In quelle fumerie d’oppio che sono ormai i talk show, lo stereotipo dell’anziano, specie se pensionato, è quello di una persona povera, che percepisce un trattamento tanto modesto da consentirgli solo una vita di stenti che la costringe a privarsi anche di quanto necessario per curarsi. Chi la intervista si guarda bene dal chiedere spiegazioni che hanno determinato questa situazione di indigenza, dal momento che l’importo della pensione è legato a dei criteri raccordati alla storia lavorativa del soggetto interessato e il Servizio sanitario nazionale fornisce un’assistenza gratuita. Ma nessun argomento, ancorché fondato sui dati statistici ufficiali e su previsioni condivise dai maggiori centri di analisi pubblici e privati, ormai è in grado di smentire una verità precostituita: la condizione dell’anziano/pensionato è sinonimo di povertà. Eppure, le pensioni sono le sole erogazioni monetarie a cui si applica (giustamente) un sistema di perequazione automatica al costo della vita che, a fronte della ripresa dell’inflazione, comporterà un incremento importante della spesa previdenziale.
La rivalutazione delle pensioni all’inflazione
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, ipotizzando un’inflazione superiore di due punti rispetto al 5,8% previsto nel Def per il 2022, la rivalutazione delle pensioni all’inflazione costerà allo Stato circa 32 miliardi lordi nei prossimi tre anni (5,7 miliardi nel 2023, 11,2 nel 2024, 15,2 nel 2025) che andranno a beneficio degli oltre 16 milioni di pensionati. Anche la Nadef ha rifatto i conti. La crescita annua prevista nel 2022 per la spesa per pensioni e le altre prestazioni sociali viene rivista al rialzo rispetto al Def, rispettivamente al +3,9% e al +0,6% esclusivamente per gli interventi normativi adottati successivamente.
È uno scenario, questo, a legislazione vigente, che non prende in considerazione gli eventuali maggiori costi derivanti dalle proposte contenute nei programmi della coalizione di centrodestra che ha vinto le elezioni. Molti osservatori si sono spinti a calcolare la maggiore spesa che potrebbe derivare dall’attuazione delle promesse elettorali; ma è preferibile non avventurarsi su contabilità insidiose perché tuttora prive di quel quadro normativo che definisce il perimetro degli interventi. Val la pena invece di prestare l’attenzione ad un nuovo filone di ricerca che viene definito ‘’Silver economy’’.
L’evoluzione degli indicatori di invecchiamento
Si tratta in pratica, secondo la definizione contenuta nel Report del 2018 della Commissione europea dell’insieme delle attività economiche che rispondono ai bisogni delle persone con 50 o più anni di età, inclusi anche i prodotti e servizi di cui queste persone usufruiscono direttamente e l’ulteriore attività economica che questa spesa genera. Un mercato che ha assunto una notevole importanza proprio in conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. Se negli anni ‘70-’80 del secolo scorso il mercato scoprì i teenagers, in rapporto ai trend demografici di quei tempi (nel 1964 nacquero, in Italia, un milione di bambini a fronte dei 399mila nati nel 2021 compresi i figli degli immigrati che nel 1964 praticamente non esistevano) non è difficile capire oggi l’importanza della Silver economy.
Le potenzialità della Silver economy nello sviluppo del Paese
Oggi i processi tra loro in sinergia negativa delle denatalità e dell’invecchiamento hanno trasformato la struttura demografica del Paese. Basti un solo dato: per ogni 100 nati sono presenti 170 settantenni. E la platea dei Silver è formata da milioni di persone tuttora in buona salute, con la prospettiva di un’attesa di vita non breve e in crescita costante sia alla nascita che alla decorrenza della pensione, in grado di dedicarsi agli interessi e agli affetti trascurati durante la vita attiva (una attitudine che pare non riguardare le giovani generazioni).
La Fondazione Itinerari previdenziali di cui è presidente Alberto Brambilla ha avviato da tempo (sono tre i rapporti pubblicati, l’ultimo nei giorni scorsi) una ricerca sui protagonisti della Silver economy e sulle sue potenzialità nello sviluppo del Paese. E un cambiamento di visuale molto significativo, perché il mondo della terza età (come si diceva un tempo) non deve essere considerato come la ‘’terra di nessuno’’ dell’assistenzialismo, una sorta di cronicario sociale a cui vanno dedicate consistenti risorse del tutto improduttive.
La nuova definizione dei Silver
Orientare le politiche fiscali e sociali al potenziamento della Silver economy può concorrere ad un processo di crescita dell’intera società. Del resto, anche la nuova definizione di anziani (i Silver) li suddivide in quattro sottogruppi: “giovani anziani”, cioè persone tra i 64 e i 74 anni, anziani (75 – 84 anni), “grandi vecchi” (85 – 99 anni) e centenari. Ciò influisce sul perimetro della Silver economy.
Infine, occorre ricordare, sottolinea il rapporto, che in Italia l’età media di ingresso nel mercato del lavoro è pari a 24 anni (fonte: OCSE). Risulta quindi difficile poter identificare come Silver un individuo, nel pieno della sua carriera lavorativa, con alle spalle venticinque anni di lavoro e davanti a sé almeno altri tre lustri prima di raggiungere la fase della quiescenza.
