“Il progetto approvato che mi ha dato più soddisfazione? La riconversione degli ex scali ferroviari, che daranno un nuovo volto alla città. Ma il mio sogno è quello di riaprire i Navigli”. E’ un Beppe Sala innamorato della storia della sua Milano ma proiettato nel futuro quello che commenta con FIRSTonline alcuni dei temi affrontati nel suo ultimo libro, “Milano e il secolo delle città”, edito da La Nave di Teseo e nel quale il sindaco della capitale economica italiana ripercorre tappe della sua storia personale e politica. Dall’Expo all’Agenzia del Farmaco, dal ruolo che le grandi città giocano nell’era della globalizzazione al presidente francese Macron, che potrebbe diventare un nuovo modello politico: “Non è ancora chiaro il suo orientamento, anche se si bilancia bene tra destra e sinistra”.
Sindaco Sala, nel libro, come in molte altre occasioni, lei non ha esitato a parlare di “modello Milano”: crede che il successo della sua città sia esportabile a livello nazionale? Lei inoltre sostiene che “Milano non ha il tempo di aspettare la politica, se la politica non rispetta i suoi tempi”, e che la città crescerà anche se l’Italia non dovesse fare altrettanto. E’ davvero così?
“Uno dei ritornelli che sento più spesso è quello che recita: “Milano è la locomotiva d’Italia”. Purtroppo questa dichiarazione rischia di rimanere fine a se stessa, perché la locomotiva trascina i vagoni alla stessa velocità e non è quello che sta accadendo. Perciò, quello che io chiedo è di dare modo a Milano di fare le migliori esperienze e sostenerla in modo che possa trasmetterle a tutta Italia. La nostra città sta vivendo un periodo particolarmente vivace e propositivo, perché ognuna delle sue componenti – istituzioni, industria, società civile, terzo settore – fa la propria parte al meglio. Ora, avremo sempre bisogno del Governo su alcuni temi. Ma ciò non toglie che Milano, aperta all’Europa e al mondo, possa andare avanti da sola, come guida operativa del Paese”.
Il “secolo delle città”, titolo del libro, è una citazione dell’ex sindaco di New York Bloomberg. Lei sostiene che le città siano “i luoghi più adatti per affrontare i grandi temi del futuro e per orientare la qualità della vita del pianeta”. Non è un po’ un paradosso, in tempi di globalizzazione?
“Non lo è, se si considera che già oggi il 50 per cento della popolazione mondiale vive in città e che, entro il 2050, questa percentuale potrebbe crescere fino a raggiungere il 75 per cento. Ciò significa due cose. La prima è che bisogna constatare che nelle città si concentra la maggior parte delle risorse finanziarie, tecnologiche, culturali e umane; la seconda è che questa presenza di risorse apre delle sfide in ambito ambientale, sociale ed economico che riguardano tutte le città, in egual misura seppur ognuna mantenga la propria specificità territoriale. Per questo, occorre fare appello sempre più alla responsabilità locale, per orientare l’azione globale”.
In Italia, in virtù di un diverso sistema elettorale, le città hanno anche il pregio di essere più governabili del Paese stesso. Lei in questo senso dice di invidiare il modello francese e l’elezione di Macron. Come valuta il primo anno di mandato del presidente francese? Pensa che sia un modello politico a cui ispirarsi?
“Non ho detto di invidiare il modello elettorale francese, ma penso che l’Italia abbia bisogno di un sistema (come quello francese, ma non necessariamente quello) che metta un leader politico nelle condizioni di governare realmente. Il primo anno di Macron è stato molto apprezzabile, soprattutto per determinazione e capacità di leadership. Forse non è ancora chiarissimo l’orientamento generale della sua politica, anche se spesso sembra volutamente bilanciarsi tra destra e sinistra”.
Dopo Expo, Porta Nuova, i Navigli e CityLife, la nuova grande sfida urbanistica di Milano è quella degli ex scali ferroviari. Diventeranno anche loro un immenso spazio commerciale, come le attuali grandi stazioni e la stessa CityLife, o ci sono idee diverse?
