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Sanzioni Usa alla Cpi: ben 79 Paesi dell’Onu contro Trump, ma l’Italia non firma la lettera

Imagoeconomica

Le sanzioni decise dagli Stati Uniti contro la Corte Penale Internazionale (Cpi) hanno innescato una mobilitazione globale. Ben 79 Paesi delle Nazioni Unite (su 125) hanno firmato una dichiarazione congiunta per condannare il provvedimento voluto da Donald Trump, che prevede il congelamento dei beni dei giudici del tribunale dell’Aja e il divieto di ingresso negli Usa, esteso persino ai loro familiari. Tra i firmatari ci sono quasi tutti i principali Paesi europei, ma a spiccare, questa volta, è l’assenza dell’Italia. Roma ha scelto di non firmare, accodandosi di fatto alla linea americana.

Sanzioni Usa alla Corte penale: cosa è successo

Le sanzioni americane sono state introdotte come risposta al mandato d’arresto emesso dalla Cpi contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La Corte li accusa di crimini di guerra a Gaza, insieme al leader di Hamas Mohammed Deif. Secondo un documento trapelato dalla Casa Bianca, questo mandato sarebbe stato considerato da Trump una “vergognosa equiparazione morale” tra Israele e Hamas. Le sanzioni non solo colpiscono direttamente i giudici della Corte, ma potrebbero mettere a rischio le indagini attualmente in corso, compromettendo il funzionamento del sistema giudiziario internazionale.

In risposta, 79 Paesi hanno sottoscritto una dichiarazione che definisce la Cpi un’istituzione essenziale per garantire la responsabilità per i crimini più gravi e per tutelare le vittime. La lettera avverte che le sanzioni “comprometterebbero gravemente tutte le situazioni attualmente sotto inchiesta”, oltre a “minacciare lo stato di diritto internazionale” e “aumentare il rischio di impunità per i crimini più gravi”.

L’iniziativa della dichiarazione congiunta è stata guidata da un gruppo di cinque Paesi: Slovenia, Lussemburgo, Messico, Sierra Leone e Vanuatu. Tra i firmatari si trovano quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea, inclusi Germania, Francia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi e i Paesi nordici. L’Europa, come sottolineato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, “sarà sempre al fianco della giustizia e del diritto internazionale”. Ma, a quanto pare, con qualche distinguo eccellente che oggi, purtroppo, include l’Italia. Presenti anche il Regno Unito, il Canada e numerosi altri Stati occidentali e democratici. Non hanno aderito, oltre a Roma, Stati Uniti, Israele, Ungheria anche altri Paesi che non riconoscono la Corte, come Cina, Russia, India, Arabia Saudita e Turchia.

Italia controcorrente: perché il governo non ha firmato contro le sanzioni Usa alla Cpi?

La mancata adesione dell’Italia alla dichiarazione congiunta sorprende e fa discutere. Il nostro Paese, che fu tra i promotori della Corte Penale Internazionale con il Trattato di Roma del 1998, sembra oggi voltarle le spalle, evitando di condannare apertamente le decisioni di Washington. Ma perché?

Pochi giorni fa, la procura di Roma ha aperto un’inchiesta sul mancato arresto di Osama Almasri, un torturatore libico ricercato proprio dalla Cpi. Questo ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di figure di spicco del governo italiano, tra cui la premier Giorgia Meloni, i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Come se non bastasse, è emersa una denuncia presentata alla Cpi contro l’Italia da parte di un rifugiato libico per violazioni dei diritti umani.

Il governo italiano, però, non si è limitato a evitare la firma della lettera: giovedì, i vice-premier Antonio Tajani e Matteo Salvini hanno attaccato direttamente la Corte, auspicando un’inchiesta contro i suoi giudici. Questo atteggiamento ha sollevato critiche da parte dell’opposizione, che ha accusato il governo di danneggiare gravemente l’immagine della nazione e di compromettere i valori tradizionali italiani.

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