“L’attuale situazione di stallo della scuola è la peggiore possibile. Secondo noi la formazione è il motore dello sviluppo, il fatto che le scuole siano rimaste chiuse così a lungo e che il loro futuro resti un’incognita è il più grande problema sociale, indotto dalla pandemia, insieme a quello del lavoro”. È l’amara riflessione di Antonio Danieli, direttore della Fondazione Golinelli di Bologna, che racconta a FIRSTonline come la creatura di Marino Golinelli sia sopravvissuta in questi mesi al Covid-19 e con quale grinta guardi al futuro.
La Fondazione e l’Opificio Golinelli, la città del sapere e della conoscenza dove si svolgono le attività dedicate ai giovani e ai loro insegnanti, sono stati colpiti al cuore dal lockdown eppure sono riusciti a non fermarsi e intendono riaprire i battenti a giugno. Nel suo centesimo anno di vita Marino Golinelli, che a ottobre festeggerà il secolo, ha deciso di farsi un regalo aggiungendo altri 200mila euro al già cospicuo patrimonio di cui ha dotato il suo grande progetto (circa 85 milioni in 30 anni) e l’Opificio, che dà corpo e anima all’investimento filantropico dell’imprenditore.
Dottor Danieli, si parla molto in questi giorni di scuola, anzi di assenza della scuola. La chiusura era l’unica strada possibile? E il fatto che non si sappia cosa succederà a settembre la preoccupa?
“Non voglio giudicare chi sta lavorando al Governo in questa fase inedita e difficilissima da affrontare. Capisco che la situazione sanitaria fosse e sia pericolosa e non so dire se la strada scelta sia la migliore o l’unica possibile per evitare il diffondersi incontrollato dell’epidemia. Osservo però che la scuola è il luogo principe dello sviluppo socio-economico del nostro Paese, dove si formano gli uomini e le donne che gestiranno il nostro futuro, è il luogo dell’apprendimento, del confronto e della ricerca. Le scuole chiuse colpiscono cervello e cuore, corpo e anima del Paese e penso che il tema della formazione delle nuove generazioni vada affrontato cercando anche risposte diverse da quelle offerte finora. La formazione a distanza è una scelta valida, obbligata in questa fase e anche noi l’abbiamo adottata nel periodo del lockdown più stretto, quando per legge abbiamo chiuso l’Opificio. In questo periodo però ne abbiamo viste tante, insegnanti che si rifiutavano di fare formazione a distanza, famiglie che non erano in grado di accompagnare i figli in questo percorso, altre che non potevano permettersi l’acquisto di un computer, intere aree del Paese dove il WiFi non arriva. Noi siamo in Emilia-Romagna e tutto ci sembra facile, ma lo stivale è lungo e molto articolato. Il problema è grande e bisogna agire e c’è un lavoro culturale da fare, anche con i genitori. Molti italiani versano in una situazione di indigenza reale, altri paradossalmente, la cui indigenza forse è più culturale, hanno un cellulare che costa 600-700 euro e regalano lo stesso cellulare ai figli giovanissimi, poi dicono che non hanno i soldi per un iPad per la formazione a distanza. E pensare che persino quel cellulare potrebbe servire a questo scopo ben più importante di qualche messaggino. Ecco, capite cosa intendo?.
Per non parlare del fatto che anche una parte del corpo docente non è pronto. Il problema quindi è complesso, culturale e strutturale al tempo stesso. Noi abbiamo continuato a fare corsi utilizzando la banda larga, ma spesso la linea cadeva. Le infrastrutture digitali italiane in questo periodo hanno rivelato tutta la loro fragilità. Ecco, se dovessi stendere un programma di cose da fare partirei dagli investimenti nella scuola, nelle infrastrutture e nella cultura digitale. Il tutto senza trascurare il fatto che stare insieme, fisicamente, nel luogo dove si fa formazione è fondamentale. La formazione di eccellenza passa dallo scambio, dall’interazione, dal confronto. Se non vogliamo perdere le nuove generazioni dobbiamo trovare la maniera di riaprire le suole al più presto, dobbiamo cercare soluzioni ai molti problemi che ci ha posto la formazione a distanza e quelli della formazione in aula”.
