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Silicon Valley Bank: perché non è come Lehman Brothers. Gli Usa hanno imparato la lezione

FIRSTonline

La memoria del capitombolo nel 2008 di Lehman Brothers, seconda più grande banca d’investimento USA, è ancora troppo vivida così da far pensare a molti che la caduta nella polvere di Silicon Valley Bank (SVB) potrebbe aprire uno scenario analogo quindici anni dopo. Ebbene, pur conscio che le previsioni andrebbero lasciate alle chiromanti, credo che vari fattori inducano a pensare che questa volta la storia non si ripeterà.

Dalla finanza allegra di Lehman a quella tradizionale di Svb

L’unica vera analogia con Lehman è che anche la bancarotta di SVB è stata innescata da una crisi di liquidità. Molti altri fattori di contesto sono invece differenti. In primo luogo, Lehman era innervata nel sistema della finanza allegra sviluppatasi intorno ai famigerati mutui subprime. Al contrario, per quello che è dato sapere, pur essendo la banca di riferimento di un settore assai innovativo ma anche rischioso, quello delle società di venture capital, SVB faceva un’intermediazione piuttosto tradizionale: raccoglieva depositi ed erogava prestiti, investendo in ampia misura in titoli di stato ciò che non prestava.

L’errore di Svb: vendere titoli a prezzi inferiori a quelli di carico

Il problema di liquidità è sorto per le perdite su titoli a tasso fisso che, dallo stato potenziale dovuto al deciso aumento dei tassi attuato dalla Fed per combattere l’inflazione, si sono tramutate in perdite vere quando la banca, a corto di liquidità, ha dovuto vendere una parte significativa di quei titoli a prezzi assai inferiori a quelli di carico. Dunque, da questo punto di vista, il fallimento di SVB non crea uno stigma generalizzato su un intero segmento opaco del mercato finanziario, come accadde per Lehman, ma più semplicemente mette sotto il riflettore comportamenti imprudenti in una sfera bancaria tradizionale.

Il caso Svb circoscritto a incidente di percorso

La seconda grande differenza è che i mutui subprime erano figli del sogno americano della casa, anche per chi non aveva ragionevolmente i mezzi per ripagarli. La crisi dei subprime, dunque, spezzava quel sogno irrealistico. Invece, i prestiti all’attivo di SVB, sebbene concessi a debitori individualmente rischiosi, riguardano progetti molto concreti e che, in media, sono assai redditizi. Perciò, tale considerazione spinge a vedere questa bancarotta come un incidente di percorso più che uno stigma sulla finanza del venture capital. E, di conseguenza, pare meno probabile che scoppi un panico su questo segmento della finanza.

La potenza di fuoco delle autorità Usa

Vi è poi una terza considerazione relativa alla capacità e alla volontà delle autorità statunitensi di arginare la crisi prima che la situazione sfugga di mano. Dal lato della capacità, pur non essendo la Fed più sotto la guida di Ben Bernanke, il più esperto economista di crisi bancarie (poi insignito del Nobel per l’economia proprio su quel tema nel 2022), la banca centrale USA e le autorità nazionali che se ne occupano hanno reimparato con Lehman come evitare errori nella gestione delle crisi bancarie.

Non c’è più la globalizzazione di 15 anni fa

Infine, dal lato della volontà di arginare la crisi militano rilevanti considerazioni strategiche. Quindici anni fa, il mondo era immerso in una globalizzazione che sembrava ineluttabile e senza fine (viene in mente il titolo del film pluripremiato “Everything Everywhere All at Once”). Al contrario, oggi gli assetti globali scricchiolano e si fa strada la prospettiva di una globalizzazione bipolare, con una coalizione occidentale guidata dagli USA contrapposta a un’altra guidata dalla Cina, forse con una terza coalizione dei paesi non allineati, possibilmente guidata dall’India. Ebbene, in tale scenario prospettico la leadership si giocherà sempre più sulla superiorità tecnologica, laddove sarà eliminata la possibilità di libero trasferimento della tecnologia tra blocchi contrapposti, come ci indicano vari segnali: dalla opposizione al 5G cinese, al divieto di TikTok, alle tensioni sull’indipendenza di Taiwan, centro mondiale della produzione di microchip, etc.

Innanzitutto occorre salvare il settore del venture capital

Perciò, lasciare che la crisi si espanda col rischio che danneggi il settore del venture capital, da cui dipende gran parte del progresso tecnologico occidentale, è l’ultima cosa che desiderano gli statunitensi, affiancati dagli europei e dagli altri alleati in giro per il mondo. Ne deriva che, con interventi massicci di liquidità da parte della Fed e con la messa in opera di tutte le garanzie statali che si renderanno necessari, molto probabilmente gli argini saranno costruiti in modo adeguato e alla svelta per scongiurare l’aggravarsi della crisi.

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