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Silvestri (Iai): “Un’Europa a più motori per battere i populismi”

INTERVISTA DEL WEEK END – Stefano Silvestri, consigliere scientifico e past president dell’Istituto Affari internazionali, delinea gli scenari che seguiranno la firma in Campidoglio della “dichiarazione” a 27 in occasione delle celebrazioni per i 60 anni dei Trattati di Roma – ” Una maggiore flessibilità è necessaria per non dividere l’Unione” – “Presidenziali francesi vero spartiacque per la Ue”

Silvestri (Iai): “Un’Europa a più motori per battere i populismi”

Grandi rivoluzioni non sono in arrivo. Ma il vertice che celebra i 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, sabato 25 marzo in Campidoglio, può segnare l’inizio di una fase di rilancio dell’Unione europea. “La direzione è quella di un’Europa a più motori, una sola Europa ma con più avanguardie, una Ue flessibile dove tutti camminano e alcuni corrono”. Le direttrici sono tre: sicurezza interna e immigrazione; difesa; economia. E’ moderatamente ottimista Stefano Silvestri, europeista convinto, consigliere scientifico e past president dell’Istituto Affari Internazionali (Iai), conoscitore tra i più titolati e attenti della geopolitica europea e globale. Guarda al summit di Roma con l’occhio esperto di chi punta al risultato auspicabile ma anche possibile, in un continente mai come oggi bersagliato dai populismi, e spaventato dalla globalizzazione. La Brexit ormai decisa, l’incognita delle elezioni in Francia e Germania, le spinte alla frammentazione e le sponde offerte da Donald Trump, da un lato e Vladimir Putin dall’altro: sono alcuni degli argomenti al centro dell’intervista a FIRSTonline.

Quali novità escono, al di là del valore simbolico, dal manifesto-documento che firmeranno i capi di Stato e di governo europei a Roma? Può la firma da parte di tutti i 27 Paesi membri sabato a Roma rappresentare una scossa e un punto di rilancio per un’Europa bersagliata da populismi, sovranismi, nazionalismi e dalla globalizzazione vissuta come minaccia?

“Non possiamo aspettarci grandi rivoluzioni dalla firma del documento che celebrerà l’anniversario dei Trattati: avrà necessariamente un approccio molto diplomatico per poter essere firmato da tutti i 27 Paesi membri. Tuttavia credo ci sia l’intenzione di dare nuovo impulso all’Unione su tre direttrici: la politica estera e la difesa; la sicurezza interna e l’immigrazione; l’economia. Si va verso un approccio più flessibile per evitare divisioni”.

Che tipo di flessibilità? L’Europa a due velocità, o a “due intensità” come dovrebbe affermare il testo che sarà firmato dai 27, è l’unica soluzione possibile per uscire dallo stallo in cui oggi si trova l’Unione?

“E’ una soluzione alla quale possiamo credere. Alcune proposte sono già sul tappeto, per esempio riguardo alla ricerca per la difesa e la sicurezza; o per le prospettive negli Affari Interni se si riuscirà a creare una sorta di Fbi europea che faccia riferimento ad un’unica Procura dell’Unione. Si tratta di obiettivi ambiziosi ma si va in questa direzione. Certo il documento di Roma sarà più sfumato ma l’idea è che si vada avanti con chi si sente pronto mentre gli altri Paesi, che oggi non sono disposti a seguirli, accettino però che uno o più nuclei vadano avanti per primi”.

Quindi non un’Europa di serie A e una di serie B, ma più poli con velocità diverse?

“Si parla di cooperazione rafforzata intorno ad una politica specifica, gestita da istituzioni comuni ma che si rivolge solo a quei Paesi che intendono applicarla. Il gruppo può allargarsi successivamente ad altri che intendono aggiungersi al progetto. Può funzionare e ha già funzionato in passato. Pensiamo al caso di Schengen, nato come patto esterno all’Unione e successivamente inserito nei trattati o alla nascita dell’euro che è la cooperazione rafforzata più importante che abbiamo: come sappiamo non riguarda tutti. Non è detto, poi, che ci siano due soli gruppi ma in prospettiva potremmo avere anche 6 o 7 politiche specifiche seguite da raggruppamenti diversi fra loro anche se è auspicabile che alcuni Paesi – come Francia, Germania, Italia e Spagna – siano sempre presenti poiché la loro assenza ridurrebbe il valore politico del progetto”.

