Si chiamano Sclopìt, radic di mont, bruscandoli, sambuco, tarassaco e asparagi selvatici: sono solo alcune delle varietà che fioriscono in questa stagione in Friuli Venezia Giulia, erbe e radici che si possono cogliere nei prati stabili, in pianura e lungo i fiumi dai monti alla laguna attraversando Carso, erbe dalle proprietà medicamentose e salutari eccezionali, ma sono anche ingredienti elettivi protagonisti dei piatti che in questo periodo offre la tradizione culinaria del territorio in questo periodo dell’anno. E, non da ultimo, visto chi si parla di salute e benessere possono offrire lo spunto per salutari passeggiate per conoscere le ricchezze del Friuli-Venezia Giulia e qualche angolo ancora inesplorato del territorio.
Nei ricettari della tradizione, dalle colline carsiche lungo tutto l’arco alpino alle Dolomiti Friulane passando per la laguna e le campagne della pianura, le erbe spontanee sono diventate addirittura protagoniste delle creazioni di molti chef – anche stellati – della regione per ravioli, frittate, risotti, piatti di carne e di selvaggina. Così come i grandi cuochi, anche i semplici amanti della cucina possono approfittare delle belle giornate primaverili per andare alla ricerca di silene, bruscandoli, del dente di leone (più comunemente conosciuto come tarassaco), della ruta, dell’ortica, della menta selvatica, del finocchietto selvatico, del radic di mont.
Un incredibile varietà di erbe e radici benefiche per l’organismo e ottime in cucina
Le passeggiate consigliate vanno dai sentieri del Carso, sia triestino che goriziano, alle vallate della Carnia, del Tarvisiano e delle Dolomiti Friulane, alle strade delle Valli del Natisone per andare a ricercare la natura e i prati anche nei territori del pordenonese, ricchi di risorgive, così come quelli della bassa pianura friulana. In generale, moltissimi angoli della natura incontaminata della regione offrono risorse infinite in termini di vegetazione spontanea: basta passeggiare in un prato di campagna del Medio Friuli o sugli argini golenali per imbattersi nelle diverse piante spontanee. Acetosa (diuretica e antinfiammatoria), acetosella, melissa, malva, (diuretica e antinfiammatoria), achillea (utile per le emorroidi e vene varicose), piantaggine (antianemica e antiemorragica), borraggine (disintossicante e utile nelle flebiti), crescione dei prati, le rosole (papavero selvatico), e ancora erba cipollina, aglina e alliaria, accanto all’aglio orsino.
Come conservare sotto olio il radicchio dell’orso
Sempre nei prati della Carnia si trova il levistico, o sedano montagna. Con il nome di radicchio dell’orso, radìc di mont, o anche radìc dal glaz, si intende la Cicerbita alpina, una pianta selvatica simile al tarassaco i cui germogli si possono raccogliere sui pascoli di montagna, soprattutto sulle Alpi tra i 1000 e i 2200 m s.l.m. quando si sciolgono le nevi. È possibile trovarla anche sugli Appennini settentrionali, ma molto più raramente.
Nell’area dell’Adamello si chiama radicchio dell’orso, perché essendo il primo germoglio a crescere in tarda primavera, si diceva fosse il primo ad essere mangiato dall’orso al suo risveglio dal letargo.
Il sapore ricorda, soprattutto se consumato crudo, quello dei radicchi in particolare quelli selvatici, ma con una nota amarognola caratteristica che rivela un elevato contenuto di benefiche sostanze amare, quali i composti fenolici e i lattoni sesquiterpenici: antiossidanti di grande valore salutistico.
Anticamente le genti di montagna lo conservavano nei tronchi di legno, sotto salamoia.
Oggi è comune la conservazione sottolio, dopo una scottatura in acqua e aceto, alla quale segue l’immersione dei radicchi in olio di oliva o di semi, con l’aggiunta di aglio e altre spezie ed erbe aromatiche. Si mangia anche crudo, oppure fresco nelle insalate.
Non è facile da coltivare e negli ultimi anni la raccolta, un tempo praticata solo per autoconsumo, si è intensificata, ed è sottoposta a limiti giornalieri (da 1 a 2 kg al giorno secondo le regioni). Il suo habitat e il tempo di raccolta sono molto limitati – 2/3 settimane – anche se non è forte rischio di estinzione come in Scozia.
La ricetta per conservare sottolio il radìc dal glaz
Nel libro “Vecchia e nuova cucina di Carnia” pubblicato da Gianni Cosetti per i tipi della Società Editoriale Ergon di Ronchi si propone la seguente ricetta:
In una pentola portare ad ebollizione un litro di vino bianco e 5 dl di aceto salati ed aromatizzati con mezza stecca di cannella e 5 chiodi di garofano. Quindi immergervi i germogli (un chilo) ben mondati e lavati; appena riprende il bollore, scolarli e porli ad asciugare per 12 ore in un panno.
Sistemarli quindi in un vaso a chiusura ermetica ricoperti con l’olio (ne occorre mezzo litro) per poi conservarli in frigorifero.
Se invece si prediligono passeggiate “cittadine”, nella sola provincia di Gorizia ci sono 19 generi ammessi alla raccolta fra cui, quelli più gettonati, i germogli di luppolo (urtissoni o bruscandoli), l’asparago selvatico (aspargina), il sambuco. Dei sentieri più ricercati per le raccolte molti costeggiano l’Isonzo, percorrendo le rive verso il confine con la Slovenia. Luoghi di passeggiata, a suo tempo, amati anche dai nobili asburgici in villeggiatura in quella che definivano “la meta turistica prediletta per il clima mite e la sua tranquillità”, ma non mancano nei prati nel resto della regione.
L’erba spontanea più famosa fra i bambini (e nelle cucine delle nonne) è la silene (Silene vulgaris) o sclopìt, temine che deriva dall’usanza di schiacciare i suoi fiori sul dorso della mano per provocare il rumore di uno scoppio. L’erba si trova in terreni incolti, in prati stabili e nelle differenti aree della regione viene appellata con i termini di grisòl, sclopìt, s’ciopeti o carleti.
Infine, il tarassaco. Con i suoi fiori (dal giallo intensissimo) si può ricavare un “finto miele” o “miele dei poveri” che può essere utilizzato per glassare omelette creando così una versione “mitteleuropea” dello sciroppo d’acero.
A maggio inoltrato ci si imbatte nella salicornia, l’asparago di mare. Non si tratta di un’alga ma è sicuramente la pianta che si porta nel gusto tutta la salinità del mare. Si raccoglie nelle zone lagunari di Grado e Marano o nelle isolette che emergono dall’acqua, ottima come accompagnamento al pesce, sbollentata o fritta e condita a piacere.