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Serbia e Bosnia: investimenti e consumi fanno correre il Pil

Secondo quanto si legge in un recente report della Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, in Serbia le condizioni economiche favorevoli per gli investimenti e i consumi hanno sostenuto la crescita del PIL nel corso del 2017 (+1,9%) e rappresenteranno ancora i principali catalizzatori della crescita per l’anno in corso (+2,5% secondo le ultime previsioni). Le note positive arrivano sia dal fronte interno, grazie a politica monetaria espansiva, tasso di disoccupazione in calo e aumento della fiducia dei consumatori, che da quello esterno, in virtù della ripresa economica dei principali partner commerciali europei. Inoltre, l’assenza di pressione inflazionistica, per via del tasso di cambio favorevole e di una crescita economica inferiore al potenziale sebbene in avvicinamento ad esso, sta determinando la bassa dinamica dei prezzi al consumo, che gli analisti prevedono resterà intorno al 3,0%. In questo contesto l’orientamento espansivo della politica monetaria è atteso proseguire nei prossimi mesi.

Per il 2017 il FMI stima che il saldo di bilancio pubblico sia stato leggermente positivo (0,2%), mentre per l’anno in corso le Autorità serbe hanno definito un deficit target dello 0,7%. Il Governo intende rafforzare gli investimenti, soprattutto in infrastrutture, e compensare le maggiori uscite riducendo la spesa pensionistica. In questo senso il progressivo aggiustamento dei conti pubblici realizzato a partire dal 2016 ha consentito un significativo calo del debito pubblico dal 74,7% al 61,5% nel biennio 2015-17. Tuttavia lo squilibrio nei confronti dell’estero dovuto al disavanzo di conto corrente, pari al 6,0% del PIL nel 2014, si è in parte corretto rispetto agli anni precedenti, sebbene rappresenti ancora un elemento di vulnerabilità per la sostenibilità di lungo periodo della posizione finanziaria estera del Paese, il cui debito estero è quasi l’80% del PIL.

I principali indicatori di liquidità estera, come il rapporto tra le riserve ufficiali e il debito estero a breve termine o il reserve cover ratio, risultano invece al di sopra delle soglie di allerta. A febbraio è giunto a conclusione il Programma Stand-by Arrangement del FMI attivato nel 2015, con cui l’istituto di Washington ha messo a disposizione della Serbia 935,40 milioni di SDR.

In Bosnia Erzegovina, invece, nei primi nove mesi dello scorso anno il PIL è salito del +3,0%. E gli indicatori economici mensili ad alta frequenza segnalano che nella parte finale dell’anno la dinamica del PIL sia rimasta positiva, sebbene stimata in rallentamento al +2,0% (con una media annuale del +2,6%). La crescita dell’export nel quarto trimestre 2017 è stata molto forte (+15,5%) ma inferiore a quella del trimestre precedente (+23%), dove però la produzione industriale ha accelerato dal +5,5% al +9,0% evidenziando possibilità di revisione verso l’alto del PIL. La dinamica dei prezzi al consumo si è stabilizzata su una media dell’1,2% e gli analisti prevedono che l’inflazione resterà su un sentiero crescente ma moderato nel corso del biennio 2018-19 per effetto della bassa crescita dei prezzi dell’energia, grazie alla valuta locale agganciata all’euro e quindi in rafforzamento rispetto al dollaro, e per via anche della crescita economica inferiore al potenziale, sebbene attesa in aumento.

Nell’ambito del Programma EEF, attivato nel 2016 con il FMI e della durata di tre anni, la Bosnia ha realizzato una significativa correzione dei conti pubblici rafforzandone la sostenibilità. Il consolidamento fiscale è stato prevalentemente conseguito con una riduzione sia della spesa corrente, in calo di quasi il 3,5% del PIL tra il 2014 e il 2017, sia della spesa per investimenti in calo dell’1,5% del PIL nello stesso periodo. Per quanto riguarda il 2018 il FMI prevede un saldo di bilancio pubblico ancora positivo ma in calo all’1,2% con una spesa per investimenti in salita al 5,5% del PIL. Tra i maggiori elementi di vulnerabilità economica del Paese c’è il disavanzo di conto corrente che, sebbene si sia in parte corretto negli ultimi anni, resta ancora significativo (oltre il 5,0%). In assenza di un calo strutturale del deficit corrente, nel medio lungo periodo il debito estero (attualmente al 61,1% circa) potrebbe difficilmente ridursi. Non va dimenticato anche il tasso di disoccupazione che, benché in calo, è ancora alto e vicino al 40%.

Ecco allora che, se in Serbia lo squilibrio dei conti pubblici è stato corretto in maniera significativa, quello estero si è aggiustato in parte e un’ulteriore stabile correzione nel medio/lungo periodo sembra essere importante per rafforzare la sostenibilità del debito estero. A fronte delle migliorate condizioni economiche, recentemente le maggiori agenzie di rating hanno rivisto le valutazioni del Paese: risultano allineati i giudizi espressi dalle agenzie di rating Fitch e Standard & Poor’s, che collocano la Serbia nella classe BB, mentre Moody’s assegna al Paese il rating Ba3. In merito alla Bosnia Erzegovina, invece, l’agenzia Moody’s attribuisce al Paese il rating B3 mentre Standard & Poor’s assegna il giudizio B. Queste valutazioni riflettono i fattori di vulnerabilità sopra citati pur in considerazione delle prospettive economiche nel medio/lungo periodo.

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