Ieri alla SIOI (Società italiana per le Organizzazioni Internazionali) si è tenuta un’importante conferenza sul tema dell’accoglienza e protezione dei rifugiati in Europa. L’occasione è stata la pubblicazione di uno studio del CIR (Centro italiano Rifugiati) dove, oltre l’analisi dei flussi migratori dell’ultimo periodo, si punta anche e soprattutto a stimolare la nascita di opzioni alternative alla traversata del mediterraneo nelle mani dei trafficanti – come ha sottolineato il consigliere strategico del CIR tedesco Christopher Hein.
Sempre l’analista tedesco specifica in breve quali possano essere tali opzioni. Innanzitutto deve essere chiaro che non tutti vogliono venire in Europa, spesso solo terra di passaggio; inoltre quasi tutti preferirebbero rimanere vicini ai loro luoghi di nascita, dai quali si trovano costretti a scappare. Proprio qui – prosegue Hein – vi è stato un grave errore della comunità internazionale ed europea che ha investito poco nel fornire aiuti nelle vicinanze dei paesi d’origine dell’emergenza. In secondo luogo non possiamo negare la possibilità di un viaggio di fuga sicuro dalle zone di guerra: occorre costruire ponti, non muri. Nel merito, le nostre proposte puntano a fornire visti umanitari per i richiedenti asilo (dal 2011 a oggi i visti per i siriani sono arrivati a 0). Procurandoli al migrante prima che parta, non all’arrivo negli hotspot sovraffollati e sovraccaricati.
Fulcro della conferenza e di tutti gli interventi è stata proprio l’espressione “Ponti, non muri”, significativamente posta a titolo della tavola rotonda – anche ricordando le recenti parole papali nell’ultimo angelus giubilare. A introdurre e moderare i contributi degli invitati, la direttrice del Tg3 Bianca Berlinguer, che ben delinea le linee guida e i fulcri del discorso che si andrà a sviluppare. Due, i punti cardine: discussione degli accordi di Schengen e di Dublino. Da una parte le spinte alla chiusura delle frontiere interne, definendo de facto un ritorno all’era pre-comunitaria, dall’altra la necessità di andare oltre la regola secondo qui si può richiedere lo status di rifugiato solo nel paese di arrivo – sancita a Dublino.
Entrambi i punti saranno oggetto del Consiglio Europeo straordinario che si terrà tra poche settimane, dove si ricercherà il consenso per mantenere saldi gli accordi di Schengen e di proporre, appunto il superamento di alcune delle norme di Dublino. Franco Frattini, presidente della SIOI, al proposito, si dice scettico sul raggiungimento del consenso a livello comunitario dato che – come sottolinea il prefetto Morcone – la maggior parte dei paesi a parte Italia, Svezia e Germania, nascondono la testa dietro il cespuglio pur di non affrontare il problema nel merito. Frattini prosegue poi ammonendo il dibattito in corso su due fronti. Innanzitutto innalzare le frontiere interne è un mero controsenso, bisognerebbe piuttosto rafforzare i controlli sulle frontiere esterne europee, soprattutto a Est. In secondo luogo, riferendosi alla possibilità di schierare la NATO nel Mediterraneo, taglia corto dicendo che se così sarà bisognerà sancire definitivamente fallito il disegno di un’Europa politica dotata di una sua politica estera.
Interessanti, infine, gli interventi del capogruppo dei socialisti a Bruxelles Gianni Pittella e del sottosegretario Sandro Gozi. Il primo specifica che siamo in presenza di un fenomeno strutturale, non più congiunturale, perciò durevole con numeri di richiedenti asilo che rimarranno costanti per molti anni, o che potrebbero addirittura crescere. L’europarlamentare, poi, rimprovera il dibattito politico sul tema svelando quelli che nel suo discorso sono tre falsi storici. Innanzitutto, dice, bisogna finirla con la retorica dell’invasione, quando parliamo di 2 milioni di richiedenti asilo in Europa, mentre in Libano ve ne sono 1,5 milioni per poco più di 4 milioni di abitanti e nella sola Turchia 3 milioni. Secondo, l’equazione rifugiato=terrorista non ha fondamento scientifico, basti pensare lucidamente che si sta accusando gente che scappa dal terrorismo, di essere terrorista. Infine, il problema nonn può essere risolto con la chiusura di Schengen, al contrario occorre potenziare il controllo alle frontiere esterne, non alzare barriere interne. Inoltre bisogna cominciare a pensare al costo della non-Schengen che si sta rivelando altissimo, soprattutto a livello commerciale, eppure se ne parla poco e in modo isolato.
Pittella passa poi a commentare i diktat europei imposti a paesi come la Grecia, sono una follia, dice, ricordando al contempo la battaglia per regalare 3 miliardi alla Turchia che ancora non fa parte dell’Ue – stanziandone solo 250 milioni per la Grecia, tra l’altro a patto di significative riforme strutturali nel breve periodo. Bisogna sbloccare il sistema, conclude, oltrepassando gli egoismi nazionali. Ultimo a prendere la parola, Sandro Gozi sottolinea che bisogna scongiurare la conferma dello status quo nel prossimo Consiglio e prendere una decisione necessaria e definitiva sul tema dei rifugiati. L’Ue, afferma, ha la tendenza a procrastinare le questioni cruciali dove dovrebbe dimostrare, al contrario, le ragioni della sua esistenza, marcando i moventi delle scelte di alcuni paesi membri, come quelle italiane.
Fornendo un’ipotetica agenda di governo europea, Gozi afferma che accanto alle soluzioni pragmatiche del breve periodo – che ancora devono essere trovate – bisogna cominciare a pensare a una soluzione strutturale, che richiede un lavoro negoziale molto complesso e di lungo periodo ma che necessita di essere intrapreso da subito. Infine, anche il sottosegretario torna sul tema dei passi indietro da Schengen. “E’ preoccupante la sua messa in discussione, sarebbe un ritorno al passato devastante. Tornare a innalzare muri – conclude – vorrebbe dire tornare all’Europa della shoah, di Aushwitz, e sarebbe veramente difficile pensare a un futuro per un’Europa del genere”.
La tavola rotonda nella sala conferenze di Piazza San Marco è stata di cruciale importanza perché ha ben definito le priorità che Consiglio, Commissione e Parlamento Europeo si troveranno a discutere nei prossimi mesi, augurando un processo decisionale il più veloce ed effettivo possibile. Proprio la celerità appare essere un elemento di non secondaria rilevanza. Infatti, se in questi mesi invernali stiamo assistendo a ingenti masse di flussi migratori con tutte le difficoltà climatiche che ne sono sottese, non è difficile immaginare quale impennata possa arrivare con i mesi più miti, dalla primavera in poi.
Pare evidente a tutti, infine, che la fase critica si è già evoluta in situazione strutturale. Lo ha detto Pittella, lo ha ribadito Gozi e lo hanno confermato i dati forniti dal prefetto Morcone e dagli analisti del CIR. È chiaro quindi che le soluzione del hic et nunc non possono essere sufficienti e occorre tornare a pensare a come costruire una governance europea efficace ed effettiva, accostando necessariamente un pensiero a come gettare le basi per una funzionante governance globale – dato che i problemi, comunque sia, vengono da fuori i confini europei e interessano le sfere geopolitiche della quasi totalità degli attori nell’arena internazionale.