Nuovi poveri: gli scrittori. Perso un terzo del valore in 8 anni
Lo scrivere è ancora un lavoro?
La bionda scrittrice Joanne Kathleen Rowling, con un patrimonio netto di 1 miliardo di dollari (Aprile 2014), è uno dei contribuenti più facoltosi del Regno Unito. E pensare che il primo libro della serie Harry Potter fu rifiutato da ben 12 editori e il 13mo che lo accettò, Bloomsbury Publishing, si rifiutò di versare un anticipo superiore a 1.500 sterline. Le entrate della Rowling nel 2014 dovrebbero essere intorno ai 14 milioni di dollari, ma nel 2008 ha totalizzato qualcosa come 300 milioni. Nel 2011 il gettito dei libri della serie di Harry Potter è stato di 17,5 milioni di dollari. Oltre a essere una scrittrice di talento, J.K. Rowling è anche un’imprenditrice di pari propensione. Il che non guasta, quando capita. Una cosa è essere imprenditori, una differente a essere assetati di soldi, che è quello che gli editori rinfacciano alla maggior parte dei loro autori. In realtà soldi ne circolano pochi intorno al mestiere dello scrivere. Con le dovute eccezioni, ovviamente. Chi salverà la professione dell’autore. Torneremo ai tempo di Federico II e Voltaire?
Anche una frazione del reddito della Rowling è più che un miraggio per la maggior parte degli scrittori professionisti britannici che nel 2013 dichiarano di avere, in media, entrate inferiori a quelle che costituiscono il reddito minimo nel Regno Unito (Minimum Income Standard – MIS), che noi chiamiamo soglia di povertà. Il reddito medio degli scrittori professionisti nel 2013 è stato, infatti, di 11mila sterline, quando il reddito minimo standard, indicato dalla Joseph Rowntree Foundation che fa questo tipo di elaborazioni, è pari a 16.850 sterline. Nel 2005 l’entrata media di uno scrittore professionista era di 15.450 sterline (aggiustato a oggi con l’inflazione), al di sopra della soglia di povertà di allora. Una perdita secca del 29% in appena 8 anni. Quasi un terzo del reddito è andato in fumo.
L’entrata media di uno scrittore non professionista era di 5mila sterline nel 2005 e oggi è sceso a 4mila sterline. Ma nel 2000 era pari a più del doppio, 8.810 sterline. In 15 anni è evaporato metà del valore. Numeri scioccanti, ma certificati.
Questo il quadro emerso da un’indagine, What Are Words Worth Now?, condotta su un campione (56% uomini e 44% donne) di 2.454 scrittori britannici dalla Authors’ Licensing and Collecting Society (ALCS), una società non profit che rappresenta 85mila scrittori del Regno Unito.
C’è però un dato ancora, se è possibile, più sconfortante per chi vive di questa professione in tutto il mondo: la percentuale di scrittori full-time è scesa dal 40% nel 2005 a un misero 11% nel 2013. Il 29% degli scrittori ha dovuto avviare una nuova attività in grado di ripristinare le risorse perdute.
Cosa dicono gli scrittori?
Lo scrittore Will Self ha dichiarato al “Guardian” che gli autori britannici che si guadagnano da vivere con i libri “possono agevolmente entrare in una cameretta”.
James Smythe, che ha pubblicato 5 volumi di divulgazione scientifica con HarperCollins, sembra avere tratto delle considerazione abbastanza conclusive sulla professione di autore. Ha dichiarato al “Guardian”: “Lo scrivere non può essere considerato un lavoro. Forse lo è stato, ma oggi non lo è più. In termini economici non c’è lesso, non puoi contare sui soldi quando ne hai bisogno. La maggior parte degli autori riceve degli anticipi che non vanno a coprire uno stipendio dignitoso. C’è bisogno di un secondo lavoro”.
