In un articolo sul NYTimes, Cass Sunstein, docente ad Harvard, ha esaminato il fenomeno dello shopping predittivo. Grazie all’enorme mole di dati che possiedono e a sofisticati algoritmi, le aziende sono in grado di prevedere con discreta approssimazione quali saranno (o potrebbero essere) i nostri prossimi acquisti, ma anche quali prodotti, non ancora acquistati, potrebbero incontrare la nostra approvazione. E sono pronte a inviarceli, anche senza che ne facciamo esplicita richiesta (ma a condizione che ci vengano addebitati su carta di credito). E sono pronte a farlo anche in assenza di un nostro preventivo consenso.
Da un lato l’acquisto predittivo potrebbe sgravarci (Sunstein arriva a definirlo liberatorio) da incombenze noiose o avvertite come inutili perdite di tempo (tempo sottratto al lavoro, in un’ottica di produttività nordico/anglosassone o, più semplicemente, al tempo libero). Dall’altro, Sunstein è consapevole che un tale meccanismo presta il fianco a inconvenienti e abusi, ad es. merce indesiderata e tuttavia pagata, come anche pone enormi problematiche legate alla nostra privacy. L’analisi fornitaci si ferma qui.
Evan Selinger, in un interessante articolo, sostiene che non venga sottolineato a sufficienza da Sunstein: L’aspetto negativo delle sue conclusioni. Senza un adeguato commento critico, è troppo facile essere eccessivamente ottimisti riguardo al modo sbagliato di costruire il futuro… Non possiamo vivere bene senza avere una buona percezione in merito a dove stiano andando le nostre vite, così come le vite degli altri che influenziamo e dalle quali siamo influenzati. Le bollette devono essere pagate. Le relazioni devono essere favorite. Sta a noi non costruire un mondo che le generazioni future potrebbero trovare inospitale.
Secondo Selinger potremmo essere portati a svuotare di valore e significato tante piccole cose, tanti rituali apparentemente banali che sostanziano la nostra esistenza.Un modo mediante il quale diveniamo orientati a pensare al futuro è di … pensare al futuro. Ecco come sviluppiamo le inclinazioni anticipatorie. Le liste della spesa per i generi alimentari possono sembrare banali e scriverle può apparire una seccatura. Ma non riguardano solamente la garanzia di avere abbastanza sapone e carta igienica. Viste come un rituale che coinvolge una decisione e un’azione agita in prima persona (compreso lo scrivere o il digitare), sono una pratica che proietta la nostra consapevolezza oltre il presente. … Ma se le vediamo come insignificanti, potremmo sottovalutare anche altro.
Gentile è il nuovo “mood”
Distogliendo l’attenzione e la pratica dal particolare, dal quotidiano, potremmo perderci in un quadro più ampio, più generale, del quale progressivamente non riusciremmo più a distinguere le singole componenti e cogliere le molteplici sfumature, smarrendo così anche la capacità di comprenderne l’insieme. La domanda è, dunque, cosa accadrebbe qualora una tecnologia con facoltà di appalto ci esimesse dal fare le piccole cose che ci offrono fugaci sguardi sul futuro. Riusciremmo a concentrarci maggiormente sul quadro generale, o esso svanirebbe dalla vista, a poco a poco?.
Chiamatela, se volete, alienazione … Eppure, dall’autore (con Richard Thaler) di Nudge. La Spinta Gentile, ci si poteva aspettare dell’altro. Nel libro in questione si proponeva un approccio spesso definito come una sorta di “paternalismo libertario”, applicabile in svariati ambiti e situazioni. Consiste nell’usare una sorta di pungolo, se vogliamo un pungolo cognitivo, senza alcun mezzo o modalità coercitiva, per incentivare un soggetto a fare una determinata cosa, fatta salva, però, la libertà dello stesso di operare una scelta diversa da quella suggerita. Vi è un’intera disciplina, la Behavioural Law, che se ne occupa.
Il libro (divenuto un best-seller) e il suo messaggio hanno avuto un tale successo che il primo ministro inglese David Cameron, nel 2010, ha istituito un’unità apposita, il Behavioural Insight Team (subito ribattezzata la Nudge unit), allo scopo di studiare, sperimentare, adattare ed attuare specifiche politiche pubbliche che facciano ricorso al nudge. A fondamento del nudge vi sono incentivi, reali o motivazionali, ad agire un certo comportamento, ma anche un’informazione corretta e quanto più ampia possibile. Un soggetto che dispone di buone informazioni opererà presumibilmente (ma non necessariamente) migliori selezioni. Su tutto, la libertà di scelta ed azione.
La perdita del nudge nello shopping predittivo
In tema di acquisti predittivi, tutto ciò viene sovvertito. La libertà di scelta appare molto circoscritta o del tutto assente, le informazioni inesistenti, lo spazio d’azione del soggetto limitato o quasi nullo. Potremmo trovarci coinvolti in un qualche programma di shopping predittivo addirittura a nostra insaputa, senza neppure aver espresso il nostro consenso. Quand’anche lo avessimo fatto, l’unica libertà che c’è consentita è quella di rimandare indietro la merce indesiderata (sperando che ci venga corrisposto il dovuto rimborso). La libertà di scelta appare ormai superata. Le aziende ci invieranno i prodotti che i loro algoritmi (ed essi solamente?) ritengono essere quelli di nostra elezione (è vero che le predizioni sarebbero fondate sulle nostre scelte precedenti, ma è pur vero che potremmo volerle cambiare). Il nostro spazio d’intervento è ancora una volta confinato all’eventuale resa.
Chi ci garantisce inoltre che i prodotti inviatici saranno quelli migliori per noi e non quelli migliori (o più vantaggiosi) per l’azienda? Qualora merci e prodotti ci fossero consegnati in base all’insindacabile giudizio di un’azienda, dove finirebbe, insieme alla nostra facoltà di operare scelte differenti, il principio della concorrenza e del libero mercato? Possiamo essere sicuri che si opererebbe per il meglio e non nella direzione del maggior profitto (che, difficilmente, sarebbe il nostro …)? E chi valuterebbe, eventualmente, e in base a quali criteri, cosa rappresenterebbe la scelta migliore?
Inoltre, avendola analizzata in maniera esaustiva nel suo libro, Sunstein ben conosce la resilienza al cambiamento di comportamenti divenuti abituali. Come pure la resilienza implicita contenuta in una scelta che comporta un’azione da parte nostra (come ad esempio la resa di un prodotto). L’agire, solitamente, risulta perdente rispetto all’inazione. Potremmo persino dimenticarci di aver aderito a un qualche programma di shopping predittivo e continuare a pagare e ricevere merce di cui non abbiamo più bisogno o della quale non usufruiremo. E che dire degli eventuali, possibili, sprechi? Prodotti accumulati (e pagati) che presumibilmente non utilizzeremo, dei quali prima o poi, ragionevolmente, saremo costretti a disfarci. È anche vero, nondimeno, che l’inefficienza è spesso sinonimo di profitto. Ma a vantaggio di chi?Con questa conclusione piuttosto inquietante, vi lasciamo alla lettura dell’articolo di Cass Sunstein dal titolo “Shopping Made Psychic”.
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