“L’Italia è molto importante per Shell, siamo qui dal 1912 e siamo il maggior investitore straniero nell’upstream. I nostri interessi produttivi sono concentrati in Basilicata per il petrolio e gas ma da alcuni mesi stiamo lavorando anche sullo sviluppo di progetti nel fotovoltaico. A livello globale, durante gli ultimi tre anni la transizione energetica ha subito un’accelerazione e il gruppo Shell punta a diventare il primo produttore e distributore al mondo di elettricità nell’arco di 15 anni. L’Italia rientra in questo programma”.
Parla Marco Brun, presidente e amministratore delegato di Shell Italia e vice presidente di Shell E&P. La Major anglo-olandese (legata alla storica unione con Royal Dutch) è ai primi posti nelle classifiche mondiali sia per fatturato che per utile netto. In Italia produce anche lubrificanti ed è già fornitore di gas e elettricità per consumatori industriali. L’occasione per incontrare Marco Brun è la presentazione dello scenario Sky, avvenuta a Roma con l’ospitalità dell’ambasciata inglese, che delinea il percorso ambizioso ma realizzabile che industrie, consumatori e legislatori devono compiere per raggiungere gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi: limitare entro i 2 gradi il surriscaldamento del pianeta. Ne approfittiamo per parlare non solo degli scenari energetici globali legati alla transizione verso un’energia più pulita ma anche dei programmi in corso nel nostro Paese.
Riceveremo la bolletta della luce e del gas anche da Shell?
“In parte già avviene, in Italia, limitatamente ai clienti industriali. Per fare un esempio, nel Regno Unito dopo l’acquisizione di First Utility, abbiamo da poco modificato il brand in Shell Energy e forniamo oltre 700 mila consumatori retail con elettricità 100% rinnovabile. Non è l’unica operazione: negli ultimi tre anni, come gruppo, abbiamo completato una lunga lista di accordi, acquisizioni e joint venture nell’ambito dell’energia rinnovabile e dell’intelligenza artificiale applicata ai sistemi energetici”.
Ne può ricordare qualcuno?
“Nel settore dei trasporti abbiamo acquisito due anni fa New Motion, uno dei più grandi network di ricarica per auto elettriche con accesso ad oltre 100.000 colonnine in Europa, continuando però ad investire nel business dei biocarburanti e del waste to energy, attraverso recenti accordi conclusi in Canada e India. Una delle ultime acquisizioni, particolarmente interessante, riguarda un’azienda tedesca che opera anche in Italia: si tratta di Sonnen, leader europeo delle batterie per l’accumulo di elettricità ad uso domestico che per-mettono al cliente finale la produzione, lo stoccaggio e lo scambio di energia pulita”.
Con la transizione energetica anche le Major cambiano pelle? Sembra quasi una contraddizione ma siete in buona compagnia: Eni ha già oltre 2 milioni di clienti luce e gas in Italia, Total punta a raggiungerne 7 milioni in Francia e Belgio entro il 2022 e Bp è sulla strada per passare dai soli clienti industriali anche a quelli domestici nel Regno Unito.…
“La nostra posizione è coerente con la strategia del Gruppo e cioè che il settore elettrico sarà presto un business molto importante per Shell, tanto che l’ambizione è quella di di-ventare la più grande società elettrica del mondo entro i prossimi 15 anni. Tuttavia, come dimostra lo scenario Sky che abbiamo illustrato nei giorni scorsi a Roma, il mondo avrà sempre più bisogno di energia e gli idrocarburi continueranno a ricoprire un ruolo importante nel mix energetico globale nei prossimi decenni poiché il completamento della transizione energetica non potrà che essere graduale”.
Nello scenario Sky colpisce l’evoluzione del trasporto cosiddetto leggero: al 2030 tutte le auto nuove saranno 100% elettriche. Ci mancano solo 11 anni, è realistica questa previsione?
“Quello che è bene comprendere dello scenario Sky è che lo sguardo è rovesciato. Partiamo dagli obiettivi del Cop 21 di Parigi per indicare quali strumenti e azioni servono per raggiungerli. Uno di questi strumenti è la spinta sull’elettricità, verso una sempre maggiore elettrificazione dei settori produttivi, e sulle rinnovabili come fonte per produrre il kilowattora. Nei trasporti leggeri l’evoluzione è effettivamente repentina: al 2030 il 100% delle nuove auto immatricolate sarà elettrica ma per i mezzi pesanti, come aerei, navi o trasporto merci su gomma, sono necessarie soluzioni diverse che vanno dai biocarburanti all’idrogeno, oggi meno sfruttato. Non solo occorrono molti investimenti da parte delle aziende ma serve una volontà collettiva in cui tutti – inclusi i consumatori – facciano la loro parte. Il ruolo del legislatore sarà quello di adottare politiche incentivanti per accelerare la transizione”.
Altrimenti cosa succede?
“Non ci sono strade alternative. Il mondo nei prossimi 50 anni avrà bisogno di più energia. Se non vengono adottate politiche adeguate anche di efficientamento energetico la prospettiva è che nel 2070 il fabbisogno di energia crescerà di 6 volte rispetto ad oggi. Per contenere i consumi “solo” entro un loro raddoppio servono tanto una spinta regolatoria quanto soggetti disposti a investire nelle case, nell’industria, nei trasporti per migliorarne l’efficienza. E’ una partita che va giocata insieme, e su più livelli, non solo quello dell’efficienza, come dimostra in Francia l’esperienza dei gilets gialli, che si sono opposti ad un aumento delle tasse sui carburanti”.
Torniamo allora in Italia. Come siamo posizionati di fronte a queste sfide?
“Siamo fortunati perché abbiamo risorse naturali che ci supportano: abbondanza di sole e vento, più il primo che il secondo, senza dimenticare – come dicevamo – che ancora per qualche decennio il mondo avrà bisogno anche di idrocarburi nella transizione energetica. L’Italia è ricca anche di questi: in Basilicata si trovano i maggiori giacimenti dell’Europa continentale. In Val d’Agri siamo presenti con Eni, a Tempa Rossa con Total e Mitsui. La produzione in Val d’Agri è attiva da 15 anni ma si potrebbe sviluppare molto di più se ci fosse un ambiente regolatorio favorevole e una volontà di accelerare le autorizzazioni che nel caso di Tempa Rossa hanno accumulato ritardi quasi paradossali: il giacimento è stato scoperto nel 1989 e dopo 30 anni non è ancora in produzione. Per avere un termine di raffronto, l’Eni in Egitto è riuscita a mettere in produzione il giacimento-Giant di Zohr in tre anni: da 3 a 30 anni il divario da superare è piuttosto ampio! E sarebbe ancor più importante farlo mentre è in corso la transizione energetica perché poi non servirà più. Un esempio in questa direzione è la Norvegia, un Paese che è tra i più virtuosi quanto a penetrazione delle fonti rinnovabili ma che non rinuncia nel frattempo a sfruttare gli idrocarburi per creare benessere e ottenere risorse da destinare alle rinnovabili stesse”.