Le presidenziali del 2007, in Francia. Nicolas Sarkozy, alias il volto umano e moderno della destra europea, era capace allora di rompere dei tabù. Di parlare di flessibilità del lavoro, nel Paese del “posto sicuro” per eccellenza. Di invocare uno snellimento dell’amministrazione pubblica, nello Stato più burocratico d’Europa. Si fece addirittura portavoce di istanze ecologiste: una première per i neogollisti dell’Ump, il suo partito, dall’immagine rigida, antiquata.
Appena cinque anni fa. Ma sembra trascorsa un’epoca. Oggi che Sarkò si ritrova alle prese con la nuova campagna (siamo a due settimane dal primo turno), lo scenario è cambiato radicalmente. Ha perso l’audacia di una volta, perché ha mantenuto ben poche promesse. E la Francia di oggi, con una disoccupazione che sfiora il 10%, un deficit pubblico al 5,2% sul Pil a fine 2011 e una deindustrializzazione accelerata, anche a favore della Germania, non offre un granché di margini. Lui, Sarkozy, reagisce con le armi della demagogia. Da alcune settimane se la prende con gli immigrati (“Il modello sociale francese – ha dichiarato – non resisterebbe a nuovi afflussi di stranieri. A un certo momento dobbiamo dire, preoccupati dall’equilibrio dei conti della protezione sociale, che non possiamo accogliere tutti”). Dimenticando che il contributo netto degli extracomunitari allo Stato sociale è positivo: pagano di più di quanto ricevano. E per le pensioni e l’assistenza medica molto di più degli autoctoni. Sono loro a finanziare i prepensionati…
Demagogia, ancora demagogia. Quando finalmente ha presentato il suo programma economico, giovedì scorso, in forte ritardo rispetto al suo rivale, François Hollande, ha riscaldato una “zuppa precotta”, una serie di misure in realtà già annunciate o già varate dal suo Governo. L’unica, vera novità era l’anticipo al primo di ogni mese del pagamento della pensione invece dell’8, “per riparare a una vera ingiustizia”, dixit il nostro… Nei giorni precedenti, mentre gli Oat, i titoli di Stato francesi, se la portavano maluccio sui mercati, lui aveva già fatto qualche promessa “determinante”. Come la riduzione delle spese per ottenere la patente. O prevedere che i docenti possano lavorare più ore del previsto, in cambio di un sostanzioso aumento dello stipendio. Insomma, svolte epocali…
Giovedì Sarkozy ha anche sottolineato che “fra aumentare le tasse e ridurre la spesa pubblica, scelgo la seconda opzione”. Prevede un ritorno all’equilibrio nei conti pubblici nel 2016, al pari di Hollande. Ma l’Institut de l’enterprise, think thank di tendenza liberale, finanziato dai grandi gruppi francesi, in genere molto ben disposto nei confronti dei politici conservatori, se non contesta le cifre proposte dal candidato socialista, ha invece seri dubbi sulla sostenibilità del programma di Sarkozy. Punta il dito proprio contro le nuove misure annunciate in campagna elettorale, che da sole necessiterebbero un finanziamento supplementare di 12 miliardi entro il 2016. Che non si sa bene da dove vengano. E indipendentemente da quelle, 3,4 miliardi di entrate supplementari previste (40 in tutto) sempre entro il 2016 sarebbero “inesplicabili. E rappresenterebbero aumenti di imposte nascoste, non esplicitate al momento attuale”.
Detto tutto questo, non è per niente scontato che Sarkozy perda. Anzi, le ultime iniezioni demagogiche nel suo discorso ufficiale gli hanno fatto solo del bene. E’ risalito nei sondaggi, tanto che appare sempre più spesso in testa nella corsa, davanti a Hollande, al primo turno. Al secondo, però, per il momento è ancora il candidato socialista a prevalere, sebbene il divario fra i due si stia riducendo. I giochi sono aperti, perché numerosi rimangono coloro che per il momento non intendono andare a votare: gli astensionisti, il “primo partito di Francia”, come ormai viene definito. Secondo il più recente sondaggio di Ifop, uno degli istituti più affidabili, sarebbe il 32% dell’elettorato. Sono più numerosi nei ceti sociali più bassi e in particolare nelle periferie urbane. Insomma, i giovani delle banlieues. Che poco stanno ad ascoltare le proiezioni degli economisti. E non leggono le dettagliate analisi di Le Monde. Proprio lì, nelle periferie, Sarkozy, nel 2007, riuscì ad attirare numerosi elettori e a generare una svolta decisiva rispetto a Ségolène Royal nella corsa all’Eliseo.
Il suo recupero è in netto ritardo rispetto ad allora. Ma tutto è ancora possibile. Hollande, intanto, che vuole a tutti i costi presentarsi come il “serio” della situazione, l’uomo del rigore, distante dalla tradizione spendacciona della sinistra francese, quando fu al potere nel passato, esagera anche in questo senso, riducendo tutto ai tagli alla spesa pubblica, non parlando (anche lui, come Sarkozy) di alcune sfide importanti per il suo Paese, come quella della flessibilità del lavoro. Sul lato propositivo, le sue aspirazioni si riducono sempre più: prevedeva di investire otto miliardi nei “contrats de génération”, nuovi contratti nei quali i senior dovrebbero seguire in qualità di tutor i neoassunti (e la società pagherebbe molto meno di contributi sociali). Ma a forza di tagli per giustificare il rientro dal deficit pubblico, è già sceso nelle sue previsioni a quota due miliardi. Nel frattempo il rivale compensa a colpi di demagogia. E di cifre più o meno false. Due settimane sono ancora lunghe.