X

Scarlett Johansson e l’imboscata allo streaming

Flickr

A proposito di user experience

In un saggio del 1981 dal titolo L’arte del cinematografo, Bruno Bettelheim, un gigante della psicoanalisi, ha paragonato l’esperienza del cinema a un’esperienza di tipo religioso.

Un po’ come una cerimonia sacra: si entra in un ambiente solenne, c’è un palcoscenico, si assiste a un rituale, c’è spiritualità. Si esce da questa esperienza meditativi, compassionevoli e alle volte trasognati. La sensazione dura poco, ma con un film può stare addosso di più, perché scatta il transfer.

Se seguiamo Bettelheim l’odierno rompicapo “ovunque? o in sala?” è un non-sense. Affinché il cinema sia, ci vuole la sala, il theatre, come si dice in America.

Ma non è di questo che voglio parlare. Se c’è qualcuno interessato al tema rimandiamo a un intervento di A.O. Scott, critico senior del “New York Times”.

A.O. Scott

I densi, poliedrici ed ermetici articoli di A.O. Scott mi hanno spinto nel 2002 a convincere, facilmente, i miei partner in MYmovies ad aprire una rubrica di rassegna stampa di critica cinematografica all’interno del sito da affiancare alle recensioni dei nostri critici (che avevano le loro belle fissazioni) e a quelle autopubblicate dai visitatori.

Questa rassegna raggiunse e ha tutt’oggi una copertura considerevole della stampa italiana ed estera ed ha permesso di costruire una valutazione dei film che fosse la mediana tra critica, pubblico e recensori interni. Un blend che all’epoca neppure IMDB poteva sognarsi di avere.

MYmovies ha sempre avuto i giudizi più neutrali sui film grazie al brillante algoritmo che Gianluca era riuscito ad elaborare su questo blend (big data ante-litteram).

Il successo di MYmovies si è basato su un principio semplice, molto “jobsiano”: su ogni contenuto costruire un servizio e su ogni servizio un nuovo contenuto. Tutto qua!

Olivia de Havilland, l’acqua cheta

Ricordate Via col Vento (1939), 4 ore di proiezione e 10 Oscar? Se Scarlett/Rossella era la ribelle e l’indomita protagonista, Melania era la insignificante e mite comprimaria – “quella pupattola”, come arriva a definirla Rossella.

In realtà c’è qualcosa di molto solido in Melania, tanto da convincere Ashley a preferirla alla più avvincente e squillante Rossella. Guardatevi questa scena memorabile. Melania è una stratega. Non è lei a introdurre in casa O’Hara Rhett Butler? Altro che “pupattola”!

Seppur più sofisticato di quello che appare, il personaggio di Melania segnò la carriera della de Havilland. Dopo Via col Vento, la Warner Bros. continuò ad assegnarle ruoli di comprimaria. Quelli da protagonista andavano ad altre attrici come la detestata sorella, Joan Fontaine.

Questa minorità artistica della de Havilland era addirittura formalizzata nel contratto con la Warner. Ma la de Havilland aveva gli attributi per affrontare gli omaccioni degli studios e reclamare il suo ruolo ad Hollywood, cioè quello di un’attrice protagonista, da Oscar, che in effetti vinse per quel ruolo nel 1947 e 1950.

No pasaran!

E così nel 1946 Olivia de Havilland fece una cosa che cambiò l’industria del cinema e mise fine alla strapotere degli studios. Portò in tribunale la Warner, vinse e stracciò il contratto che la penalizzava. Fu una rivoluzione, e non di celluloide, per lei e per tutto l’ambiente.

Fino a quel momento i creativi del cinema (registi, sceneggiatori, attori ecc.) erano una sorta di dipendenti degli studios, dei meri sottoposti (vedi Mank di David Fincher).

Dopo la clamorosa vittoria in tribunale di Olivia, i creativi divennero dei free-lancer e presero il posto di guida della loro carriera.

Anche sulla retribuzione cambiò tutto. Alla parte fissa del loro cachet si aggiunse una componente variabile calcolata sugli incassi del film al botteghino. Gli studios dovettero trattare. Pensate che sia stato facile trattare una testa calda come Marlon Brando?

No pasaran! #2

Allo stesso modo, Scarlett Johansson, la superstar di oggi, ha fatto causa alla Disney. La accusa di questo: Black Widow, dove lei è protagonista, è stato usato dalla Disney per portare le persone ad abbonarsi al servizio di streaming Disney+. La Disney – come la Warner e altri studios – sta rilasciando le novità sia nelle sale che in streaming. Viene meno così la finestra esclusiva di tre mesi che privilegiava il grande schermo. Bel problema!

La Disney vuole far contenti quelli di Wall Street. E questo si capisce. Un sacco di fondi pensione hanno le azioni Disney in pancia. A farne le spese, però, sarà proprio la Johansson, il cui bonus in coppa al cospicuo fisso di 20 milioni di dollari, è legato al risultato dell’incasso del film al botteghino e non su Disney+. La Johansson si è infuriata, vuole i danni, vuole cancellare la simultaneità d’uscita tra sale e streaming.

Succede che lo streaming sta facendo brandelli il modello economico di Hollywood a tutti i livelli e gli studios vogliono riprendere il controllo dell’industria.

Ce la farà la “Vedova Nera” a cambiare la storia come la de Havilland ha fatto mezzo secolo prima? Secondo il “Financial Times” la Johansson ha poche possibilità di portare gli streamer di Hollywood a reintrodurre la finestra di proiezione com’era prima della pandemia.

In bocca al lupo, Scarlett! A noi spettatori però va bene così: ci piace avere le novità subito in streaming. Vogliamo scegliere. E senz’altro preferiamo vedere i film in sala!

La supereroificazione di Hollywood

In un intrattenimento dominato dallo streaming su abbonamento non è possibile determinare un valore certo per un film, sul quale ritagliare il bonus delle star.

Inoltre non sono più le star a creare i blockbuster di oggi, ma sono i cosiddetti franchise. Ahimè, è proprio la supereroificazione, la marvelizzazione dell’industria del cinema a fare e disfare anche le star.

Warner e Netflix, che non hanno le miniere d’oro della Marvel o di Star Wars, sono più guardinghe e meno assertive della Disney. Camminano sulle uova, ma non vogliono romperle. Per ora compensano le star lautamente come se ogni film fosse un blockbuster.

Può reggere questo modello così costoso una volta che si è posato il polverone che avvolge l’industria cinematografica? Chi può dirlo? Una cosa è certa: “ce n’est qu’un début”, la miccia è accesa.

Related Post
Categories: Cultura