Sono l’onda educata che si è ripresa la piazza a Torino: sabato scorso 30 o forse 40 mila persone hanno risposto all’appello di “Sì, Torino va avanti” e delle sette organizzatrici che sono riuscite a mobilitare la società civile per reagire ai tanti “No” – alle Olimpiadi, alla Tav, alle infrastrutture, al lavoro – dell’amministrazione Appendino. Un risveglio della città che era nell’aria ma che loro hanno saputo intercettare. “Non siamo manovrate da nessuno. Siamo noi con la nostra testa”, hanno detto il 10 novembre a una piazza Castello gremita e anche un po’ stupita di fronte all’enorme successo della manifestazione. Come è stato possibile? Da dove sono partite e ora, dove vogliono andare? Torino è un “esperimento” replicabile altrove o forse il seme di un movimento che fa pensare al francese “En marche” con il quale Emmanuel Macron ha conquistato l’Eliseo? FIRSTonline lo ha chiesto a Simonetta Carbone, Roberta Castellina, Donatella Cinzano, Roberta Dri, Patrizia Ghiazza, Giovanna Giordano, Adele Olivero (rigorosamente in ordine alfabetico). Sette professioniste – avvocato, art director, informatica, cacciatrice di teste etc – che è riduttivo etichettare come Madamin (signore, come pure è stato fatto). Ecco cosa ci hanno risposto.
“Sì, Torino va avanti” è già un sito, un hastag, è vivo su facebook, twitter e instagram ma soprattutto è riuscito a riempire una piazza grande come Piazza Castello con 40 mila persone. Da dove e come è partita la vostra iniziativa?
“Qualcuna di noi si conosceva, qualcuna no. Eravamo in Comune il 29 ottobre scorso, quando la maggioranza del Consiglio comunale ha approvato la mozione No Tav. Ci è sembrato che qualcuno volesse rubarci il futuro, a noi, alla nostra città e ai nostri figli. Ci siamo dette che bisognava fare qualcosa e siamo partite con la pagina facebook, in poche ore avevamo raccolto 3 mila adesioni. Nei giorni successivi è stata una valanga e allora ci siamo dette che Torino era pronta a scendere in piazza. Siamo donne che lavorano e abbiamo una praticità tutta femminile: invece di fare tante chiacchiere, abbiamo agito con concretezza e determinazione. Giorno dopo giorno, siamo arrivate a sabato 10 novembre. E la piazza virtuale è diventata piazza reale: eravamo oltre 40 mila”.
La Tav è solo l’ultimo dei tanti “no” arrivati dalla nuova giunta Appendino. Perché avete scelto questo come il simbolo per passare alla controffensiva?
“Perché si è trattato della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso e, oltretutto, della goccia più pesante, quella che mette gravemente a rischio il futuro sviluppo di Torino, del Piemonte e dell’ Italia intera. Molti a Torino pensano come noi che si debba passare dalla logica del No a quella dei Sì: Sì alla Tav, Sì al lavoro, Sì alla città dello Studio, Sì alla Ricerca e Sviluppo, Sì alla Solidarietà, Sì alla cultura e al turismo”.
In Italia però sono stati detti anche tanti o forse troppi sì, per esempio se guardiamo alla cementificazione del paesaggio italiano. Ecco perché, sostengono i Cinque Stelle, è il momento di dire qualche no. Come rispondete a questa obiezione?
“Sull’impatto ambientale della Tav ci sono montagne di studi e il tracciato è stato studiato e ristudiato proprio per andare incontro alle esigenze di tutela del paesaggio. Pochi sanno che, dei 65 chilometri della parte transfrontaliera, l’89% è in galleria. D’altronde, bisognerebbe domandarsi perché i Verdi francesi sono molto favorevoli all’ opera. La cementificazione non c’entra nulla, parliamo di un linea ferroviaria vitale e necessaria, che sostituirà un ferrovia e una galleria costruite nel 1871. Una galleria in cui, per sicurezza, i treni merci non possono incrociarsi e i nuovi convogli merci non potranno entrare a causa delle dimensioni ridotte del tunnel. Grazie a questo nuovo collegamento si potrà ridurre di un terzo il numero dei Tir che ogni anni transitano sull’autostrada e inquinano la Valle di Susa”.
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“Sì, Torino va avanti”: guardando oltre la manifestazione del 10 novembre, quali saranno i vostri prossimi obiettivi?
“Vorremmo poter portare al Presidente Mattarella le istanze dei 40 mila di Piazza Castello e degli altri 45 mila che ci hanno dato il loro sostegno su facebook. Il Capo dello Stato sarà il 26 novembre a Torino, chissà che non ci riceva”.
Contro l’immobilismo dell’amministrazione Raggi, Roma ha detto basta con la manifestazione in Campidoglio. Voi avete mobilitato imprese e cittadini torinesi. Questo movimento può essere replicato in altre città italiane? E dove?
“Sappiamo che a Genova c’è un certo fermento, sempre legato a opere pubbliche promesse e oggi messe in discussione, come la Gronda e il Terzo Valico. Il cosiddetto triangolo industriale, motore di sviluppo per tutta l’ Italia, ha desiderio e urgenza di ripartire e accelerare la propria crescita”.
C’è chi ha visto più d’una analogia tra “Sì Torino” e “En marche”, il movimento promosso da Emmanuel Macron che ha conquistato l’Eliseo. Anche loro sono partiti per così dire dal basso, mobilitando la società civile. Quale sbocco politico pensate possa avere la vostra iniziativa?
“Noi siamo scese in piazza mosse dal desiderio di un futuro di sviluppo e di possibilità. Le persone, i cittadini, la cosiddetta società civile ci hanno seguiti in modo rispettoso, garbato ma altrettanto determinato. Abbiamo creato un’onda, per sapere quali sbocchi avrà è ancora un po’ presto”.