In un anno gli effetti del cambiamento climatico sono costati 8,5 miliardi di euro all’agricoltura italiana,“ tra un Meridione assediato da una siccità mai vista prima e un Nord flagellato dal maltempo”. Coldiretti, Censis e European House-Ambrosetti quantificano così i danni alle campagne italiane nel 2024. Le catastrofi in Emilia Romagna, e non solo, hanno rimesso a nudo la fragilità nazionale di tutto il sistema idrico. La mancanza d’acqua ha cause strutturali e cause inattese, ma non inimmaginabili. Quasi il 90% degli italiani pensa, ormai, che la carenza d’acqua non sia più un’ emergenza. In questi giorni in Sicilia, Basilicata, Calabria protestano tutti, che alla fine si rischia di non capire chi deve intervenire e chi paga le conseguenze di ritardi storici.
Dall’agricoltura alle famiglie
Il Paese deve darsi un serio piano di gestione, creare o sistemare gli invasi, mettere mano a infrastrutture durature, ha spiegato Coldiretti al suo Forum dell’Agricoltura e dell’Alimentazione a Roma. Il quadro tratteggiato si sovrappone a quello scientifico dell’Ispra che ha elaborato uno studio sul quantitativo di risorse idriche disponibili nel 2023. L’Istituto ha studiato il trentennio climatologico 1991-2020 con un modello scientifico applicato su scala nazionale. È uscita una “ valutazione quantitativa dei flussi e degli stock naturali in cui si manifesta l’acqua nel suo ciclo sulla terra sia in superficie sia al di sotto di essa ”. Una valutazione pessima condizionata dalle alte temperature del 2023 e del 2024 con danni in ogni direzione. Dalle campagne alle abitazioni, alle industrie lo stillicidio della carenza d’acqua rende tutti meno liberi, nonostante i tanti proclami sull’uso intelligente delle risorse e i progetti di transizione ecologica. E’ un trend drammatico nella sua storicità, cui la politica risponde con rammendi, se si escludono i 2 miliardi e 300 milioni di euro che si stanno spendendo per i bacini idrici. Chiaramente, non bastano ma ce ne curiamo poco.
Nuove proposte che attendono una risposta
Coldiretti ha chiesto al governo “un piano invasi con pompaggio, che consentirebbe di garantire acqua nei periodi di siccità ma anche di limitare l’impatto sul terreno di piogge e precipitazioni”. Sarebbe un progetto immediatamente cantierabile a disposizione della rete dei bacini di accumulo. Ma la siccità interessa anche il consumo di suolo, privo sino ad oggi di una legge adeguata. È sempre l’Ispra a denunciare che in un solo anno 66 miliardi di metri cubi di precipitazione non sono stati trattenuti dal suolo e sarebbero potuti andare negli invasi. D’altra parte in 40 anni i danni per siccità e alluvioni hanno raggiunto i 90 miliardi di euro e infiniti danni collaterali. Ora, visti i soldi del Pnrr ancora da spendere e le implicazioni con la transizione ecologica, perché non pensare a un Piano straordinario Pnrr per l’acqua ? Si, ha detto Francesco Vincenzi, presidente dell’associazione dei bacini idrici, Anbi. Richiamando l’Agenda Draghi per l’Europa Vincenzi ha prospettato l’ipotesi di emissione di eurobond per affrontare le emergenze in modo nuovo. “L’acqua non è solo un problema dell’agricoltura, la sua gestione riguarda tutti, perché è legata alla sicurezza dei territori. Questo significa fare un passaggio culturale importante e smettere di lavorare solo sull’emergenza, ma cominciare a pianificare, ha detto”. Mario Draghi nel suo lavoro sulla competitività in Europa con spiccato realismo, ha prospettato soluzioni di medio periodo in settori ad alto impatto sociale. Il riferimento dell’Anbi a quel documento è efficace, il problema è che il verbo pianificare in Italia è adatto solo ai convegni. Anche se si tratta di un bene pubblico indispensabile.