Nei giorni scorsi la Presidentessa Lagardeha fatto due dichiarazioni importanti.Primo, la BCEpermetterà al tasso di inflazione di portarsi sopra il 2% prima di alzare i tassi di interesse. Secondo, le misure straordinarie – es. il Quantitative Easing – diverranno permanenti. Nonostante il subitaneo contrappunto da parte di Weidmann,Presidente della Bundesbank emembro del GoverningCouncil della BCEal pari degli altri governatori delle banche centrali nazionali, che ha richiamato al mandato primario della stabilità dei prezzi e a evitare di confondere politica monetaria e politica fiscale, altri membri del GoverningCouncil si sono spinti addirittura oltre la Lagarde. Ad esempio, Villeroy,governatoredellaBanquede France,ha detto che “ripensare il secondo pilastrodella politica monetaria e monitorareun insieme più ampio di variabili, inclusi il Pil nominale e le attività delle istituzioni finanziarie, potrebbe aiutare la BCE a verificaree riconciliare i suoi obiettivi secondari, a partire dalla stabilità finanziaria, con il suo mandato primariodella stabilità dei prezzi”.
Il rafforzativo di Villeroychiarisce che la Lagarde si riferisce alla responsabilitàdella BCE di contribuire a ottenere gli obiettivi dell’UE. In altri termini, ciò suggerisce chela ridefinizionedella strategiae degli obiettividella BCE potrebbe portarla oltre l’inflazione, muovendola, in qualche modo, verso un modellopiù simile a quello della Federal Reserve. È veramente così? Prima di rispondere, è opportuno fare un passo indietro e ricordare come si arrivò a costruire la BCE sul modello Bundesbank piuttosto che su quello Fed.
Quando, all’inizio degli anni Novanta, l’UE decise di muovere verso l’Unione Economica e Monetaria (UEM), la decisione su quale modello seguire per la BCE tenne conto sia del pensiero dominante che delle condizioni politiche in cui l’UEM veniva a realizzarsi (chi è interessato può consultare Paul De Grauwe, Economia dell’unione monetaria, Il Mulino, 2019). Vi erano, appunto, due modelli contrapposti: da una parte, quello della Bundesbank – che aveva un mandato limitato al controllo dell’inflazione –, dall’altra, quello della Fed – che ha un mandato doppio, tenere sotto controllo l’inflazione ma anche combattere la disoccupazione. Da un lato, il pensiero economico dominante era quello monetarista, che enfatizza il ruolo della banca centrale nel controllo dei prezzi ed è scettico sulla possibilità che essa possa aiutare a combattere la disoccupazione. Dall’altro, essendo il marco tedesco la valuta nazionale più stabile tra quelle dei paesi che entravano nell’UEM e, di concerto, essendo la Bundesbank la banca centrale conpiù reputazione, l’influenza di Berlino fu naturalmente maggiore di quella delle altre capitali europee. Perciò, la BCE nacque modellata sulla Bundesbank e non, come molti volevano, sulla Fed.
Nei decenni successivi molte cose sono cambiate. Nel pensiero economico la visione monetarista è diventata minoritaria e si riconosce l’importanza del contributo della politica monetaria non solo sui prezzi ma anche nella lotta alla disoccupazione e nell’assicurare la stabilità macroeconomica in senso più ampio. Nella realtà dei sistemi economici, la crisi finanziaria globale, la susseguente incapacità dei paesi ricchi di recuperare dinamiche di crescita significative e, da ultimo, il grande shock COVID-19, epocale anche nella sua dimensione economica, hanno chiamato le banche centrali a politiche fortemente interventiste, un tempo impensabili. Ciò ha reso il modello Fed decisamente più efficace di quello Bundesbank.
Queste mutate condizioni di fondo potrebbero oggi favorire la convergenza della BCE verso il modello Fed, sancendo formalmente quello che, in qualche modo, la BCE sta già facendo. Questa trasformazione non sarà facile perché il mandato della BCE non è solo scolpito nel suo statuto, ma anche nei trattati istitutivi dell’UEM. Perciò, le resistenze non mancheranno. Tuttavia, se consideriamo che, dopo anni e anni di discussioni sterili, l’emergenza pandemica ha consentito di trovare un accordo sull’emissione di eurobond – cioè la nascita di una embrionale politica di bilancio comunitaria con il programma Next Generation EU, da noi più spesso chiamato Recovery Fund, ecc. – è plausibile che le resistenze saranno vinte anche sul mandato della BCE. Ciò darebbe un ulteriore contributo a rafforzare il progetto di unificazione europea. L’UE si è impegnata nel grande progetto che, con lo European Green Deale gli interventi per la ripresa post-covid, mira ad accelerare la transizione sostenibile in modo da contribuire a salvaguardare l’ambiente e l’inclusione sociale. All’interno di questatrasformazione ad ampio spettro, avrebbe poco senso che la BCE rimanesse arroccata sul solo obiettivo della stabilità dei prezzi.
Vi è però un caveat, dopo oltre dieci anni di politiche monetarie ultra-espansive pare che, nei mesi recenti, l’inflazione negli USA stia risalendo e, secondo alcuni osservatori, potrebbe portarsi presto verso il 3%. Se la ripresa dell’inflazione USA sarà confermata ma si limiterà al 3%, ciò non cambierà la situazione in modo rilevante. Se però l’inflazione dovesse continuare a salire verso il 5% e oltre, allora il giudizio cambierebbe. In tal caso, varie considerazioni potrebbero contribuire a rallentare o bloccare l’evoluzione della BCE dal modello Bundesbank a quello Fed.