Nei prossimi giorni sicuramente l’attenzione si concentrerà sul tema delle conseguenze della scissione interna al PD. D’altronde, nell’attuale fase di profondi cambiamenti, bisogna essere consapevoli che nel contesto nazionale (e non solo) tende necessariamente ad aprirsi un processo di ricomposizione degli assetti politici. Ciò non toglie che le responsabilità che si sono assunte verso il Paese con la costituzione del nuovo governo pongano l’esigenza di mettere in atto azioni di politica economica e sociale in grado di riavviare subito il meccanismo dello sviluppo. Al riguardo, circoscrivendo l’attenzione al settore Istruzione, Formazione e Ricerca, generalmente escluso dalle priorità di bilancio dei nostri governi, tre recenti prese di posizione fanno intravvedere qualche interessante linea d’azione e sollecitano riflessioni di parziale approfondimento.
La prima presa di posizione è presente nel programma dell’attuale Presidente della Commissione Europea, dove ci si impegna alla realizzazione entro il 2025 di uno spazio europeo dell’istruzione e delle competenze. Il secondo intervento da sottolineare è quello del Presidente Mattarella il quale inaugurando l’anno scolastico all’Aquila ha, tra l’altro, auspicato un particolare impegno a favore del sistema educativo e formativo nazionale sostenendo che “investire nella scuola è la scelta più produttiva per le istituzioni e le famiglie e … accresce il capitale sociale del Paese”. A entrambe le dichiarazioni si aggiunge l’impegno del governo nazionale che nel proprio programma dichiara di voler perseguire un incremento di risorse per scuola, università e ricerca. È in questo contesto che assume rilievo l’intervento del nuovo ministro del Miur, prof. Lorenzo Fioramonti, il quale nel corso del Forum di Cernobbio e, poi, su Corsera, ha enunciato la richiesta di un aumento di 3 miliardi del bilancio del proprio ministero e l’intento di stipulare un patto tra industria, ricerca e formazione.
Se e come si procederà nella direzione del rafforzamento del settore in questione nella formulazione del bilancio del nuovo governo, al momento non è dato sapere. Ma in attesa del programma compiuto delle politiche che il Miur intende mettere in atto, è forse utile qualche considerazione a proposito delle intenzioni enunciate dal nuovo ministro. I tre miliardi in più (2 per la scuola e 1 per l’università e la ricerca) richiesti dal prof. Fioramonti sono certamente una cifra cospicua in tempi di crisi e di complessa gestione di un bilancio pubblico pressato dalle più diverse e impellenti esigenze (anche se a qualcuno potrebbe venire l’idea di confrontarla con i 20 miliardi stanziati in tre anni per quota 100).
Bisogna, di contro, aver presente lo stato di disastro in cui versa la scuola pubblica in Italia, troppo noto per dover ricordarlo. E forse pochi sanno che dal 2010 al 2018 lo stanziamento per l’Università non solo non ha registrato aumenti ma, per vari aggravi di nuove spese stipendiali non coperte, ha determinato tagli disastrosi ai fondi per funzionamento, servizi agli studenti, sostegno alla ricerca. In soli 8 anni, inoltre, si è avuta una diminuzione di 5.000 unità del corpo docente (-3.000 ordinari; -5.000 ricercatori; +3000 associati) e di altrettanti tra il personale amministrativo. Nel complesso, un drastico ridimensionamento del sistema universitario nazionale che ha spento molte potenzialità di ricerca (ci si rifugia all’estero) e ha penalizzato discipline caratteristiche della nostra storia culturale.
Ci sarebbero valide ragioni, quindi, per porre sul tavolo una consistente richiesta di risorse. Ma non sarebbe forse la strada giusta. Bisogna, invece, partire dall’impostazione di un percorso pluriennale scandito da progetti pragmatici, possibili e utili, di medio-lungo periodo, concepiti come contributo delle competenze, della ricerca e della formazione agli obiettivi di cambiamento economico e sociale che si deve dare il Paese. Sono necessarie strategie integrate di programmi d’investimento, ai fini di un uso congiunto di risorse provenienti da fonti diverse (Infrastrutture, Ambiente, Sviluppo Economico, Sanità, Regioni, Fondi Europei…) per dare valore di sistema alle specifiche azioni del Miur. Tra l’altro, un tale percorso faciliterebbe il perseguimento dell’altro obiettivo indicato dal Ministro: la realizzazione di un patto tra industria, scuola e ricerca.
Questo è un tema centrale. Nel nostro sistema universitario e di ricerca il patrimonio di saperi, capacità tecnologiche, potenzialità creative e innovative è rilevantissimo. Ma non è costituito in assetto di sistema e non dispone di meccanismi strutturali che tengano in stretto rapporto il mondo della ricerca e quello dell’impresa. Non esistono percorsi strutturati di trasferimento dei prodotti di ricerca e innovazione al tessuto delle imprese. Un patto tra questi mondi sarebbe utile, ma deve essere accompagnato da una strategia integrata di progetti che rispondano alle diverse specializzazioni territoriali presenti nel Paese e accrescano la loro capacità di collegarsi alle catene del valore diffuse a livello globale: è una questione di infrastrutture. Bisogna rimettere mano alla costituzione dei Competence Centers, i poli nazionali di ricerca e formazione avviati con Industria 4.0, verificarne l’avvio e il livello di partecipazione di atenei e imprese, ampliarne il numero se necessario, collegare a questi 5-6 poli nazionali una rete di strutture territorialmente specializzate d’innovazione tecnologica, gestite e cofinanziate da Università e Imprese, creare le condizioni per monitorare il perseguimento degli obiettivi e la presenza di specifiche problematiche. Insomma, occorre una prospettiva di sistema per investire in modo coraggioso nella ricerca.