Voi li state affrontando?
“Si. Per noi l’apprendimento necessita di nozioni, ma anche di emozioni. Per questo stiamo lavorando a una formazione a distanza per tutte le fasce di età e per gli insegnanti, che sia utile, ma anche bella, appassionante, credibile. Come fonte di ispirazione attingiamo alla nostra ultima mostra, U-mano, che unisce tanti piani di lettura, diretta e digitale.
Fino ad oggi cosa avete fatto?
“L’Opificio è rimasto chiuso al pubblico dal 22 marzo, ma la Fondazione ha sempre lavorato a distanza, anche perché sono anni che noi investiamo in questo tipo di didattica. Abbiamo offerto corsi a supporto del normale programma ministeriale, dal quale generalmente prescindiamo. In questa fase siamo entrati in contatto con circa diecimila insegnanti e settemila studenti per varie attività educative e non ci siamo posti in un ruolo di sussidiarietà, ma ci siamo messi a disposizione per garantire l’attività didattica nell’emergenza. Purtroppo non abbiamo potuto fare laboratori, che invece consideriamo fondamentali”.
Il computer non può sostituire l’esperienza, il contatto umano, il tutor, la vicinanza dell’insegnante e dei compagni, il confronto.
“A questo approccio diretto vogliamo tornare. L’Opificio riapre quindi il 15 giugno. La scuola non può farlo, ma noi sì e costi quel che costi riapriremo, a meno che non ci venga impedito per legge. Abbiamo spazi ampi e possiamo permettercelo. Ridurremo i numeri degli studenti per classe, ogni studente avrà una postazione singola e la sua attrezzatura. Ogni classe non interagirà con le altre e avrà un proprio accesso. Ci saranno controlli della temperatura all’ingresso e una continua disinfezione degli ambienti. Prenderemo ragazzi di tutte le età: dai 6 agli 11 anni, dagli 11 ai 13, dai 14 ai 18, faremmo la Summer school e la scuola d’imprenditorialità. Per garantire la sicurezza il lavoro durerà metà giornata, entro le 16 si chiuderà.
Abbiamo a disposizione 700 posti per studenti in presenza e 1500 posti per corsi online, da svolgere in sei settimane, dal 15 giugno al 30 luglio. Noi ci siamo, vedremo se ci sarà risposta da parte delle scuole, delle famiglie e degli studenti. Se la domanda supererà alla nostra offerta raddoppieremo i posti. Per rendere note le nostre intenzioni abbiamo già attivato il nostro database, attraverso il quale raggiungiamo 50mila contatti diretti, fra insegnanti e famiglie. I corsi saranno a pagamento e non. La maggior parte dell’attività online è gratuita. Ma anche quella in laboratorio costerà come l’anno scorso, indipendentemente dalle maggiori spese di sanificazione, grazie alla generosità e alla nuova donazione di Marino e Paola Golinelli”.
Come vanno i corsi per l’imprenditorialità e le startup?
“G-Factor ha portato a compimento la seconda call, con 137 progetti nel campo delle scienze e della vita. Abbiamo selezionato i gruppi vincenti e siamo riusciti a portare termine 5 investimenti in nuove start up. In questi mesi, anche se tutto era chiuso, i notai dovevano lavorare e ci siamo andati cinque volte. Abbiamo quindi cinque nuove start up per un investimento di 700mila euro. L’anno scorso fu un milione. Ora siamo alla progettazione della terza call. Anzi, vorrei approfittarne per fare un piccolo appello. In questo periodo vedo tante gente che chiede aiuto e che si lamenta perché il sistema è fermo. Ecco vorrei vedere più persone che si rimboccano le maniche, anche nel Venture Capital, dove invece vedo grande paura e, per ora, solo molti annunci. Come dice il nostro Presidente Andrea Zanotti, in questo momento “non è vietato sbagliare, ma è obbligatorio provarci”.”
