorità è evitare la rinascita dell’Isis”

Con la caduta di Assad, le implicazioni geopolitiche per la Siria si intensificano. La Casa Bianca ha dichiarato che gli Stati Uniti monitoreranno da vicino gli sviluppi nel Paese. Il consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha ribadito che la priorità per gli Stati Uniti è impedire una nuova rinascita dell’ISIS. In un discorso diffuso nei giorni scorsi, Sullivan ha sottolineato l’importanza di prevenire una catastrofe umanitaria e di non permettere che i combattimenti in Siria creino terreno fertile per il ritorno del gruppo jihadista. Il governo degli Stati Uniti, quindi, ha annunciato di essere pronto ad agire per evitare il peggioramento della situazione.

Le forze ribelli sono quindi impegnate anche su questo fronte, cercando di mantenere il controllo nelle aree liberate e assicurandosi che il territorio siriano non venga nuovamente contaminato da forze estremiste. Questo equilibrio precario sarà determinante per la stabilità del paese, nonostante il lungo periodo di conflitto che ha lasciato profonde cicatrici.

Parallelamente agli sviluppi sul campo, le diplomazie occidentali sono già al lavoro per avviare un processo di transizione politica. La priorità delle potenze occidentali è quella di avviare un dialogo a Ginevra che favorisca la transizione post-Assad, con la presenza di tutte le forze politiche siriane, anche se alcuni esponenti, come il gruppo HTS, non sono ben visti da tutte le cancellerie.

Il gruppo islamico radicale Hayat Tahrir al-Sham (HTS), nonostante essere stato designato come “gruppo terroristico” da molte potenze occidentali, potrebbe avere un ruolo importante nelle trattative, considerando che ha una forte influenza sul terreno. Tuttavia, è probabile che le cancellerie occidentali cerchino di negoziare senza compromettere il proprio prestigio internazionale, evitando di legittimare direttamente le fazioni più radicali.

Una sconfitta anche per Putin

Mentre la Siria alawita di Bashar al-Assad crolla sotto l’assalto dei ribelli, Iran e Russia, storici alleati del regime, sembrano impotenti. Nonostante la richiesta di un “dialogo politico” tra il governo siriano e l’opposizione, le potenze che hanno sostenuto Assad in passato sono ora fiaccate da conflitti interni e da economie in declino, difficilmente in grado di salvare il loro principale alleato.

A Doha, i ministri degli Esteri di Russia, Iran e Turchia, insieme all’inviato dell’Onu Geir Pedersen, si sono incontrati per discutere della situazione. Durante la riunione, hanno ribadito la difesa della “sovranità e integrità territoriale” della Siria e la necessità di stabilizzare rapidamente il paese. Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha dichiarato che è “inammissibile” che un gruppo terroristico prenda il controllo della Siria, mentre l’iraniano Araghchi ha sottolineato l’importanza di negoziati tra le parti.

Il ruolo di Mosca è stato cruciale nel 2015, quando Vladimir Putin ha salvato Assad con raid aerei e forniture militari, rafforzando la base russa a Tartus. La perdita di questa base, insieme alla caduta di Assad, sarebbe un grave danno per la Russia, che perderebbe l’accesso al Mediterraneo. Inoltre, l’ascesa di HTS potrebbe cambiare l’assetto religioso della Siria, favorendo l’Arabia Saudita, tradizionale avversario dell’Iran nella regione, già sostenitore di Donald Trump durante il suo primo mandato.

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