Per l’economia, quali potrebbero essere gli obiettivi?

“Penso all’obiettivo di una politica fiscale comune; al ruolo, che la Bce oggi non ha ma che è tipico di una banca centrale, di prestatore di ultima istanza, il lender of last resort come la Fed americana; ma anche alla proposta della Commissione di un piano finanziario europeo per la ricerca in nuovi armamenti svincolato dal tetto deficit/Pil del 3%, proposta sulla quale tedeschi e olandesi hanno sollevato obiezioni. Si sta lavorando ad una serie di ipotesi che vadano in direzione di una maggiore integrazione economica ma anche verso una maggiore flessibilità. D’altronde tutto spinge in questa direzione”.

Per quali ragioni?

“Guardiamo alla situazione dell’Ucraina, dei Balcani, del Medio Oriente. Il gruppo degli ex Paesi dell’Est europeo si trova in una situazione politicamente molto delicata: sono agitati da forti pulsioni anti-europee e al contempo si sentono minacciati dal ritorno della Russia come potenza egemone. Sono spinte contradditorie ma la Ue, che certo non deve accettare derive totalitarie e antieuropeiste, deve però sforzarsi di mantenere una porta aperta. Chiuderla potrebbe riportare a forti turbolenze in Europa se non addirittura a situazioni di guerra”.

Si celebrano i 60 anni dai Trattati di Roma mentre il Regno Unito avvierà il 29 marzo le procedure per uscirne. C’è chi dice che senza battere il populismo anti-euro e anti-Europa di Le Pen alle prossime elezioni francesi non è immaginabile nessun passo avanti nell’integrazione europea e che addirittura non ci sarebbe più l’Europa se vincesse il Front National: qual è il suo parere?

“La Brexit è un divorzio già fatto, restano da trattare le condizioni e sarà molto più complesso di quanto gli stessi inglesi non abbiano calcolato, quando sono andati a votare per il referendum: sia per i costi – si parla di 50 miliardi che la Ue potrebbe chiedere di rimborsare – sia per le implicazioni interne sul versante di Scozia e Irlanda. Non sono sicuro che si riuscirà a concludere l’iter nei due anni previsti dai trattati.
Quanto alla Francia, le elezioni presidenziali sono un vero e proprio spartiacque per l’Europa: se vincesse la signora Le Pen tutto sarebbe più complicato anche se non potrà in ogni caso contare sulla maggioranza parlamentare nelle elezioni politiche che seguiranno. Avrebbe il governo contro, ma sarebbe comunque presidente della Francia: una situazione tesa e paralizzante. Se invece vincerà Macron, e noi europeisti ce lo auguriamo, anche lui non avrà la maggioranza parlamentare ma la convivenza con il governo sarebbe più facile”.

E in Germania, nell’ottica europea, meglio una vittoria di Schultz o una conferma di Merkel?

“Un’affermazione della Spd semplificherebbe le cose perché ha una posizione più vicina a chi sostiene la via della flessibilità in Europa. Ci renderebbe più facile il percorso ma la Germania, tutto sommato è il Paese europeo più stabile e meno problematico. La vera chiave di volta sono le presidenziali in Francia. Poi ci saranno anche le elezioni italiane e vedremo come andranno, se ci fosse una vittoria dei Cinque Stelle è probabile che ciò creerebbe una posizione anomala nella politica europea italiana. E’ da augurarsi che non avvenga”.

Insomma, è una corsa a ostacoli: superato il primo ne spuntano subito un secondo e poi un terzo…Dovremo aspettare altri 60 anni per vedere la nascita dell’Europa politica, dopo quella economica e monetaria?

“Siamo sulla soglia dell’Europa politica ed è proprio per questo che tutto sta assumendo un aspetto più drammatico. Vi è la percezione che le decisioni da adesso in poi cominciano ad essere importanti e a segnare la vera differenza. A ciò aggiunga che la deriva nazional-populista trova due sponde politiche in Donald Trump negli Usa e Vladimir Putin in Russia, due potenti alleati che si giovano della frammentazione del sistema. Questa situazione internazionale così delicata è stato tuttavia l’elemento determinante per convincere i 27 Paesi membri a rinunciare a posizioni più estremiste e a riaffermare l’Unione europea come veicolo di pace e sicurezza. Io resto moderatamente ottimista”.

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