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Schroders: perchè investire in Asia

La società di asset management globale quotata alla Borsa di Londra analizza il trend delle economie asiatiche, in costante crescita e sempre più interessanti sui mercati obbligazionari a medio termine – Ad oggi l’Asia è ancora sotto-rappresentata negli indici globali – Da qui al 2020 i tre Paesi che più miglioreranno il Pil sono Malesia, Cina e India.

Schroders: perchè investire in Asia

Crescita economica, solidità fiscale, affidabilità delle banche e riserve valutarie. Sono questi i principali motivi, secondo l’analisi di Schroders, società di asset management globale fondata nel 1804 e quotata presso la Borsa di Londra, per investire in Asia. Schroders ha 32 sedi in 25 Paesi, soprattutto della regione Asia-Pacifico, e gestisce un patrimonio complessivo di 328,7 miliardi di dollari a livello globale.

Di questa somma, 82,8 miliardi sono gestiti proprio nell’area Asia-Pacifico, di cui 17,3 miliardi in Giappone, 11,6 a Hong Kong, 8 in Cina e a Singapore, e ben 27,6 miliardi di dollari in Australia.

I motivi? Semplici. La crescita e l’affidabilità sempre maggiore dei mercati emergenti dell’Oriente non è più un segreto, ed è ancora più avvalorata da alcuni dati. Per esempio, la solidità fiscale: il saldo fiscale, in percentuale del Pil, nel 2011 vede solo due Paesi in positivo, che sono Hong Kong e la Corea del Sud, con il 2% circa. Leggermente al di sotto dello 0% ci sono Indonesia e Cina, mentre l’unico Paese europeo competitivo sotto questo aspetto è la Germania con il -1% (l’Italia è a -4%, la Francia a -6, per non parlare di Irlanda e Grecia oltre il -10%).

Inoltre questi Stati asiatici sono gli unici ad aver un debito pubblico lordo, in percentuale del Pil, inferiore o uguale al 50%: Hong Kong, Corea, Cina, Indonesia, Thailandia e Filippine, con Malesia e India leggermente al di sopra e solo il Giappone che vola oltre il 200%. La media dei Paesi occidentali è intorno al 100% rappresentato dagli Stati Uniti, mentre l’Italia arriva al 120%.

Il continente asiatico, escluso il Giappone che è un’economia molto più matura e già troppo esposta alla crisi del debito, è l’unico che può vantare previsioni di crescita del prodotto interno lordo positive da qui al 2013 (e già dal 2009, anno della crisi finanziaria globale): nel 2012 la media dell’area è intorno al +6,5%, mentre gli Usa cresceranno solo del 2%, il Giappone dell’1 e l’Europa addirittura decrescerà complessivamente dello 0,5% circa. Tiene testa l’America Latina con un +3,8%, ma le previsioni per il 2013 la tengono ferma al +4% mentre l’Asia-Pacifico secondo le stime di Thomson Reuters tornerà a viaggiare sopra il +7%.

Da qui al 2020, secondo i dai di HSBC, i tre Paesi che più miglioreranno il loro Pil sono nell’ordine Malesia, Cina e India, che vedranno anche, insieme a Turchia, Russia e Polonia, la maggiore crescita della ricchezza pro capite.

Ad oggi però l’Asia è ancora sotto rappresentata negli indici obbligazionari globali: stando ai dati di Bloomberg, solo l’8% dei titoli di debito pubblico in circolazione sono del continente orientale. Poco più del doppio del solo Regno Unito e un terzo di quello europeo. Nell’indice HSBC Asian Local Bond il Paese più rappresentato è la Corea con il 16,6% (rendimento decennale 3,77%), Singapore con il 14,9% (tasso 1,54%), l’Indonesia col 13% (tasso 5,34%) e Hong Kong con il 12,6% (rendimento a 10 anni all’1,32%).

Eppure l’universo obbligazionario asiatico è composto prevalentemente da Paesi con rating elevato: Singapore e Hong Kong sono tripla A per Standard & Poor’s, mentre Taiwan, Cina, Corea del Sud, Malesia e Thailandia sono in fascia A sia con S&P’s sia con Moody’s. E l’universo obbligazionario asiatico ha generato negli ultimi sette anni risultati particolarmente solidi, con rendimenti obbligazionari e valutari che dal 2005 sono in alcuni casi triplicati, come per Filippine e Indonesia.

Secondo Schroders, nell’intersecare i dati sulla crescita e le prospettive di investimenti nei mercati, il giudizio rimane positivo in un’ottica di medio termine, anche se l’incertezza globale richiede prudenza. In particolare, il trend negativo del dollaro Usa dovrebbe proseguire nel medio periodo, a causa dei problemi fiscali statunitensi, e la forte correlazione con i mercati azionari continua a rappresentare un rischio per le valute asiatiche. Tuttavia le prospettive dei settori bancari e corporate asiatici offrono segnali incoraggianti: le banche asiatiche sono meno vulnerabili alla riduzione della leva finanziaria delle banche europee, in quanto le ampie riserve in valuta estera offrono un ulteriore cuscinetto di protezione. Basti pensare che il tasso di sofferenza degli istituti di credito del continente, secondo i dati Barclays al dicembre 2011, raggiunge al massimo il 3% in Thailandia, mentre la Cina è all’1% e Hong Kong allo 0,5%. Per quanto riguarda invece gli emittenti corporate, sono generalmente caratterizzati da fondamentali stabili e da minori livelli di indebitamento.

In definitiva, secondo Schroders, “le valute asiatiche rimangono sostanzialmente sottovalutate – sostiene Rajeev De Mello, responsabile Reddito Fisso Asia -, tenuto conto del maggior vigore di queste economie. La crescita robusta e sostenibile trae impulso da dinamiche demografiche favorevoli, elevati livelli di produttività, solide finanze pubbliche e strumenti di politica macroeconomica efficaci. Le obbligazioni asiatiche dovrebbero poi beneficiare dell’inasprimento delle politiche monetarie delle banche centrali volto a contrastare l’inflazione e della domanda globale di emissioni obbligazionarie più sicure”. Senza contare inoltre che il divario di rendimento fra le obbligazioni asiatiche e quelle statunitensi, tedesche e nipponiche segna il picco degli ultimi cinque anni e che le obbligazioni corporate asiatiche rimangono interessanti e continuano a trarre sostegno da un contesto economico robusto, da bassi tassi di insolvenza e dalla generale prudenza del management delle aziende.

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