“La geografia può essere difficile. Questa e’ una guida per i soldati russi che continuano a perdersi e a entrare ‘accidentalmente’ in Ucraina”. No, non è, come potrebbe sembrare, una battuta di Maurizio Crozza; una battuta che, considerata la tragedia in pieno svolgimento in quel Paese, avrebbe potuto essere giudicata fuori luogo. No, si tratta, più banalmente, di un tweet. Postato mercoledì scorso, molto meno banalmente, su “Canada at Nato”, il sito ufficiale della delegazione canadese alla Nato, l’alleanza militare fra l’Europa e il Nordamerica (gli Stati Uniti e, appunto, il Canada), costituita nel 1949, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, per rafforzare la difesa dei Paesi occidentali europei e nordamericani nei confronti della Russia e degli altri Stati che componevano l’Unione sovietica.
Ci si può chiedere se sia stata un’iniziativa inopportuna questa della delegazione canadese del Patto atlantico. Inopportuna perché messa in atto da un ufficio che, di fatto, è la rappresentanza diplomatica di uno Stato sovrano presso un’organizzazione internazionale. E in diplomazia, si sa, si usa un linguaggio “diplomatico” appunto. Qualcuno potrà forse pensarla così. Ma, a ben riflettere, parafrasando Carl von Clausevitz (“La guerra non è che la continuazione dellapolitica con altri mezzi”, è una delle citazioni più note attribuite al teorico militare e scrittore prussiano del primo Ottocento), si potrebbe affermare che oggi il tweet è una forma di propaganda politica che sempre più va soppiantando (Renzi docet) il comunicato o la conferenza stampa.
Certo, è legittimo interrogarsi sull’efficacia del tweet in termini di comunicazione politica indirizzata a tutti i cittadini. In chiave propagandistica il tweet funziona, eccome! Proprio come nella pubblicità commerciale funziona lo slogan. Ma è altrettanto legittimo attendersi una maggiore ampiezza di contenuti nella comunicazione politica. Però non c’è alcun dubbio che la sintesi, spesso inevitabilmente manichea, del tweet finice con l’incitare i destinatari a scegliere fra “pro” e “contro”.
Un punto d’arrivo che, alla luce degli oltre trentamila tweet di commento dichiarati (in stragrande maggioranza, è da ritenersi, “pro” Ucraina), era probabilmente l’obiettivo dagli autori. Che, quali che fossero comunque le intenzioni iniziali, sono riusciti a dar vita (a costo zero) a un movimento di opinione che potrebbe spegnersi in pochi giorni, oppure (ipotesi più probabile, dato che il conflitto Russia-Ucraina non accenna a spegnersi) allargarsi ancora di più scavalcando agevolmente confini geografici e linguistici (questi ultimi un po’ meno).
C’è poi un altro aspetto di novità, oltre al mezzo di comunicazione scelto, che ha contribuito certamente all’efficacia del messaggio: il tono ironico, forse anche sarcastico, di quel tweet. Nei confronti sia dei destinatari anonimi sia dei leader politici e militari russi. Le due frasette (ironiche o sarcastiche che siano state) erano rafforzate, per sovrammercato, nello stesso tweet da un mappa semplice ma chiarissima dove il territorio russo, evidenziato in rosso, contiene la parola RUSSIA, mentre sull’area corrispondente all’Ucraina, che è in azzurro carico, sta scrittoNOT RUSSIA…
All’origine del tweet canadese c’era stato lo sconfinamento, il giorno precedente, di dieci soldati russi di pattuglia al confine che erano entrati – “per errore”, come si è letto poi sui giornali moscoviti che citavano fonti militari – in territorio ucraino. “Errore” ripetuto poi l’indomani da altri due militari russi..
Inevitabilmente quel tweet ha irritato più d’uno a Mosca. Dove evidentemente – non potendo replicare Putin in persona o un suo ministro a un tweet che sarebbe stato certamente definito dai canadesi “una battuta scherzosa” – si è deciso (scelta “diplomatica”…) di incaricare della risposta la delegazione russa presso la Nato, i cui uffici si trovano nella stessa sede di Bruxelles che ospita quelli dei colleghi canadesi.
La risposta è stata altrettanto sarcastica, a causa anche di quello che nella cartina dei canadesi è stato considerato dai russi un errore geografico: aver colorato in azzurro carico anche la penisola della Crimea che si affaccia sul mar Nero. Poiché sei mesi fa la Crimea è stata annessa alla Russia “manu militari”.
Allora nella mappa allegata al tweet di replica ai canadesi, il territorio della Crimea è colorato di rosa come il resto della Russia. E a commento la delegazione russa scrive: “Aiutiamo i nostri colleghi canadesi ad aggiornarsi con la geografia contemporanea dell’Europa”.
A parte le punture di spillo come queste, che costituiscono pur sempre un segno dei tempi, il tweet canadese ha aperto un fronte digitale che vede impegnati personaggi di rilievo di alcuni Paesi europei, in aggiunta a quello segnato dal confine fra l’Ucraina e la Russia, dove si combatte e si muore. Personaggi come Dalia Gribauskaité, recentemente confermata presidente della Repubblica in Lituania, piccolo Paese che a Est confina con l’Orso russo e a Ovest la sua costa con il Baltico è interrotta dall’enclave di un altro Stato, la Russia per l’appunto. “Dobbiamo dire chiaramente – sono le sue testuali parole affidate alla rete – che, se la Russia è in guerra contro l’Ucraina, è come se fosse in guerra contro l’Europa. Per questo dobbiamo aiutare militarmente l’Ucraina perché si difenda”.
Già due settimane fa il segretario generale della Nato in scadenza di mandato, il danese Anders Fogh Rasmussen, in visita a Copenaghen aveva messo in rilievo, a proposito dell’invasione della Crimea, che “per la prima volta dalla seconda guerra mondiale un Paese europeo sì è impadronito con la forza del territorio di un altro Paese.
E infine, in risposta alla chiara recentissima minaccia di Vladimir Putin (“Meglio non scherzare con noi. La Russia è una delle più grandi potenze nucleari…”, aveva detto replicando alle accuse di invasione della regione orientale dell’Ucraina), pare certo che la Gran Bretagna ha proposto la creazione in tempi brevissimi di una forza di reazione rapida in risposta all’intervento russo in Ucraina. L’annuncio ufficiale dovrebbe essere dato da Rasmussen in settimana in occasione del vertice Nato di Newport, in Galles.
A questo proposito sull’ultimo numero del Financial Times si legge che al progetto di David Cameron – una divisione di mille uomini – hanno aderito Danimarca, Lettonia, Lituania, Estonia, Norvegia, Olanda e con ogni probabilità Canada. Il cui ministro degli Esteri John Baird ha affidato alla rete un messaggio in cui afferma che “azioni di aggressione e di intimidazione della Russia contro l’Ucraina richiedono una reazione collettiva. Il Canada e i suoi alleati devono farsi sentire”.