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Scandali, riforme e ministri in crisi: l’estate difficile di Macron

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Dieci punti di consenso persi da quando è presidente e una popolarità persino più bassa rispetto a quella del predecessore François Hollande nello stesso momento del mandato: è la rentrée più difficile per Emmanuel Macron, che non sfrutta l’effetto della vittoria della Francia ai Mondiali di calcio (che invece nel 1998 fruttò a Chirac un picco di gradimento al 67%) e tocca il punto più basso di consenso da maggio 2017, quando è stato eletto all’Eliseo con il 66% dei voti nel ballottaggio con Marine Le Pen. Al di là del risultato altisonante di quel secondo turno che lo consacrò presidente a soli 39 anni, la popolarità di Macron, misurata dai sondaggisti, non era mai andata oltre il 41%: oggi però è al 31%, cioè nemmeno un francese su tre è soddisfatto della sua condotta.

L’estate, Coppa del mondo a parte, ha inciso negativamente sull’immagine del leader di En Marche: nonostante la pausa vacanziera e un’economia che tutto sommato dà segnali di continuità nella ripresa, su Macron hanno pesato lo scandalo Benalla, il bodyguard personale sorpreso dalle tv a picchiare manifestanti in un paio di cortei e poi rimosso, e l’addio di due ministri, sintomo probabilmente di un malcontento crescente all’interno del governo. Anche la popolarità del premier Edouard Philippe è infatti precipitata al 40% e non è un caso che nel giro di una settimana si siano dimessi Nicolas Hulot, ministro dell’Ecologia e personaggio molto popolare in Francia, e l’ex campionessa di scherma e ministro dello Sport Laura Flessel. Non due dicasteri chiave, ma entrambi erano i due ministri della cosiddetta società civile, personalità molto amate Oltralpe che però hanno voltato le spalle al giovane presidente. Lo stesso ha fatto, proprio oggi, il portavoce Bruno Roger-Petit.

E ora, non bastasse, tornano sul tavolo i temi più scottanti. Settembre è storicamente un mese delicato e Macron lo sa bene, visto che l’anno scorso di questi tempi fu discussa e poi varata la Loi Travail, il Jobs Act alla francese che scatenò un’ondata di scioperi in tutta la Francia. Stavolta i dossier sono molteplici. Si parte dalla legge di Bilancio, con Parigi che ha sempre il problema di riportare il deficit al 2,3% del Pil. Poi tornerà a farsi ruvido lo scontro sull’Europa, con il presidente francese che, reduce da una dura battaglia con l’Italia a inizio estate sulla questione migranti, si è fatto carico di assumere i panni del leader dell’anti-populismo: non sarà facile, visto che quasi ovunque i populisti tengono o crescono, mentre figure alla Macron, equilibrate ma poco esposte politicamente, a quanto pare non convincono.

Decisive saranno in questo senso le Europee del 2019, ma prima l’inquilino dell’Eliseo dovrà risolvere alcune grane in casa: la riforma più attesa è quella delle pensioni, annunciata in campagna elettorale un anno e mezzo fa e ancora in stand by. Macron non vuole toccare l’età pensionabile (che in genere in Francia è ai 62 anni per la maggior parte delle categorie) ma introdurre un sistema a premi, che però non risulta ancora chiaro nelle modalità. Per questo è stato nominato un Alto commissario alla riforma delle pensioni, che entro poche settimane o al massimo mesi dovrà consegnare il progetto di legge. La promessa era di fare partire la riforma dal 2019.

Sul tavolo c’è anche il piano povertà: promesso un anno fa e non ancora realizzato, adesso è più che mai il momento di farlo. Si tratterà di un pacchetto che coinvolgerà lavoro, welfare, sanità, casa, formazione, tra sussidi e bonus di vario tipo. Da discutere anche l’assegno di disoccupazione, altra grande promessa della campagna elettorale, e un nuovo sistema di bonus malus per penalizzare le aziende che abusano dei contratti a tempo determinato. Tante cose, alcune delle quali si trascinano da mesi, e che adesso Macron è costretto ad affrontare velocemente e brillantemente, per non diventare il presidente meno amato dai francesi.

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