“Il coronavirus ha estremizzato un’esigenza che nell’istruzione già c’era: quella dell’inclusione, dell’utilizzare la tecnologia per venire incontro a chi, per problemi di salute ma non solo, non può frequentare fisicamente scuole e università”. Con queste parole Federico Frattini, direttore del MIP – Politecnico di Milano School of Management, commenta un tema caldissimo di questi giorni: se è vero che è stato inevitabile chiudere scuole e università (in alcune zone per quasi un mese, alla fine dei conti), quanto è importante lo smart learning, ovvero la formazione a distanza? Mentre il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha ribadito che l’anno scolastico non è a rischio (ma anche che non si ricorrerà al “6 politico”), alcune scuole primarie e secondarie – poche, in realtà – e molte università hanno insistito su uno strumento – quello delle lezioni online – che già esiste o dovrebbe esistere da anni ma che in Italia stenta a decollare.
“Quella del digital divide è una scusa – sostiene Frattini -: per utilizzare le app di insegnamento a distanza non è richiesta chissà quale tecnologia. Bastano un comune smartphone e una connessione anche da rete mobile, con il 4G o 4.5G che ormai in Italia c’è da anni su tutto il territorio nazionale”. Insomma con una connessione da 10 euro al mese tutti possono accedere ad app come Teams, quella di Microsoft che è la più utilizzata e che fa ormai parte del pacchetto Office, oppure Zoom, l’app di video conferencing “che se possibile funziona con una connessione ancora più blanda di quella che serve per Microsoft”. “Oppure WebEx di Cisco, che vista la situazione ha deciso di regalare per tre mesi a tutti il proprio sistema di live communication”, aggiunge il docente che di smart learning è un esperto: la business school post laurea del Politecnico di Milano lo pratica dal 2013 (in media circa 1.500 dei 2.000 studenti iscritti ai corsi e master seguono le lezioni da remoto) e recentemente il Financial Times l’ha inserita nella top 10 mondiale dei migliori Master in Business Administration fruibili a distanza.
“Le lezioni online vanno però ripensate – aggiunge Frattini-: un corso di due ore dal vivo non ha la stessa efficacia se viene riproposto per due ore su smartphone o pc, va completamente riorganizzato. Molte scuole invece hanno seguito un approccio basico, limitandosi a fare a distanza ciò che veniva fatto dal vivo: meglio di niente, ma non hanno ottimizzato”. E come avrebbero dovuto invece organizzarsi? “Il docente prima della lezione dovrebbe condividere dei contenuti, dopodiché potrebbe ad esempio dividere il corso in 4 gruppi da 5 studenti, interagendo per mezz’ora con ciascuno. E poi un confronto finale usando l’app Teams, magari”. Se infatti agli studenti da casa bastano strumenti ormai considerati banali per accedere ai corsi del futuro, anche per le scuole vale lo stesso: con una qualsiasi connessione si può fare tutto, a patto di motivare gli insegnanti “e anche di formarli. Su questo forse il Governo avrebbe potuto fare di più: l’obbligo di proseguire le lezioni online sarebbe stato troppo, ma si potevano mettere più risorse a disposizione, licenze gratis per tutti, esperti pronti a sostenere presidi e docenti”.
Perché è così importante far studiare i ragazzi anche da casa? “Non tanto per il discorso del completamento del programma – queste le parole di Frattini -, ma perché la continuità dell’apprendimento è fondamentale, soprattutto nelle scuole di ordine inferiore, elementari e medie per intenderci. E poi perché è semplice e inclusivo: oggi il coronavirus costringe a casa tutti gli studenti, ma tutto l’anno ci sono ragazzi che per vari motivi, spesso proprio di salute, non possono seguire fisicamente le lezioni”. Lo smart learning è più indietro dello smart working, ma è già il presente.