Silver economy: non una questione di sé, ma di quanto e come
Si direbbe che Brambilla rivolga queste sagge considerazioni ai sindacati e alle loro richieste in materia di pensioni. Alla luce di queste considerazioni, Itinerari previdenziali ha ritenuto utile considerare Silver tutte le persone che hanno raggiunto i 65 anni e che nella maggior parte dei casi sono pensionati o lavoratori prossimi alla quiescenza; il che implica, anche in relazione all’allungamento delle aspettative di vita, un mutamento evidente degli stili di vita. Pertanto, la definizione corretta di Silver economy, secondo il Rapporto, è la seguente: “il complesso delle attività economiche rivolte specificamente alla popolazione con 65 anni o più inclusi anche i prodotti e servizi materiali e immateriali, beni e prodotti di consumo o investimento e varie forme di assistenza psicologica, riabilitativa e sanitaria di cui queste persone usufruiscono direttamente e l’ulteriore attività economica che questa spesa genera.
Il Rapporto, poi, affronta il tema delle previsioni riguardanti i trend demografici previsti nei prossimi decenni in relazione alla quantità e alla qualità (si pensi alla non autosufficienza in crescita in parallelo con l’invecchiamento) della spesa pubblica, effettuando un consuntivo molto utile per chi non si accontenta di vedere l’albero e non la foresta.
Il perimetro largo della Silver Economy: come cambia la spesa degli anziani
Ma la parte più interessante è quella dedicata alla consistenza finanziaria e patrimoniale delle coorti ricomprese nel perimetro della Silver economy. Per definire ulteriormente i contorni della Silver Economy è necessario soffermarsi – è scritto nel Rapporto – sulla dimensione economica che caratterizza questa popolazione over 65. Infatti, per molte peculiarità, i senior si contraddistinguono per una condizione economica migliore rispetto alle altre fasce d’età. Questo per molti motivi: la vita lavorativa che si allunga comportando maggiori retribuzioni, una ridotta propensione alla spesa (quantomeno in relazione alle attività quotidiane) e soprattutto i frutti di una vita di lavoro, di risparmi e investimenti che quindi assumono una rilevante consistenza.
Per dare una dimensione e una grandezza economica alla Silver Economy, il report The Silver Economy, pubblicato dalla Commissione europea ad aprile 2018, ha stimato che se la Silver economy europea fosse uno Stato sovrano, la sua economia si posizionerebbe, per dimensioni, alle spalle solo di Stati Uniti e Cina. Ma secondo Itinerari previdenziali si tratta di una sovrastima perché la Commissione, nell’analisi del 2018, considerava i Silver a partire dai 50 anni, parametro che oggi non riflette più il concetto di Silver.
L’economia della terza età: consumi, ricchezze e opportunità
Sempre secondo il Report della Commissione, basato su dati del 2015, questa platea ha consumato 3.700 miliardi di euro in beni e servizi, contribuendo per 4.200 miliardi di euro al Pil europeo e sostenendo 78 milioni di posti di lavoro in tutta l’Unione. Numeri che crescono a tassi del 5% annuo (superiore a tutte le grandi economie del mondo, eccetto Cina e India, prima del coronavirus), principalmente per l’aumento della popolazione di riferimento che nell’Ue, nel 2025, si attesterà intorno ai 222 milioni di persone.
Sulla base dei calcoli e con la medesima metodica elaborati dalla Commissione europea, tenendo conto e dell’inflazione e dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, Itinerari previdenziali ha calcolato i valori aggiornati al 2021 arrivando a ritenere i consumi di beni e servizi degli over 50 pari a circa 3.803 miliardi di euro, mentre il contributo al Pil dell’Ue a 27 è pari a circa 4.317 miliardi di euro, e i posti di lavoro legati direttamente o indirettamente alla Silver economy Ue, sono oltre 72 milioni.
Applicando la medesima metodologia, il rapporto ha stimato i valori relativi ai Silver, ultrasessantacinquenni, che nel 2021 erano 93.054.772, distribuiti tra i 27 Stati membri. Per gli over 65 il consumo di beni e servizi è ammontato a circa 1.901 miliardi di euro; il valore del Pil prodotto dai consumi e dalle loro esigenze è di oltre 2.158 miliardi di euro, mentre i posti di lavoro generati sono circa 36,45 milioni.
Come si vede, si tratta di numeri che testimoniano la rilevanza della dimensione economica della Silver economy. Proseguendo nella lettura del rapporto si arriva alla valutazione della ricchezza delle persone di età pari o superiore a 65 anni in Italia. È necessario però considerare due aspetti: a) lo spendibile dei pensionati, ossia il flusso di redditi mensili o annuali derivanti da prestazioni pensionistiche, assistenziali, da redditi da lavoro e da proventi vari patrimoniali; b) la loro ricchezza patrimoniale, sia mobiliare che immobiliare. Per avere un primo ordine di grandezza della dimensione patrimoniale che rientra nella sfera della Silver economy, il rapporto parte dai dati di Eurostat, che sulla base di un reddito netto pro capite di 17.001 euro per il 2018, ha calcolato lo spendibile netto degli italiani di età pari o superiore ai 65 anni, stimati per l’anno 2020 in 13,9 milioni di persone, in circa 237 miliardi di euro.
L’Italia non è un paese per giovani, ma per anziani sì
A fine 2020, secondo i dati elaborati dall’Istat e da Bankitalia, la ricchezza netta delle famiglie italiane ammontava a 10.010 miliardi di euro, 8,7 volte il loro reddito disponibile. Le abitazioni sono la principale forma di investimento delle famiglie e, con un valore di 5.163 miliardi di euro, rappresentano quasi la metà della ricchezza lorda. Il totale delle passività delle famiglie è stato pari a 967 miliardi di euro, un basso livello di indebitamento, pari a circa il 9,67% della ricchezza netta.
Che dire in conclusione? Si dice che l’Italia non è un paese per giovani. Non si può sostenere però che non sia un paese per anziani.