Siamo in piena pausa estiva e la sensazione che Keith Wade, Chief Economist and Strategist della Schroders – la nota società di risparmio gestito inglese, fondata nel 1804 e quotata al London Stock Exchange – fa capire tra le righe di una sua riflessione tecnica è che l’attività globale stia rallentando.
Infatti, dopo la rapida ripresa dell’attività economica nel 2017, con l’economia globale alla massima potenza, la crescita è stata leggermente meno sincronizzata nel 2018. L’attività ha tenuto negli Stati Uniti, che hanno registrato una crescita del Pil del 4,1% nel secondo trimestre, mentre in Asia e in Europa ha perso slancio: gli indicatori sull’attività nel breve termine restano stabili, gli indici PMI stanno resistendo sia nei mercati sviluppati sia in quelli emergenti, mentre l’indicatore di attività dei Paesi del G7 – elaborato dalla società inglese e che si occupa di combinare i sondaggi nazionali – segnala una crescita sostenibile.
Tuttavia, sono ben tre i fattori che potrebbero portare l’economia globale in stand by e sono i seguenti secondo Wade:
1. La Cina sta rallentando. Sebbene abbia registrato una crescita del Pil del 6,7% anno su anno nel secondo trimestre, i dati con frequenza più elevata indicano un rallentamento più pronunciato, come dimostrato per esempio dalle letture mensili su vendite al dettaglio, investimenti ed esportazioni nel secondo trimestre.
2. I prezzi delle commodity sono caduti. Dalla fine di giugno, le quotazioni del petrolio sono scese di circa 5 dollari al barile e i metalli industriali sono calati del 14% circa. Sebbene il petrolio meno caro possa aiutare ad alleviare le pressioni inflazionistiche, la caduta dei prezzi dei metalli indica una crescita più debole della produzione industriale. L’attuale livello dei prezzi indica che la produzione dei G7 rallenterà nei prossimi mesi.
3. Un dollaro più forte avrà un impatto sul livello di attività. Da metà aprile il dollaro, ponderato per il livello degli scambi, è salito quasi del 7%, inasprendo le condizioni finanziarie globali e creando pressioni sulla crescita degli scambi commerciali.
Questi fattori sono interconnessi: la Cina è uno dei principali consumatori di commodity, che tendono a subire pressioni nei periodi di forza del dollaro. Il fattore comune è l’effetto delle guerre commerciali. Ci sono evidenze che dimostrano che le società hanno aumentato gli ordini prima dell’aumento del 1° giugno dei dazi su acciaio e alluminio e prima dell’implementazione dei dazi tra Stati Uniti e Cina del 5 luglio. Ora che i dazi sono entrati in vigore, le società stanno tagliando gli acquisti e di conseguenza i prezzi delle commodity hanno attraversato un periodo di espansione seguito da uno di contrazione.
Dimostrazione evidente dell’impatto dei dazi è il brusco calo del numero di licenze per l’importazione dell’acciaio negli Stati Uniti. Le richieste hanno visto un’impennata prima dell’aumento dei dazi del 1° giugno, diminuendo bruscamente subito dopo. Una mossa del genere sembra perfettamente razionale per coloro che utilizzano l’acciaio e che vorrebbero evitare il dazio del 25% che Donald Trump ha imposto sulle importazioni. Tuttavia, ciò indica anche che la crescita degli scambi vedrà probabilmente un calo nei prossimi mesi, e di conseguenza anche l’attività industriale. Sul lato delle esportazioni, gli Stati Uniti dovrebbero vedere un calo nelle vendite di semi di soia, via via che i dazi cinesi avranno effetto.
Nel report Wade indica che si assisterà probabilmente a un rallentamento che può essere considerato una correzione, una pausa estiva appunto, piuttosto che una contrazione. L’economia statunitense appare solida. Sul lato dei consumi, la fiducia persiste e le spese stanno aumentando, in un contesto di forte crescita dell’occupazione, a sostegno dei redditi. Intanto, i tagli fiscali negli Usa continueranno a supportare la spesa delle famiglie e delle aziende. Ciò suggerisce che il rallentamento sarà temporaneo, dato che la domanda sottostante resta stabile.
Il rischio in queste previsioni è rappresentato dalle tensioni commerciali, che fanno vacillare la fiducia delle aziende. La notizia che gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno raggiunto un accordo (anche se solo a voce) è positiva, ma è notizia di oggi che le tensioni tra Washington e Pechino sono tutto tranne che calate.