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Siria e Medio Oriente: se il petrolio conta più della pace

Gli Oil Games dominano conflitti vecchi e nuovi e gli interessi americani per l’industria dello shale oil si saldano con le mire conservatrici dei sauditi e con quelle dei russi fuori dall’Opec: ecco perchè una pace stabile in Medio Oriente resta un miraggio – Gli scenari che si aprono con l’era Trump – Gli investimenti energetici al centro dell’attenzione nel 2017

Siria e Medio Oriente: se il petrolio conta più della pace

Dopo lo storico accordo dell’Opec, gli analisti proiettano i prezzi del greggio molto vicini ai 60 dollari già nel primo quadrimestre del 2017, ma poi gli interessi dell’industria dello shale oil statunitense si intrecciano con le mire conservatrici di sauditi da un lato e russi dall’altro, e la situazione si complica. Penso sia ormai abbastanza evidente che se nessun Paese del Golfo è aperto all’accoglienza dei migranti siriani, che rappresentano un enorme costo sociale, tantomeno sia interessato a una pace stabile in Medio Oriente e quindi a rischiare una presenza occidentale stabile nell’area dove ancora una volta sono gli “Oil Games” a dominare sui conflitti vecchi e nuovi.

I numeri sono tristemente noti: 5 anni di guerra in Syria, 400 mila morti e 11 milioni di rifugiati sparsi fra Turchia, Giordania, Iraq, Libano ed Europa. Non un solo Paese del Golfo, dove il controllo del territorio da parte delle monarchie al potere è molto stretto, pare determinato a permettere che alcuno oltrepassi i confini mettendo a rischio decenni di politiche sociali misurate sia nella ridistribuzione della ricchezza ma soprattutto nell’accesso alle informazioni, ai media ed a internet.

Se le primavere arabe sono state la miccia e hanno offerto il destro a un’invasione “organizzata” degli jihadisti in Syria, mirata a scardinare definitivamente lo scomodo potere della minoranza alawita, al comando dal 1966, in questi Paesi il controllo è stato ferreo, nonché costoso in alcuni casi come per ricomporre i disordini in Bahrein. Ma proprio gli anni ’70 sono un’epoca nella quale, quasi in contemporanea all’ascesa alawita, il wahabismo saudita usciva dai confini nazionali del suo Paese di origine e veniva utilizzato dagli Usa per alimentare la nascita truppe di ribelli in Afghanistan e poi si diffondeva rapidamente nell’Asia Centrale con varie implicazioni geopolitiche e destabilizzanti degli equilibri etnico religiosi di molti Paesi sino a quell’epoca tranquilli come Georgia, Crimea, Uzbekistan, Azerbaijan…

Uno tsunami che aveva come scopo, oltre a implementare un ritorno del fondamentalismo religioso, anche di punire le istanze repubblicane e progressiste dei Paesi più vicini come in Algeria, Libia, Egitto e Siria. Gli Usa quindi per anni hanno giocato con il fuoco, convinti di essere in grado addirittura di strumentalizzare certe derive come Al Qaeda o la Fratellanza Musulmana. Ma senza ripercorrere una storia che non sempre è stata approfondita accuratamente, sullo sfondo delle ideologie che hanno visto contrapposti il mondo sunnita a quello sciita musulmano vi erano i due blocchi contrapposti Usa e Russia a fronteggiarsi, dalla Guerra di Suez del 1956 sino ad oggi, sul terreno devastato delle macerie siriane.

Bashar Al Assad non si è piegato alle intricate dinamiche del risiko del petrolio e del gas e così il Paese è stato invaso da ribelli ben armati e organizzati ed ora Russia, Turchia, e Iran da un lato fronteggiano l’Armata Brancaleone occidentale dall’altro sfidano i Paesi del Golfo guidati da un’Arabia Saudita debole economicamente che per la prima volta nella sua storia ricorre ad una presentazione in slide per mostrare al mondo numeri ufficiali che stupiscono e non convincono fino in fondo anche i più addestrati analisti .Ma sembra più il tentativo di rassicurare il mercato dopo l’eccezionale successo delle recenti emissioni di obbligazioni che altre ne seguiranno e che l’emittente è solido. Infatti l’annuncio concomitante che il prossimo anno emetteranno almeno tra i 10 ed i 15 miliardi di dollari sui mercati internazionali dopo l’eccezionale vendita del bond emergente più imponente da tempo lanciato in ottobre per 17,5 miliardi di dollari multitranche a 5,10 e 30 anni ne è la conferma.

Il severo piano di riforme denominato Vision 2030 dimostra poi che la crisi ha colpito duro sui Paesi del Golfo che necessariamente devono ricorrere alla finanza convenzionale per ripianare e dare respiro a bilanci pubblici che mostrano ampi deficit ed alle finanze ridimensionate delle case regnanti. Si parla di un fabbisogno di finanziamento secondo i rapporti di Standard & Poor’s pari a quasi 600 miliardi di dollari usa da qui al 2020.

Trump conosce meglio di Obama questa situazione, soprattutto dal lato degli scambi commerciali e degli interessi che li caratterizzano da sempre tra gli attori dell’area e cercherà di sfruttarla a suo favore preferendo nettamente agevolare le esigenze dei Paesi del Golfo piuttosto che mostrarsi accondiscendente con l’Iran, e lasciando a Putin con la Troika della Dichiarazione di Mosca di giocarsi la carta della tregua militare a fianco di Turchia e Iran.

Ma soprattutto ora la preoccupazione è di una dislocazione di pezzi dell’IS in fuga da Iraq e Syria verso la Libia, sempre a caccia di risorse petrolifere a braccetto con i ribelli di al Nusra. E quindi entra ancora una volta in gioco la politica estera di Trump a fianco dell’unico Paese non islamico del Medio Oriente, Israele, considerato da sempre un’avanguardia occidentale. Ed è anche per questo che i sauditi ed i Paesi Gcc non vogliono una stabile pace israelo-palestinese: per non avere gli occidentali ben dislocati al centro del loro risiko petrolifero.

Tanto che Obama ha fatto di tutto per indebolire la storica alleanza Usa – Israele, valutando nella sua scarsa lucidità che sacrificando Israele gli Usa avrebbero potuto accreditarsi a pieno titolo proprio con quei Paesi che da 50 anni sono i veri e unici dominatori dell’Area. È inciampato però nella mania di grandezza e smania di risultati politicamente spendibili che o hanno portato ad allargarsi anche sull’Iran e così l’House of Cards è crollata miseramente tra sberleffi degli ayatollah e mancate promesse sin dal primo storico annuncio di un supposto accordo sul nucleare.

Il 2017 sarà un anno in cui le risorse energetiche saranno al centro dell’attenzione degli investitori, perché faranno da spartiacque non solo ad un flusso di nuovi investimenti sul comparto energetico, che in molti casi appare ancora sottovalutato, ma vedranno alternarsi il dramma venezuelano alle speranze brasiliane e rafforzeranno le certezze russe di guidare una riscossa. Politica e petrolio resteranno le indiscusse dominatrici di buona parte delle fortune finanziarie 2017, cancellando il ricordo di due anni caratterizzati dal petrolio a prezzi di saldo.

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