Non sembra chiudersi in bellezza il semestre Rai: oggi i giornalisti delle testate e delle reti Rai sono in sciopero per protestare contro la mancanza di un piano sull’informazione del Servizio Pubblico e per il mancato coinvolgimento nelle scelte operate dal vertice aziendale relative al taglio delle edizioni notturne della TgR e di Rai Sport.
La partita però è molto più complessa e non si limita alle sole rivendicazioni sindacali ma investe tutto il perimetro dei problemi Rai che si dovranno affrontare nel suo prossimo futuro. In ballo ci sono anzitutto le risorse pubblicitarie che potrebbero scarseggiare sempre più (vedi pure il recente Dl 288 deliberato a seguito delle disposizioni di Bruxelles per adeguare il nuovo TUSMAR), poi gli ascolti che sono in progressiva e inesorabile riduzione in tutta la platea televisiva (la presidente Marinella Soldi ha parlato di circa 2 milioni in meno rispetto allo scorso anno) e, infine, nell’assetto normativo prossimo ad essere modificato sia per quanto riguarda le otto proposte di riforma della governance attualmente in discussione in Parlamento, sia per quanto riguarda il rinnovo del Contratto di Servizio in scadenza il prossimo anno. Tutto questo nel contesto del completamento della transizione al DVB-T2 che proprio nel prossimo anno si dovrà avviare a conclusione.
Per comprendere bene il senso di questa iniziativa dei giornalisti Usigrai è necessario anzitutto fare un passo indietro e risalire almeno a luglio del 2018, quando venne insediato il precedente Consiglio di Amministrazione di Viale Mazzini presieduto da Marcello Foa e AD Fabrizio Salini. Pochi mesi dopo il loro arrivo al vertice dell’Azienda venne approvato il Piano industriale 2018-21 con i suoi 5 materiali di supporto, uno dei quali era il “Piano per l’informazione Rai – Allegato 4”. I due documenti costituivano (e in parte lo sono tutt’ora) una proposta organica di rinnovamento ed evoluzione della Rai verso il cosiddetto modello di “media company” dove l’area “informazione” rivestiva un fattore decisivo per consentire alla Rai di rimanere competitiva su un mercato sempre più ristretto e aggredito dalla presenza di nuovi operatori/piattaforme, in continua evoluzione tecnologica e un pubblico sempre più fluido e mutevole nei consumi e comportamenti. Sia il Piano industriale che quello sull’informazione non hanno avuto grande fortuna: il primo (come abbiamo pure già scritto su FIRSTonline) era anzitutto tanto ambizioso quanto poco supportato da risorse adeguate a sostenerlo e, inoltre, ha poi dovuto fare i conti con l’arrivo della pandemia che ha costretto il Cda a sospenderlo a febbraio dello scorso anno. Successivamente, con l’arrivo di Carlo Fuortes come Ad, è stato in parte ripreso con l’adozione di un nuovo modello organizzativo.
Tutt’altra sorte invece ha avuto il Piano per l’informazione che non solo non ha mai visto la luce ma non è stato mai nemmeno oggetto di riflessione e dibattito. Un destino analogo lo ebbe il cosiddetto “piano Verdelli” (dal nome del giornalista chiamato nel 2016 dall’ex DG Antonio Campo Dall’Orto e nominato Direttore dell’Offerta informativa) che non appena resosi conto delle difficoltà a mettere mano in modo organico e coordinato a tutto il perimetro dell’informazione Rai abbandonò il campo e con lui terminarono tutti i buoni propositi di “newsroom” e di “media company”. Il piano di Verdelli prevedeva: 1) la riduzione delle edizioni dei telegiornali (come peraltro previsto dal Contratto di Servizio tutt’ora in vigore); 2) la definizione puntuale della missione editoriale dei Tg; 3) la creazione di una “Newsroom Italia” dove far confluire l’attuale RaiNews24 e parte dell’informazione regionale; 4) il varo del nuovo sito Web “Rai24”.
Per chiudere il cerchio è opportuno ricordare poi una mozione della Vigilanza del novembre 2019 dove si “invita” la Rai a “precisare i tempi e le modalità dell’integrazione di RaiNews24, TGR, Rainews.it e Televideo in un’unica testata multipiattaforma operante in una Newsroom unica”. Tutta lettera morta finita nel dimenticatoio.
