Non solo pagelle e registri online. Con la spending review sono in arrivo per la scuola italiana anche altre novità, che rischiano di far perdere il posto a 15mila precari fra docenti e Ata (personale amministrativo, tecnico e ausiliario). La denuncia arriva dal sindacato Flc Cgil, che pone l’accento su due interventi in particolare.
In primo luogo, la nuova legge prevede di riutilizzare “in ambito provinciale” 10 mila insegnanti in esubero (diventati soprannumerari dopo la revisione degli ordinamenti stabilita dalla riforma Gelmini). Si tratta di professori, spesso con molti anni di servizio, che saranno impiegati per coprire posti vacanti e supplenze, ma in classi di concorso diverse dalla propria. Questo significa che insegneranno materie per le quali non hanno alcuna abilitazione o titolo di specializzazione, togliendo il posto ad altri 10 mila precari con maggiore professionalità. In più, lo faranno spostandosi a proprie spese nella provincia, anche per fare semplicemente i “tappabuchi”.
La seconda misura controversa prevede l’impiego (anche temporaneo) come lavoratori Ata di 3.765 docenti “inidonei all’insegnamento” per motivi di salute. “L’applicazione draconiana di questo intervento – scrive Flc Cgil – avrebbe conseguenze gravissime sui livelli occupazionali dei precari Ata, che verrebbero licenziati tout court, senza neanche avere più la possibilità di fare le supplenze saltuarie”. Rischierebbero anche le amministrazioni scolastiche, che si troverebbero a impiegare lavoratori senza alcuna formazione o esperienza nel settore.
A turbare i sonni dei professori italiani c’è però anche un altro provvedimento oltre alla spending review. Si tratta della Proposta di Legge 953, una riedizione del disegno di legge Aprea partorita dall’attuale maggioranza. Il testo nasce come riforma degli organi collegiali e introduce importanti novità per la scuola. Discusso il 6 agosto dalla VII Commissione della Camera, sarà votato a settembre.
L’articolo 10 stabilisce che “le Autonomie scolastiche possono ricevere contributi da fondazioni finalizzati al sostegno economico della loro attività, per il raggiungimento degli obiettivi strategici indicati nel piano dell’offerta formativa e per l’innalzamento degli standard di competenza dei singoli studenti e della qualità complessiva dell’istituzione scolastica”. I partner previsti “possono essere soggetti pubblici e privati, fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni non profit” ed entrano a far parte dei Consigli dell’autonomia, nuovo organo decisionale della scuola che sostituirà il vecchio Consiglio di istituto.
Secondo il Coordinamento precari scuola (Cps), questa norma innesca “la progressiva privatizzazione delle scuole pubbliche. Ci chiediamo con quali procedure (bandi? Il miglior offerente? L’unico offerente?) verranno designate queste figure provenienti dall’esterno e, per quanto ci riguarda, completamente prive di titoli che giustifichino la loro presenza all’interno di una pubblica istituzione preposta alla formazione dei nostri giovani. Poi ci chiediamo: cosa potrà essere chiesto in cambio alla scuola per giustificare l’erogazione di denaro?“.
Inoltre – prosegue il Cps – “è chiaro che con la riduzione sempre maggiore dei finanziamenti statali alle scuole, i contributi dei privati e delle istituzioni locali diventerebbero sempre più importanti e quindi i loro rappresentanti inseriti all’interno del Consiglio dell’Autonomia finirebbero per orientare anche le loro scelte formative delle scuole“.