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Scioperi selvaggi e servizi pubblici: nuove regole o precettazione

Secondo il Garante per gli scioperi, il professor Santoro Passarelli, l’astensione dal lavoro nel settore trasporti di venerdì 16 giugno è legittimo. Ed è proprio la constatazione che sono state rispettate le regole a rendere evidente il fatto che “queste regole non sono più ne adeguate né sufficienti”. Il principale elemento critico sarebbe la facilità con cui i sindacati minori, nel rispetto delle procedure, possono proclamare scioperi che paralizzano il paese.

Per la verità capita spesso che lavoratori non iscritti o addirittura iscritti delle grandi organizzazioni rispondano all’appello dei “sindacatini” riconoscendo loro una sorta di legittimazione “carsica”, occasionale ma non sempre marginale Questo fenomeno è la conseguenza e non la causa di scioperi “iniqui”, a partire dai servizi pubblici del trasporto che colpiscono il diritto alla mobilità,in particolare delle fasce meno abbienti della popolazione.

La causa principale che impedisce nell’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali la ricerca di un ragionevole equilibrio, non solo tra gli interessi del lavoro e quelli delle imprese ma anche il rispetto degli interessi dei cittadini, è il fatto di riconoscere lo sciopero come diritto esercitato individualmente (pur secondo le procedure e le modalità previste). Questa natura giuridica del diritto, tanto più se lo si considera “costituzionalmente protetto” moltiplica i soggetti che lo possono esercitare, essendo comunque garantito il pluralismo e la libertà di associazione sindacale, al di là della consistenza organizzativa.

Del resto oggi in Italia non solo è legittimo lo sciopero di un singolo lavoratore, ma la proclamazione di uno sciopero che interessa un grande centro metropolitano di fatto viene decisa da pochissimi dirigenti senza alcuna formale approvazione degli organismi direttivi del sindacato. Per questo occorre una forte volontà politica di cambiamento che sotto il profilo culturale, legislativo, contrattuale, oltre che nella giurisprudenza e nella dottrina, trasformi il diritto di sciopero da diritto esercitato individualmente in diritto esercitato collettivamente.

Allora si potrà davvero trasferire ai lavoratori a livello aziendale , di settore o di territorio, in primo luogo attraverso i propri rappresentanti democraticamente eletti , o laddove si ritenga inevitabile ricorrendo allo strumento referendario, la responsabilità e il potere di decidere uno sciopero, sempre rispettando le regole stabilite. In questo caso sarebbe allora applicabile facilmente un modello simile a quello tedesco del referendum e stabilendo come condizione l’adesione preventiva allo sciopero di una percentuale significativa dei lavoratori interessati.

In questo caso le conseguenze per i “sindacatini” o i “sindacatoni” che non rispettassero le regole sarebbero le sanzioni già attualmente previste mentre lo sciopero “illegittimo” di singoli lavoratori sarebbe sanzionato come assenza ingiustificata. Saremmo in questo caso di fronte ad una disciplina organica dell’esercizio del diritto di sciopero, esplicitamente indicata dall’articolo 40 della Costituzione che garantirebbe nello stesso tempo democraticità ed efficacia delle nuove norme .

In realtà sino ad oggi i limiti delle regole in vigore sono stati aggirati nei casi più difficili con la precettazione che non ha incontrato né resistenze significative né violazioni clamorose ma ha lasciato ai singoli prefetti la responsabilità di decidere.

Anche se la speranza è l’ultima a morire, dopo la grottesca vicenda dei vouchers pare difficile pensare ad una concreta iniziativa del Governo su questa materia. Sarebbe augurabile che , non solo le organizzazioni sindacali ma anche le forze politiche, in vista delle coalizioni che sembrano destinate a rinascere sulla base di “nuovi programmi” a cui stanno lavorando le figure più illustri dei partiti( sarebbe davvero utile che il giurista Pisapia partecipasse a questo dibattito) , offrissero al paese proposte chiare su un tema così importante per il paese.

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