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Settimana lavorativa di 4 giorni, ora ci pensa anche il Brasile di Lula

Nel mondo sono una ventina i Paesi dove le imprese stanno sperimentando la settimana corta: il Brasile sarebbe il primo dell’area latinoamericana e soprattutto tra i primi a far passare una riforma costituzionale. La “scala 4×3” prevede che si lavori da lunedì a giovedì per un massimo di 36 ore

Settimana lavorativa di 4 giorni, ora ci pensa anche il Brasile di Lula

In principio fu l’Islanda, che già dieci anni fa aveva lanciato la settimana lavorativa di 4 giorni e che oggi vede il 90% della popolazione attiva lavorare per 35 ore a settimana, dal lunedì al giovedì. Poi si sono aggiunti altri Paesi, europei e non, soprattutto nel mondo anglosassone, con sperimentazioni lasciate di solito all’iniziativa delle singole aziende: Belgio, Spagna, Regno Unito, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Giappone, per citarne alcuni. In tutto sono meno di 20 Paesi a livello globale ad aver già testato la settimana di lavoro corta, sempre con buoni risultati e una consapevolezza crescente a livello istituzionale, di opinione pubblica e anche da parte delle imprese stesse di un maggior bilanciamento tra vita personale e professionale, a vantaggio dell’engagement e della produttività. Alla lista sta per aggiungersi un altro Paese, che sarebbe anche il più popolato a farlo (dopo gli Usa) e il primo nell’area latinoamericana: si tratta del Brasile di Lula, che sta persino valutando una riforma della Costituzione per agevolare questo cambiamento, sostenuto soprattutto dal PSOL, il Partito Socialismo e Libertà che fa parte della compagine di governo.

Il Brasile pensa alla settimana lavorativa corta

A lanciarla è stata prima un consigliere comunale di Rio de Janeiro, Rick Azevedo, che ha fondato il movimento VAT (“Vida Além do Trabalho”, “Vita oltre il lavoro”), ispirato al progetto pilota mondiale “4 Day Week Global”, e poi la collega di partito Erika Hilton, deputata federale che ha presentato un proposta di legge costituzionale per introdurre quella che in Brasile chiamano “la scala 4×3”, ossia tre giorni di riposo ogni quattro – consecutivi – di lavoro, che andrebbe a sostituire l’attuale regime del “6×1”, cioè sei giorni di lavoro e uno di riposo. La formula è già in corso di sperimentazione da parte di una ventina di imprese brasiliane, che come avvenuto in altri Paesi hanno ottenuto riscontri più che incoraggianti: riduzione dell’assenteismo, aumento della produttività (stimato fino al 25% da “4 Day Week Global”), impatto positivo sull’ambiente, e persino maggiore benessere e engagement dei lavoratori. I dati brasiliani dicono che il 71,5% delle imprese ha registrato un incremento della produttività, mentre la metà dei lavoratori sostengono di dormire meglio e svegliarsi più riposati, e addirittura il 70% si è dichiarato “felice e di buon umore” durante l’esperimento.

Cosa serve per approvare la riforma

Per passare, la riforma ha bisogno di una maggioranza qualificata, dato che comporta una modifica dell’articolo 7 della Costituzione, che dispone che la giornata lavorativa duri al massimo 8 ore per un totale di 44 ore settimanali, salvo diversi accordi collettivi. Con la nuova legge le ore scenderebbero a 36: per la verità lavorare otto ore per quattro giorni darebbe un totale di 32, ma nel testo verrebbero previste 4 ore di straordinari già incluse nel contratto, per un totale di massimo 36 ore di lavoro in quattro giorni. Di fatto, si potrebbe lavorare per 9 ore al giorno e non più 8, ma staccando la spina già al giovedì sera. Poiché la maggioranza che sostiene il governo Lula è già di per sé risicata al Congresso, servono necessariamente i voti di almeno una parte dell’opposizione. Alla Camera, che conta 513 membri, la quota da raggiungere è di almeno 308 voti favorevoli: al momento ad appoggiare l’iniziativa sono 234 deputati, compresi alcuni di centrodestra ma nessuno del Partito Liberale dell’ex presidente – e rivale di Lula – Jair Bolsonaro, che facendosi portavoce degli industriali si è già detto fortemente contrario.

La sfida politica e le resistenze al cambiamento

La Confindustria locale sostiene infatti che la “scala 4×3” farebbe lievitare i costi per le aziende di oltre 200 miliardi di reais, con una perdita di produttività stimata in 31 miliardi. Per questo motivo lo stesso Lula sta evitando di mettere il cappello su questa battaglia e infatti il suo partito, il PT, la sta solo prudentemente appoggiando e il presidente non si è mai esposto personalmente. Una parte importante del mondo imprenditoriale è convinta che un cambiamento di questo tipo vada lasciato alla contrattazione collettiva, come già previsto dalla Costituzione. Anche perché se è innegabile che molti settori potrebbero beneficiarne, come ampiamente dimostrato in tutto il mondo, è altrettanto da tenere in considerazione che altri settori – come la sanità o la giustizia – non potrebbero applicarla se non con l’assunzione di più personale e dunque con costi insostenibili. E la soluzione di applicare la riforma solo per alcuni lavoratori e non per altri genererebbe una evidente discriminazione, se non di tipo economico, sicuramente sulla qualità della vita. Tuttavia, la proposta piace ai cittadini: già 3 milioni di loro hanno firmato la petizione online lanciata dal movimento VAT, per una vita che non sia solo lavoro.

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