“Sugli ex scali ferroviari è stato sottoscritto e approvato dal Consiglio Comunale un accordo di programma che parla in maniera molto chiara. Per esempio, il 65 per cento dell’oltre milione di metri quadrati della superficie complessiva – ovvero 675mila metri quadrati – sarà lasciata a verde; almeno il 30 per cento delle volumetrie complessive saranno destinate a residenza sociale e convenzionata, con 3.400 alloggi per le fasce sociali più deboli. Per gli edifici “non residenziali” – uffici, commercio, manifattura, logistica, etc – sarà a disposizione oltre il 32 per cento delle volumetrie complessive, ma con il divieto di costruire centri commerciali e grandi strutture di vendita”.
Nel libro in più di un’occasione lei critica il mito della decrescita felice, precisando però che è anche finito il tempo dello sviluppo senza freni. Il futuro è dunque in una via di mezzo? Quale?
“Il futuro sta nella responsabilità di capire che, oggi, bisogna coniugare le ragioni della crescita con le sfide concrete del quotidiano. Una responsabilità che le città, in buona parte, si stanno già prendendo”.
Secondo gli scienziati il riscaldamento globale apre a scenari apocalittici entro la fine del secolo. Cosa può fare su questo tema l’Italia e soprattutto Milano, che nonostante tutti gli sforzi profusi, dall’Area C alla mobilità condivisa, al trasporto pubblico e alla cura del verde urbano, continua ad essere nell’immaginario collettivo – e nei fatti – la città dello smog? Quando riuscirà a scrollarsi di dosso questa nomea?
“Milano si sta confrontando con molta serietà su questo tema. Posto che la città si trova in un piano con la relativa difficoltà nel ricircolo dell’aria – su cui non possiamo intervenire -, abbiamo dato avvio a una serie di iniziative volte a migliorare la qualità dell’aria che si respira. Penso agli impegni presi nell’ambito del network internazionale di città C40 – riguardo l’identificazione di un’area a basso impatto ambientale in cui non circolino veicoli alimentati a combustibili fossili e l’acquisto di soli bus elettrici per il servizio di trasporto pubblico -; così come penso alla sempre più massiccia diffusione dei servizi di bike e car sharing, al potenziamento delle linee metropolitane (e con questo ricordo che stiamo lavorando al prolungamento delle linee esistenti oltre che alla costruzione di nuove linee metropolitane e tranviarie, per servire un’area sempre più vasta) nonché all’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati, a partire da incentivi per il cambio delle caldaie”.
Avete da poco presentato ricorso per l’assegnazione dell’Agenzia europea del farmaco, vinta da Amsterdam al sorteggio: quante possibilità ha Milano di riportarla a casa?
“Credo sarà difficile vincere il ricorso ma bisognava provarci, fino in fondo. Il dossier presentato da Milano era ed è di qualità: aveva tutte le carte per vincere. Per questo ho ritenuto doveroso far sentire la nostra voce. Dobbiamo spingere affinché venga accertato che ci siano le condizioni per una effettiva operatività immediata di Ema ad Amsterdam. Se così non fosse, sarebbe molto grave. Perché l’Ema decide quali medicine si possono somministrare e quali vanno ritirate in tutta Europa. La questione che si apre è sì politica, ma anche un problema di salute pubblica”.
Se dovesse scegliere una sfida tra quelle vinte finora da Sindaco, a quale si sente maggiormente affezionato? E quale è la prossima che vorrebbe vincere?
“Tra gli obiettivi raggiunti, un posto importante lo ricopre proprio l’accordo di programma sugli ex scali: contribuirà a dare un nuovo volto alla città. Mi piacerebbe, poi, vincere la sfida della mobilità, per i motivi spiegati prima, e quella della riqualificazione delle periferie. Non nego, inoltre, il desiderio di vedere riaperti i Navigli”.
Milano città d’acqua fa il paio con la Roma imperiale fascista. Non si tratta di riaprire, ma di riscavare. Per pedonalizzare non c’è bisogno di canali. Se li si fa per i turisti sono una Disneyland. Valorizziamo quelli che ci sono già, rendendoli navigabili fin dove si può. Per la pedonalizzazione non c’è bisogno di canali. La Regione ha bocciato i navigli a tratti puramente ornamentali preferendo la navigazione dal Bergamasco a Milano. Si ricordino che il canale Cremona-Milano si è bloccato a Pizzighettone. Nessuno penserebbe mai di scavare canali nel centro di una metropoli se non fosse fissato con le glorie antiche