La particolarità del lavoro dello scrittore di libri è espressa da Smythe che meglio non si potrebbe: “L’industria lavora come ha sempre lavorato, tiene stretto il portafogli. Se vendi bene avrai più soldi la prossima volta. Altrimenti niente. Nella maggior parte delle professioni se lavori sodo, alla fine, i risultati arrivano. Sfortunatamente – e ciò non è colpa di nessuno – lavorare sodo nell’editoria non garantisce alcun risultato. Puoi scrivere il miglior libro del mondo e le vendite possono andare male lo stesso. I miei editori sono bravi e continuano a darmi fiducia e incoraggiarmi. Così io continuo a scrivere. Un giorno se i risultati non arrivano, la situazione cambierà. Perché si deve continuare a pagare qualcuno che non produce alcun guadagno?”
Sconsolato è anche il commento di Owen Atkinson, CEO di ALCS che ha commissionato l’indagine: “Il contemporaneo declino delle entrate degli autori e la drastica diminuzione del numero degli scrittori a tempo pieno potrebbe avere delle conseguenze serie per l’economia dell’industria creativa nel suo complesso in UK”.
Giusto parlare di economia. Qui sta proprio il punto.
Cause congiunturali
Secondo PwC (PricewaterhouseCoopers) nel 2017 le vendite prodotte dagli ebook supererranno quelle dei libri. Ci si può consolare con qualcosa per l’assottigliamento di una professione così strategica? Sicuramente. Prima di tutto gli scrittori britannici sono in buona compagnia, in tutti i paesi dell’OCSE sta succedendo la stessa cosa. L’Europa continentale tenderebbe a veder attutito questo fenomeno grazie a un fattore di differimento nella diffusione dei comportamenti legati alla nuova economia, ma la crisi economica e sociale ha eroso allo stesso modo lo status economico degli scrittori.
Tutti dicono che si pubblicano troppi libri, ed è vero. Con l’arrivo degli autopubblicati, il cui numero di titoli arriva a eguagliare quello degli editori tradizionali, l’offerta è diventata ingestibile per i canali distributivi e i lettori non riescono a tenere il passo. Ci sono poi i pessimi rapporti degli editori con il maggior distributore globale che è Amazon. Invece di essere visto come una risorsa immensa, Amazon è percepito dall’industria tradizionale come un flagello di Dio anche per certi comportamenti stupidi e inutili che una persona con un QI al di sopra della media come Jeff Bezos dovrebbe evitare.
Il mercato del libro non cresce, ma neppure crolla come si nota da questo grafico costruito con i dati di PwC. È un buon segno. La via crucis della musica sembra per ora scongiurata.
Inoltre c’è la crisi dell’editoria libraria nel suo complesso che segue in copia carbone quella dei giornali: la diminuzione delle vendite di libri non è compensata da un’uguale crescita degli ebook, anche per colpa degli editori stessi che, ahimè, stanno facendo l’errore contrario degli editori dei quotidiani. Quest’ultimi si sono buttati sulla via del non ritorno del tutto gratis in rete, gli editori di libri stanno cercando di presidiare un regime di prezzi che impedisce lo sviluppo del mercato e tiene gli ebook in uno stato di minorità, anche se gli ebook nel 2017 diventeranno negli USA la prima fonte di guadagno per chi lavora in questo settore. Succede così che, nel suo complesso, il mercato indietreggia anno dopo anno. Nel 2013 nel Regno Unito il volume totale di vendite di libri si è contratto del 10% rispetto al 2012 (già in calo), quello degli ebook è cresciuto del 7,5%, ma a conti fatti il mercato del libro si è ristretto del 4%. Gli scrittori operano in un settore economico calante. Alla musica ci sono voluti 12 anni per tornare a crescere, ma adesso è la metà di quella che era.
