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Siria: i ribelli alle porte di Damasco, il regime di Assad vacilla

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La coalizione dei ribelli filo-turchi avanza inarrestabile verso Damasco, con Homs ora al centro del conflitto. Con l'”appoggio” del presidente turco Erdogan, i ribelli, dopo aver conquistato Aleppo e Hama, puntano ora a questa città strategica, ultimo grande baluardo prima della capitale siriana. Situata a soli 160 chilometri da Damasco, Homs è un nodo logistico strategico. La sua caduta rappresenterebbe non solo un colpo devastante per i collegamenti tra le roccaforti governative, ma anche un duro colpo al morale delle forze pro-regime. Secondo fonti locali, riprese da Reuters, i ribelli siriani starebbero per entrare ad Homs dalla parte nord e orientale.

Nonostante le dichiarazioni di sostegno al governo di Assad, l’Iran vede il ritiro delle sue forze filo-iraniane, mentre la Russia invita i propri cittadini a lasciare il Paese. Nel frattempo, il leader ribelle Abu Muhammad al Jolani tenta di rassicurare l’Occidente, sottolineando l’impegno al rispetto delle minoranze religiose.

L’importanza strategica di Homs

Homs sorge all’incrocio di due autostrade fondamentali: la M5, che collega il nord al sud del paese, e la M1, direttrice verso la costa mediterranea e Latakia, altro bastione lealista. I ribelli hanno già occupato la tangenziale nord della città, ponendo sotto tiro i collegamenti strategici. Se dovessero avanzare fino alla tangenziale sud, potrebbero interrompere definitivamente i collegamenti rapidi tra Damasco e la costa, isolando il regime e frammentandone il controllo territoriale.

Oltre alla rilevanza logistica, la caduta di Homs avrebbe un impatto psicologico devastante per l’esercito governativo. Le truppe di Assad sono già in uno stato di profonda insicurezza, osservandosi a vicenda per decidere se continuare a combattere o abbandonare le posizioni. Una ritirata da Homs rappresenterebbe un segnale di sfiducia nel futuro del regime, incoraggiando ulteriormente l’avanzata dei ribelli. Al contrario, una resistenza riuscita potrebbe indicare una capacità residua di difendere Damasco.

Homs è anche un simbolo di resistenza e violenza. Nel 2011 fu la prima città a ribellarsi contro Assad, subendo un sanguinoso assedio che ne ridusse gli abitanti alla fame. Durante quell’assedio, l’esercito governativo bombardò la città senza tregua, causando la morte di civili e giornalisti, tra cui l’americana Marie Colvin e il fotografo francese Rémi Ochlik. La città, con la sua composizione etnicamente e religiosamente mista, è stata anche teatro di violenze settarie tra la maggioranza sunnita, la minoranza alawita e i cristiani.

I ribelli sono alle porte di Damasco

L’avanzata dei ribelli verso Damasco procede inarrestabile da diverse direzioni. Secondo alcuni media, dopo aver preso il controllo di Sanmin, i ribelli si trovano a soli 20 chilometri dalla capitale. Ma intanto cominciano a circolare voci che i ribelli abbiano raggiunto un sobborgo a nord est di Damasco, nel quartiere druso e cristiano di Jaramana.

A est di Homs, invece le forze anti regime hanno occupato Qaryatayn, una posizione strategica lungo la strada per Palmira. Parallelamente, il regime di Assad sta abbandonando diverse posizioni chiave, tra cui la base aerea T-4 nei pressi di Palmira, concentrando le sue forze a Damasco in un disperato tentativo di organizzare una difesa.

Nel sud, il regime è in gravi difficoltà. A Suwayda, città abitata prevalentemente da drusi, la popolazione si è ribellata, rompendo il tradizionale sostegno delle minoranze religiose al governo. A Daraa, i ribelli hanno disatteso gli accordi di riconciliazione siglati in passato, sicuri che il regime non sia più in grado di riprendere il controllo della regione. Da lì, gli insorti hanno avanzato verso nord, conquistando località come Izraa, sempre più vicine a Damasco.

La coalizione filo-turca ha spezzato le difese governative in diverse regioni, creando un effetto domino che minaccia la tenuta del regime. Il progressivo isolamento di Damasco e Latakia rende la situazione insostenibile per Assad, che potrebbe trovarsi costretto a ritirarsi completamente dalla capitale. Ma intanto è mistero su dove sia il leader siriano.

Ore contate per Bashar al-Assad?

