La casa, un tesoro scarsamente monetizzabile ma molto rassicurante, non ci garantisce più come prima; la ragione? Vale mille miliardi in meno rispetto al 2011. Un crollo del 20% ha deprezzato le abitazioni delle famiglie italiane dai 5300 miliardi del 2011 agli attuali 4300.
La portata della perdita patrimoniale – a cui si arriva combinando le stime di Bankitalia sulla ricchezza delle famiglie con quelle di Istat sui prezzi delle abitazioni – è enorme. Il 2016 doveva essere l’anno della svolta, ma così non è stato: se le compravendite stanno lentamente uscendo da una pluriennale paralisi, i prezzi rimangono ancora fermi.
La crisi immobiliare e la recessione hanno lasciato sul campo morti e feriti. Stando ai dati di Banca d’Italia, tra il 2010 e il 2014 a deprezzarsi di più in percentuale sono state: le abitazioni principali delle famiglie più ricche (-23%) e quelle di disoccupati e inattivi non pensionati (-34%). Proprio quest’ultimi si sono spesso trovati a dover vendere a prezzi scontati.
Di contro è salita la quota di famiglie ricche in possesso di abitazioni, lasciando spazio ad una “oligarchia” di proprietari di immobili: quasi i due terzi delle abitazioni sono in capo al 20% dei più abbienti.
Lo shock immobiliare è stato provocato da diversi fattori. Accanto allo sgonfiamento della bolla speculativa e agli effetti della crisi economica, bisogna tenere conto della pesante tassazione sugli immobili, introdotta a fine 2011. Da allora la stretta fiscale sulla casa ha fatto schizzare il gettito del 150% portandolo a 51 miliardi annui, e l’esenzione dell’abitazione principale non ha di certo risolto il problema.
Per dimostrare quanto un fisco troppo esoso abbia contribuito a deprimere tutti i valori, Confedilizia cita lo studio di Oliviero e Scognamiglio; secondo i due economisti, negli anni passati i Comuni senza elezioni incombenti, dove l’Imu è stata portata a livelli più alti, hanno visto il prezzo degli immobili scendere del 6%in più rispetto ai Comuni alle prese con il voto e quindi con tasse più basse.
Secondo economisti e sociologi, il lungo e generalizzato shock immobiliare ha avuto evidenti effetti sulle decisioni di spese delle famiglie; è il cd. “effetto ricchezza” in versione negativa: la mia casa si deprezza, mi sento meno garantito, di conseguenza spenderò di meno.
Un non più recente studio di Bankitalia azzarda una stima di quanto una variazione della ricchezza reale delle famiglie può impattare sui loro consumi: tre centesimi e mezzo in più o in meno per ogni 100€ di apprezzamento o deprezzamento immobiliare.
E’ giusto dire però che il calo dei prezzi delle case ha anche i suoi risvolti positivi: se molte famiglie sono costrette a vendere in perdita, molte altre possono evidentemente permettersi di comprarle. Il gioco delle compravendite è ricominciato, anche grazie alla discesa di prezzi e dei tassi dei mutui ed alla risalita del reddito disponibile.
Se cinque anni fa servivano quattro anni di stipendio per comprare un’abitazione media, oggi ne bastano tre e mezzo. Diverso il discorso per le coppie più giovani: il 60% di loro non può ancora permettersi una casa, mentre il restante 40% rappresenta un record se pensiamo che appena un anno fa i potenziali giovani acquirenti non superavano il 30%.