Un salasso da due miliardi di dollari. A tanto ammontano le vendite piovute dall’estero, via Hong Kong, sui listini della Cina, in calo del 3,4% ai minimi da dieci settimane. Una fuga improvvida ed imprevista dei gestori che, fino a pochi mesi fa, consideravano il Drago una delle mete più solide, vista la tenuta del cambio e la solidità della ripresa post-Covid. Ma ancora più sorprendente è la ragione del collasso: la stretta sulle scuole private.
La settimana scorsa, dopo un primo annuncio sul Caixin, il più autorevole giornale non controllato dalla mano pubblica, è arrivata la conferma che, d’ora in poi sarà vietato fare profitti con l’insegnamento di base o con il tutoring, cioè il sostegno alla preparazione per gli esami di ammissione alle università più importanti. La stretta nasce dal tentativo di invertire il calo della natalità tra le famiglie cinesi. Il presidente Xi si è convinto che tra le ragioni del perché i cinesi non fanno figli nonostante il governo abbia levato il vincolo del figlio unico ci sia il costo eccessivo degli sforzi per garantire una preparazione di alto livello per i ragazzi, impegnati fin da subito in una gara per garantirsi l’ingresso nelle scuole più prestigiose.
Di qui una decisione drastica: d’ora in poi le lezioni private dovranno essere gratuite o alla tariffa imposta da Pechino. Non si potranno tenere lezioni durante le vacanze delle scuole statali, per non favorire l’aumento dei gap a favore dei più abbienti. E d’ora in poi non sarà consentita l’attività di scuole controllate dai capitali stranieri, specie quelli collegati alle grandi università occidentali.
Per avere una dimensione del fenomeno, basti dire che il settore Education venerdì scorso capitalizzava più di 120 miliardi di dollari. Il valore di New Oriental, uno dei titoli leader, ha perduto oggi il 37% del valore dopo aver bruciato venerdì i due terzi della capitalizzazione, scesa a 4,2 miliardi dollari. Rispetto a febbraio, quando la società era sbarcata a Wall Street sull’onda degli ottimi risultati in patria (l’education è stato uno dei comparti più profittevoli), la perdita per gli investitori che hanno scommesso sul titolo si misura sui 30 miliardi di dollari.
Una brusca doccia fredda, l’ennesima inflitta da Xi Jinping agli investitori occidentali. Il primo altolà è arrivato con lo stop alla quotazione di Ant Group, il braccio finanziario di Alibaba. L’ultimo, il monito preceduto da una pesante multa a Tencent -6% per il mancato rispetto della concorrenza, un provvedimento che riguarda la gestione dei diritti d’autore. Nel bel mezzo le sanzioni ai danni di Didi, l’Uber cinese in pratica congelato sine die perché colpevole di aver proceduto alla quotazione in Usa prima di aver ricevuto il via libera sulla cybersecuruty da Pechino.
A tutto questo si aggiungono gli sforzi del governo cinese per frenare il “surriscaldamento” del settore immobiliare domestico, sforzi che intimoriscono gli investitori, facendo scendere l’indice CSI 300 Real Estate del 5%. I media riferiscono che la Banca Centrale Cinese ha ordinato agli istituti finanziari di Shanghai di aumentare il tasso dei prestiti ipotecari per gli acquirenti di prima casa. Le azioni di China Evergrande Group, sviluppatore immobiliare fortemente indebitato da tempo in difficoltà, sono cadute del 7% dopo aver perso un terzo del valore questo mese e sono scese di oltre il 50% quest’anno.
Insomma, la Cina di Xi Jingping, lungi dal garantire un occhio di riguardo nei confronti degli investitori stranieri, li colpisce senza alcuna esitazione, decisa a vendicare Huawei e le altre vittime degli embarghi di Washington, anche a costo di giocarsi i flussi finanziari che hanno favorito il decollo della potenza del Drago negli ultimi vent’anni. Ma da allora i rapporti di forza sono cambiati. Almeno sul fonte geopolitico. Oggi in Borsa la Cina e, più in generale, il Far East non vanno di moda. Ma proprio per questo in un’ottica di lungo periodo potrebbe essere interessante l’idea di accumulare azioni di quella che resta l’area economica a più alto tasso di sviluppo.