Da domenica scorsa, Bashar al-Assad non è più apparso in pubblico, scatenando voci su una possibile fuga all’estero. Alcune fonti lo collocano a Mosca con la famiglia, altre negli Emirati Arabi Uniti, già attivi nel promuovere mediazioni per il conflitto siriano, mentre altre ancora ipotizzano un rifugio a Teheran. Al momento, nessuna di queste ipotesi ha trovato conferma.

Nei giorni precedenti, la first lady Asma, malata di tumore, era a Mosca per la cerimonia di laurea del figlio maggiore Hafez. In quella occasione, Assad avrebbe incontrato Vladimir Putin, tornando poi a Damasco il 1° dicembre per ricevere il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. Da allora, il presidente è scomparso dalla scena pubblica.

Nel frattempo, secondo il Wall Street Journal, funzionari egiziani e giordani avrebbero suggerito ad Assad di lasciare la Siria per guidare un governo in esilio. E se moglie e i figli sarebbero appunto in Russia, i cognati avrebbero trovato rifugio negli Emirati Arabi Uniti. La proposta del governo in esilio rappresenterebbe un tentativo diplomatico per spingerlo a riconoscere la sconfitta e garantirgli una via di salvezza.

I media statali di governo, però, smentiscono ogni illazione: Bashar al-Assad si trova a Damasco e sta svolgendo regolarmente le sue attività.

Israele rafforza le difese al confine

Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno potenziato la loro presenza sulle Alture del Golan, al confine con la Siria, a causa dell’avanzata dei jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e delle fazioni alleate. L’esercito israeliano ha dichiarato che il rafforzamento delle truppe permetterà di migliorare le difese e prepararsi a vari scenari.

Iran e Stati Uniti invitano a lasciare la Siria

La situazione in Siria sta precipitando velocemente e anche l’alleanza tra Assad, Mosca e Teheran sta vacillando. Nonostante gli sforzi russi per mantenere il regime al potere, le difficoltà sul campo sono diventate evidenti. L’Iran ha così iniziato a ritirare comandanti militari di alto rango, membri della forza Quds, diplomatici e civili dalla Siria. Le evacuazioni, avviate venerdì, vedono alcuni funzionari partire in aereo, mentre altri viaggiano via terra verso il Libano, l’Iraq e Latakia. Il motivo del ritiro, secondo un analista iraniano, è che l’Iran non può più supportare un esercito siriano che non vuole combattere. Nel frattempo, anche la Giordania esorta i suoi cittadini a lasciare il paese, mentre gli Stati Uniti esortano i propri connazionali a partire immediatamente, avvertendo che la situazione di sicurezza è instabile e imprevedibile.

Il valico di Al-Qaim con la Siria è, invece, attualmente chiuso, accessibile solo agli iracheni che vogliono rientrare in patria. Ma fonti di sicurezza di Baghdad segnalano che circa 2.000 soldati e ufficiali siriani sono fuggiti attraverso il valico. Le autorità irachene hanno autorizzato il loro ingresso fornendo assistenza ai feriti ricoverati nell’ospedale locale.

L’Onu segnala una crisi umanitaria con 400.000 sfollati in una settimana.

Riunione d’emergenza alla Farnesina, Tajani: “Italiani in Siria sotto controllo”

Questa mattina si è tenuta una riunione d’emergenza alla Farnesina, convocata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, per discutere la situazione in Siria. Alla riunione erano presenti gli ambasciatori italiani in diversi Paesi, tra cui Damasco, Doha, Tel Aviv, Amman, Beirut, Teheran, Baghdad, Abu Dhabi, Cairo, Riad, Ankara, Mosca e la Santa Sede. I temi principali trattati riguardano le iniziative politiche e diplomatiche per fermare le operazioni militari e organizzare l’evacuazione dei religiosi e degli italiani presenti in Siria.

Tajani ha confermato che la situazione degli italiani in Siria è sotto controllo, con circa 300 cittadini italiani nel Paese. Alcuni di loro sono riusciti a lasciare la Siria, e tutti sono in contatto con l’ambasciata italiana a Damasco. Il ministro ha sottolineato che la principale preoccupazione rimane la protezione dei civili e delle minoranze, avvertendo della possibilità di una crisi migratoria. Inoltre, ha annunciato l’attesa di progressi nei negoziati a Doha per una soluzione politica alla crisi.

A Doha colloqui per la pace

A Doha sono iniziati i colloqui tra Iran, Russia e Turchia sulla situazione in Siria, con il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, il russo Serghei Lavrov e il turco Hakan Fidan che si sono incontrati nel formato Astana, nato nel 2017. Il ministro iraniano Araghchi ha espresso il suo sostegno completo al governo siriano del presidente Bashar al Assad e ha accusato Israele e Stati Uniti di appoggiare i ribelli jihadisti che stanno imperversando, minacciando Damasco.

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