Le neuroscienze ci dicono che non siamo, come crediamo di essere, soggetti coscienti padroni del nostro destino. Siamo invece il risultato, nella loro visione, di burocrazie opache, ognuna con il suo programma, che a volte cooperano e a volte confliggono tra loro. C’è la burocrazia della fame e della sazietà, quella del caldo e del freddo, quella che gestisce il sonno, quella che si occupa della difesa dalle minacce esterne (che vede i pericoli prima che ce ne accorgiamo e decide se dobbiamo accorgercene). Il governo centrale, l’io cosciente, è una ricostruzione e razionalizzazione di cose che sono già avvenute dentro di noi, è il tentativo di dare un senso e una coerenza al prodotto dell’attività delle burocrazie. Credere di avere un io e di non essere semplicemente un insieme di algoritmi e di reti neurali ci gratifica, ci fa sentire importanti, liberi e responsabili quando non siamo niente di tutto questo.
È una visione, come si vede, profondamente antiumanista. Tra noi e una macchina rimangono solo due differenze, la capacità di contestualizzare e le emozioni, ma l’intelligenza artificiale sarà presto in grado di acquisire la prima e programmi appositi potranno quanto meno simulare le emozioni. A quel punto o estenderemo la responsabilità giuridica alle macchine o rinunceremo alla nostra, in quanto soggetti agiti e non agenti. I mercati finanziari si ritengono naturalmente un io pensante, sia pure collettivo. Per qualsiasi prezzo trovano una spiegazione e una giustificazione. La loro capacità di razionalizzare a posteriori equivale a quella che abbiamo come individui nella nostra vita personale.
Razionalizzare, tuttavia, è diverso da decidere sul serio. Brexit, Trump, le elezioni olandesi, francesi e tedesche, il Pil che sale o scende (e che in realtà, almeno in America, cresce da sette anni sempre alla stessa velocità) appassionano e dividono, provocano aggiustamenti continui dei prezzi relativi, possono produrre guadagni o perdite anche rilevanti per operatori più o meno bravi. Tutta questa intensa attività cosciente, tuttavia, è paragonabile a quella che si svolge dentro una nave o una flotta o una città galleggiante o nell’interazione tra flotte, come nel caso di una battaglia navale. Ammiragli, marinai, passeggeri e strateghi militari navali vivono intensamente la loro vita e sembrano padroni del loro destino, ma di una cosa fondamentale non decidono, ovvero del livello del mare si cui galleggiano e su cui conducono le loro vite.
Datemi abbastanza liquidità, ama dire Marc Faber, e vi porterò il Dow Jones a 100mila. In questi anni post-2008 la base monetaria, il grande mare su cui galleggiano tutti gli asset, finanziari e reali, è quadruplicata in rapporto al Pil dopo essere stata stabile nel mezzo secolo precedente. Come spiegano sempre le banche centrali al mercato, ossessionato dal volume dei flussi di ulteriore liquidità (l’entità mensile degli acquisti di Quantitative easing), non sono tanto i flussi a essere decisivi quanto lo stock di base monetaria. Certo i flussi, mese dopo mese, alla fine diventano rilevanti anche per lo stock, ma è il livello assoluto di quest’ultimo a essere importante per i prezzi degli asset. Dal 2009 a oggi lo stock globale di base monetaria è sempre cresciuto.
Nel 2013 quello dell’eurozona scese di un trilione per i rimborsi non più rinnovati degli Ltro, ma Stati Uniti, Giappone e Regno Unito più che compensarono la discesa europea. Poi è stata l’America a ridurre e poi azzerare i suoi flussi di Qe (senza mai fare scendere lo stock) ma la potente riaccelerazione europea e il mantenimento dei flussi giapponesi hanno permesso allo stock globale di continuare a crescere di un trilione e mezzo l’anno. A settembre, però, la Bce annuncerà una riduzione dei suoi flussi e, in prospettiva, il loro azzeramento entro il 2019, se non prima. A fornire liquidità rimarrà solo il Giappone. Attenzione, però, perché la Fed, secondo Goldman Sachs già alla fine di quest’anno, annuncerà un programma di graduale prosciugamento della sua base monetaria. Le pompe lavoreranno a quel punto come idrovore e non più come erogatori. L’inizio del Quantitative tightening sarà dolce e graduale e sarà coordinato con il Qe giapponese in modo da non provocare un abbassamento della base monetaria globale. È però prevedibile che il punto di svolta verrà raggiunto nel 2018. Dal 2019 la liquidità globale dovrebbe iniziare a scendere lentamente.
C’è da correre a vendere? No, perché questo programma proseguirà solo in presenza di un’economia globale in buone condizioni di salute e quindi, verosimilmente, di utili crescenti da parte delle imprese. C’è da alzare le spalle? No, perché gli utili in crescita si troveranno a dovere convivere su una moderata pressione al ribasso sui multipli. Non bisogna essere comunque troppo meccanici. Il mare non è mai piatto. Ci sono le onde e ci sono i gorghi. I gorghi equivalgono ai crash momentanei di mercato. Durano poco, ma possono essere distruttivi.
Inoltre il principio dei vasi comunicanti non funzione perfettamente nemmeno in natura. Tra l’Atlantico e il Mediterraneo c’è una differenza media di 20 centimetri, che a sua volta oscilla tra i 17 e i 23 centimetri. È colpa dei venti e ricorda la differenza strutturale che esiste, ad esempio, tra le valutazioni americane di borsa e quelle europee. Non si deve, in altre parole, regolare meccanicamente il livello di rischio del portafoglio sul livello del mare su cui galleggia, non si deve mai rinunciare a cavalcare le onde sia con il trading sia, mille volte di più, con la scelta oculata dei titoli migliori. Non si deve però nemmeno evitare di controllare periodicamente che il portafoglio sia compatibile con una liquidità globale, di qui a due anni, non più alta di quella odierna.
Che cosa vuole dire questo in concreto? Vuole dire ad esempio che azioni e bond possono reagire diversamente ad eventi futuri come il rialzo dei tassi, la stabilizzazione della liquidità e l’aumento (moderato) dell’inflazione. Un bond a dieci anni subisce in pieno tutti e tre i fattori, mentre nell’azionario l’inflazione viene recuperata nei flussi da un aumento del fatturato e nel patrimonio dalla rivalutazione in termini nominali.
Questi discorsi possono essere prematuri, ma la Yellen, nella conferenza stampa seguita all’aumento dei tassi, ha confermato che la Fed è già tecnicamente pronta a ridurre la base monetaria e deve solo decidere quando iniziare. Un livello del mare in via di stabilizzazione può fornire un incentivo a essere un po’ meno direzionali e a dedicare più attenzione a ottimizzare i carichi delle nostre navi, spostando ad esempio qualche peso dall’America all’Europa e, ancora di più, al Giappone e agli emergenti.