Un fenomeno ancora più preoccupante, seppure meno percettibile ma drammaticamente infausto, è la mancanza di capitali di rischio. Senza di questi non si va da nessuna parte. Gli investitori tendono a fuggire dall’editoria cartacea come dall’eruzione di un vulcano e premono sui grandi conglomerati media perché tutta l’area bruciata dall’eruzione (quotidiani, periodici, case editrici librarie, librerie) sia staccata dal business buono, che è quello della televisione, e lasciata a se stessa con una logica del “si salvi chi può”. Negli USA, tutti i grandi conglomerati media da News Corp a Time Warner, da Gannet Co. a Tribune Company hanno già portato a termine lo scorporo delle attività problematiche della carta stampata. Qualcosa sopravviverà, ma tutta quest’area, che è stata la grande protagonista dell’epoca dei mass media, si trasformerà in un business di nicchia.
La ripresa economica potrà aiutare un po’ il mercato a cui si rivolgono gli scrittori, ma è in azione, purtroppo, un fenomeno più strutturale che riguarda proprio il valore di mercato della scrittura in sé. Naturalmente è la rete e la diffusione del consumo dei contenuti sui dispositivi mobili che è alla base di questo processo erosivo e, allo stesso tempo, ricostruttivo di questa professione.
Cause strutturali
Come ci dicono i dati dell’ALCS, la scrittura è un servizio che tende a non generare più valore in sé o a generarne uno basso, salvo poche eclatanti eccezioni. Non è che la scrittura sia finita, tutt’altro. Si sta riposizionando. Si intuisce che sta diventando una sorta di attività ancillare. Serve per arrivare a qualcosa di altro che, invece, può avere un valore di mercato largamente superiore. La scrittura è una delle leve più potenti per istaurare una reputazione e una notorietà. Sappiamo per certo che reputazione, notorietà e seguito, queste sì, aprono le porte al business il quale può esprimersi in varie forme e arrivare tramite canali impensati. Come dice il capo degli editori francesi, i libri sono ancora oggi il primo mattone della formazione della cultura e della personalità di un individuo. Lo stesso Larry Page si è spinto a dire che pure il suo Google non avrà mai la conoscenza cumulata che è nei libri! Come potrebbe? L’ambizione degli innovatori della Silicon Valley è senza limiti.
Nuovi media? Economia a margine zero? Da dove arriveranno i soldi per gli scrittori? Si può dire il peggio dei nuovi media come fa Jonathan Franzen, ma è innegabile che attraverso la rete lo scrittore può raggiungere un pubblico enorme, un pubblico consumatore vorace di contenuti. In altre parole la rete ha costruito una domanda immensa, come non è mai esistita, ma i soggetti che compongono questa domanda sono raggiungibili dallo scrittore sempre meno attraverso una transazione commerciale diretta, nel senso classico di fornitore-cliente pagante. I consumatori di contenuti sui nuovi media vogliono entrare gratis nel circo per assistere allo spettacolo. “Dovrebbe essere Will Self a pagarci per leggere le sue sciocchezze”, scrive sul “Guardian” un lettore in un commento un po’ cattivo rivolto allo scrittore inglese. A parte la maleducazione che è comunque di casa sulla rete, questo è un po’ il mood del lettore 2.0.
Something for Nothing Economy
Perché, verrebbe da chiedersi, questo pubblico non si può più raggiungere con una diretta e sana transazione commerciale e invece bisogna innescare un meccanismo di compensazione indiretto e tortuoso. Per via dell’abbondanza di scrittura a disposizione del pubblico a costo zero. Contro il costo zero non ci può essere partita alcuna. Peggio, questo stato di cose, in cui non c’è più scarsità d’offerta ma sovrabbondanza e disponibilità illimitata, s’innalza enormemente l’aspettativa del consumatore verso il contenuto a pagamento che deve essere davvero speciale.
Possiamo dare davvero il benvenuto agli scrittori nell’Economia del Qualcosa per Niente, l’economia a margine zero. Ma non preoccupiamoci, in questo nuovo stato economico continueremo ad arricchirci. State calmi e fidatevi, se potete.
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