Ed è proprio in questi termini che si arriva al cuore del confronto di oggi laddove si coglie esattamente la mancanza totale di un progetto organico e innovativo di tutta l’offerta informativa del servizio pubblico che parte dalle testate televisive e radiofonica per finire al Web (proprio ieri è stato varato il restyling editoriale e grafico del sito Rainews.it)
La pietra angolare di questa inedita stagione per il nuovo corso dell’Ad è stata posta recentemente in una audizione in Commissione di Vigilanza quando Fuortes ha annunciato a sorpresa che a partire dai primi giorni di gennaio avrebbe tagliato l’edizione di mezzanotte della TgR (durata 4,5 minuti con un costo di circa 5 milioni e un ascolto medio da prefisso telefonico). Apriti cielo: un coro di proteste da parte di chi riteneva che questa iniziativa andasse a toccare delicati equilibri nell’informazione regionale e nonché posti di lavoro.
Lo scontro si è focalizzato in termini di costo/resa per audience e si è circoscritto, per ora, alle sole edizioni citate di TgR e Rai Sport mentre non si è toccato nulla su tutto il resto. Attenzione: per “tutto il resto” si intende non solo le testate ma anche la nuova riorganizzazione per “generi” dove il tema “informazione” ovvero “approfondimento” la cui direzione è stata recentemente affidata a Mario Orfeo, ex direttore del Tg1 e DG Rai, che ora dovrà fare salti mortali per chiarire bene il suo ruolo e le competenze rispetto a quanto invece potranno/dovranno fare le testate giornalistiche.
Ma di cosa si compone l’universo dei vari Tg, Gr, RaiNews24, Rai Sport etc e quanto “pesano” i giornalisti che ci lavorano? Dai dati in nostro possesso risulta che nelle otto testate i numeri sono così ripartiti:
Tg1: 144 giornalisti dei quali 29 dirigenti
Tg2: 139 giornalisti dei quali 27 dirigenti
Tg3: 118 giornalisti dei quali 30 dirigenti
TgR: 766 giornalisti dei quali 52 dirigenti
Gr Radio: 229 giornalisti dei quali 42 dirigenti
Rai News: 230 giornalisti dei quali 40 dirigenti
Rai Parlamento: 42 giornalisti dei quali 11 dirigenti
Rai Sport: 116 giornalisti dei quali 23 dirigenti
Per un totale di 1.784 giornalisti dei quali 254 dirigenti. Il costo medio nel 2019 è stato di circa 143.000 euro procapite (fonte Rai) mentre il consuntivo del “mondo Rai” per le News nel 2018 (ultimi dati disponibili) è stato di circa 320 milioni (escluso Rai Sport e Gr).
Leggiamo una valutazione di Francesco Siliato – Studio Frasi su dati elaborati in termini di “genere informazione” secondo la classificazione Nielsen nel periodo ottobre-dicembre 2021 sul totale “individui”. Le tre reti Rai hanno una audience media di circa 1.072.000 (share 10,4%, 4300 puntate e durata 109.000 min.) a fronte di Mediaset che, nello stesso periodo ha avuto 1.091.377 di audience (share 8,56%, 2.691 puntate e durata 56.242 min).
Infine, vale la pena ricordare che la Rai è l’unico Servizio Pubblico in Europa dove vanno in onda tre telegiornali a fronte di uno in Gran Bretagna e Francia e due in Germania.
Conclusione: potrebbero avere buone ragioni i giornalisti Rai a sostenere che sia necessario un progetto complessivo di riordino di tutta l’offerta informativa del Servizio Pubblico e che porre mano un pezzo alla volta (peraltro poco rilevanti) può avere poco significato e scarso impatto sui conti dell’Azienda che invece rimane il focus dei problemi. Come pure una materia del genere non dovrebbe essere conseguenza di azioni che non siano frutto di un vasto dibattito e coinvolgimento di tutti i soggetti sociali e culturali direttamente interessati che non sono solo i giornalisti. Per il nuovo vertice Rai il nuovo anno si presenta “alquanto problematico e diciamo un eufemismo…” come ci ha sintetizzato una nostre fonte qualificata di Viale Mazzini, senza contare che il quadro politico prossimo ad entrare in una fase di elevata fibrillazione potrebbe rendere i problemi citati ancora più rilevanti.