Con Opus 2050 voi avete sempre parlato di un “futuro non immaginabile”, proponendovi l’obiettivo di formare giovani a qualcosa di imprevedibile, visti i ritmi frenetici del cambiamento. Il Covid-19 ci ha fatto piombare dentro un futuro non immaginabile? Avete mai ipotizzato uno scenario come questo?
“Noi no, però ci aveva pensato Bill Gates e da qualche anno girava l’ipotesi di una crisi sanitaria globale, ma un conto è fare un convegno dal sapore fantascientifico e un conto è vivere questa realtà. Quello che è accaduto ci pone in un mondo già diverso e sarà fondamentale evitare gli errori del passato. Forse non lo percepiamo ma si sono determinati dei cambiamenti notevoli e irreversibili nella società e soprattutto nel modo di lavorare. Lo smart working non sarà una moda passeggera, una fase temporanea, ma si inserirà stabilmente nella vita delle imprese. Questo porterà dei benefici, consentendoci di riconciliare gli stili vita, cambiando i trasporti e decongestionando le strade, permettendoci di riorganizzare la vita quotidiana. Si dice che lo smart working penalizzi le madri di famiglia, che non ritornano al lavoro. Ma io credo che anche questo aspetto verrà superato, soprattutto se la scuola riaprirà come deve. La pandemia si è abbattuta su di noi come una furia distruttrice, ora vediamo solo le macerie invece dobbiamo coltivare i germogli del miglior cambiamento. Il prezzo da pagare sarà alto, lo abbiamo visto nell’andamento delle compagnie aeree o nel fallimento della Hertz. Ma dobbiamo sfruttare le novità per trarne un mondo migliore. Molti settori andranno ripensati: turismo, trasporti, welfare, sanità, socio-assistenza, interi comparti produttivi dovranno innovare.
La scuola rimane il più importante di questi. Formazione a distanza e presenza in aula diventeranno parte della routine. Il tempo libero, la cultura e lo spettacolo, tutto questo ci pone grandi punti interrogativi su come ripensare l’offerta culturale, come erogarla. Per noi arte e scienza sono componenti indispensabili dello sviluppo e della formazione della personalità e da anni siamo convinti che sia tempo di un nuovo umanesimo. Ecco, il mondo nuovo è arrivato, rendiamolo abitabile e facciamo sì che sia migliore di prima. Noi cerchiamo di non farci sfuggire il treno della cultura e abbiamo aperto le candidature per la terza edizione della Summer School Entrepreneurship in Humanities, che stimola studenti e ricercatori di formazione umanistica nello sviluppo di nuove idee d’impresa. Oltre alla consolidata edizione bolognese che si volge dal 6 al 17 luglio e offre 35 posti, inauguriamo una nuova edizione di Bari dal 13 al 24 luglio, sempre per 35 persone. A questo giro però i corsi saranno online”.
La pandemia potrà offrirvi lo spunto per far ragionare i giovani su scienza e imprenditorialità? Per chiedere loro nuove proposte?
“Sicuramente questa vicenda finirà nei nostri progetti e forse sarà di stimolo per la ricerca di applicazioni trasformabili in prodotti per l’assistenza e la medicina, la prevenzione e la miglior gestione dei sistemi sanitari”.
Marino Golinelli, come uomo e come imprenditore, che ha visto tante cose in cento anni di vita, vi ha dato qualche suggerimento?
“Chi conosce Golinelli sa che è un grande uomo del fare che guarda sempre avanti. La sua fiducia nel futuro non è mai venuta meno. Non gli ho mai sentito paragonare il Covid alla guerra, perché è convinto che oggi ci siano molti più strumenti per rialzarsi. Secondo lui la fase post bellica della seconda guerra mondiale fu molto più dura e difficile. Oggi possiamo fare molto di più ed il nostro fondatore ci stimola ogni giorno a non avere paura e a fare il possibile per aiutare i giovani a maturare e a prosperare, a guardare con fiducia il futuro per costruire un nuovo mondo sostenibile”.