Amazon ha fatto un’altra vittima illustre. Si tratta di Sears, storica catena di grandi magazzini americana. Il gruppo, tormentato da 10 miliardi di debiti e da un calo delle vendite non arginabile, è finito in bancarotta e ha dovuto chiedere al tribunale fallimentare di White Plans il “Chapter 11“. La procedura, simile all’amministrazione controllata Italiana, permette alle aziende insolventi di tentate la ristrutturazione (evitando la liquidazione) sulla base di un piano di risanamento approvato da un giudice. In sostanza, l’impresa può mantenere il possesso dei suoi beni, ma passa sotto il controllo e sotto la giurisdizione di una corte federale.
Sears è stata la prima società di grande distribuzione a vendere ogni tipo di prodotto negli Stati Uniti e per questo è considerata un’istituzione dai consumatori americani. Fondata nel 1886 a Chicago, ha venduto per 30 anni via catalogo, per poi aprire il suo primo negozio nel 1925 a Evansville, nell’Indiana. Nel 1973 fu inaugurata a Chicago la Sears Tower, che con i suoi 443 metri è stata l’edificio più alto al mondo fino al 1998, quando fu battuta dalle Petronas Tower di Kuala Lumpur (453 metri). Sears è stata il principale gruppo statunitense per le vendite al dettaglio fino al 1989, anno in cui venne superata da Walmart.
La vera crisi è arrivata con il boom delle vendite online, un mercato in cui Sears non ha saputo collocarsi in modo efficace. Solo dieci anni fa Sears dava lavoro a 300mila persone, che ora si sono ridotte a 68 mila. E molte altre sono destinate a perdere il posto: Sears chiuderà 142 negozi non redditizi verso la fine dell’anno, oltre alla già annunciata chiusura di 46 negozi entro novembre.
Eddie Lampert – fino a oggi ad, presidente e maggiore azionista della Sears con il 31 per cento delle azioni – manterrà la presidenza ma lascerà la poltrona di amministratore delegato. Per ristrutturare il debito sta negoziando 300 milioni di dollari di prestiti dai creditori e avrebbe ricevuto impegni per altri 300 milioni in finanziamenti.