Ascoltando gli ultimi discorsi sulle sanzioni europee alla Russia si ha l’impressione di un déja vu. È vero nella storia certi temi tornano sempre, perché non c’è mai una soluzione definitiva come nella matematica.
Uno dei nostri maggiori storici, Giuliano Procacci, ha dedicato gli ultimi anni del suo lavoro storico a studiare i temi della pace e della guerra tra i due conflitti mondiali anche fuori dallo scenario strettamente europeo. In questo ambito ha dedicato un’attenzione particolare ai temi sviluppati dai movimenti pacifisti e al mondo arabo pre e post coloniale. Notevoli anche i suoi due saggi sui contenuti della manualistica scolastica La memoria controversa. Revisionismi, nazionalismi e fondamentalismi nei manuali di storia.
L’opera più conosciuta e citata dello storico bellunese è la Storia degli italiani (Laterza, 1968), che ha avuto moltissime traduzioni ed è per molti versi il libro canone fuori dall’Italia per la storia del nostro paese. goWare ha appena ripubblicato di Procacci un profilo di Giovanni Giolitti, dalla cui azione politica si possono ricavare molti insegnamenti utili per l’oggi.
Tornando ai parallelismi storici. Leggendo il resoconto di Procacci sull’assegnazione del Premio Nobel per la pace del 1933/34, vi ritroviamo, come teletrasportati, alcuni temi che ancor oggi infiammano il dibattito internazionale suscitato dall’aggressione russa all’Ucraina. Che cosa abbiamo imparato da due atroci guerre mondiali e dai feroci conflitti regionali combattuti tra le nazioni europee e sviluppatisi sul suolo europeo? Forse niente. È l’eterno ritorno della storia.
1933-1934, venti di guerra
Che cosa succede in questi due anni cruciali? La Germania nazista esce dalla Società delle Nazioni (SdN) e inizia a mettere mano a un programma titanico di riarmo senza fare mistero delle proprie mire espansionistiche (riunire i tedeschi, dopo la ingiusta sconfitta). La conferenza per il disarmo di Ginevra è ormai naufragata e rinviata sine die.
Anche il Giappone è uscito dalla SdN dopo avere invaso con un’azione militare efferata e impunita la Manciuria e, sottomessala, inizia ad avere appetiti sulla area indocinese.
La sicurezza collettiva di stampo wilsoniano è quindi in frantumi.
L’Italia di Mussolini sta mettendo gli occhi sull’Etiopia e in Spagna si sta acuendo lo scontro tra i socialisti, che hanno governato nel biennio rosso 1931-33, e i conservatori che sono tornati al potere e che lo lasceranno con la vittoria del Fronte popolare alle elezioni del 1936.
La grande depressione del ’29 sta ancora dispiegando i suoi spaventosi effetti, la produzione industriale negli Stati Uniti è al 60% del livello raggiunto nel 2029 e i francesi sono al 74%.
Le potenze occidentali sono pietrificate nella morsa tra crisi economica e crescendo dei fascismi e dei nazionalismi.
Eppure qualcosa sta iniziando a muoversi come dimostra il dibattito che porta all’assegnazione del premio Nobel per la pace del 1933-34. La cerimonia di premiazione dei due vincitori ha luogo il 10 dicembre 1934. Procacci ricostruisce in dettaglio il dibattito che si sviluppò in quella sede. Qui vi offriamo alcuni passi, editati, estratti dal suo libro sui premi Nobel e le guerre mondiali.
Le candidature al Nobel di Norman Angell e Arthur Henderson
Dopo i premi del 1930 e del 1931, il Nobel per la pace del 1932 non venne assegnato e quello del 1933 venne fatto slittare all’anno seguente; un silenzio che è difficile interpretare altrimenti che come un segno di incertezza e che non poteva perciò, per il prestigio del premio, durare a lungo. Le diverse strategie per prevenire una seconda guerra mondiale, la cui minaccia appariva ormai reale, già cominciavano a delinearsi e su di esse era necessario pronunciarsi.
Le due candidature più quotate [entrambe inglesi] erano quella di Arthur Henderson, autorevolissimo esponente laburista già ministro degli esteri con Mac Donald nel 1929 e ora presidente della conferenza per il disarmo di Ginevra, e quella di Norman Angell, l’autore della Grande Illusione,forse il libro più influente tra le due guerre insieme alla Conseguenze della pace di Keynes.
La scelta tra i due candidati non presentava però particolari difficoltà: entrambi appartenevano alla stessa area politica (anche Norman Angell aveva seduto ai Comuni dal 1929 al 1931 per il partito laburista) e i loro giudizi e le loro valutazioni sulla situazione internazionale non erano, a questa data, divergenti, anche se si iniziavano a vedere delle posizioni divaricanti rispetto alla politica da seguire nei confronti del venir meno della sicurezza collettiva.
La posizione di Henderson
Il punto di vista di Henderson [assegnatario del premio per il 1934], che muoveva dal riconoscimento della estrema gravità della situazione internazionale, respingeva nettamente l’ipotesi di un di un ritorno a una scelta di splendido isolamento o di alleanze militari.
L’una e l’altra tentazione andavano a suo giudizio respinte perché espressione di una scelta disperata che avrebbe significato una ricaduta in quella politica di equilibri tra alleanze rivali che aveva portato alla tragedia della prima guerra mondiale.
L’unica via praticabile rimaneva quella della “pooled security”, che aveva i suoi caposaldi nel sostegno a fondo del Covenant [la carta fondativa della Società delle Nazioni], nel patto Briand-Kellogg [il trattato multilaterale di rinuncia alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie tra nazioni, firmato a Parigi nel 1928] e nel disarmo, cominciando dall’aviazione e dalla marina.
La politica da seguire non poteva essere che quella di un ulteriore rafforzamento dell’autorità del Covenant, che rimaneva il perno di una politica estera di pace. A questo proposito Henderson si riferiva esplicitamente allo strumento delle sanzioni non escludendo, in casi estremi, il ricorso anche a quelle militari “limitate al minimo necessario”.
Questa misura non escludeva la possibilità che, una volta determinatosi un clima di fiducia e di disarmo, si potesse affrontare sulla base dell’articolo 19 del Covenant, il delicato problema della revisione dei trattati anche per ciò che concerneva talune frontiere. A tale proposito Henderson si diceva pronto a “ogni misura che attenui le difficoltà che sorgono nelle zone di popolazione di origine e razza miste”.
Quella di Henderson, come si vede, era una posizione non priva di sfumature e, anche, di ambiguità, che rifletteva del resto incertezze e uno stato d’animo di travaglio che si espresse anche nella sua azione come presidente della conferenza ginevrina sul disarmo, dimostrandosi incline a fare delle concessioni al punto di vista tedesco.
La sostanza era che non vi erano insomma alternative all’appeasement
La posizione di Angell
Norman Angell [assegnatario del premio per il 1933] assumeva come principale punto di riferimento la nuova edizione, proprio del 1933, della Grande Illusione [prima edizione 1909, in corso di ripubblicazione da parte di goWare]alla quale affidava le sue chances per il Nobel.
Nel primo anteguerra Angell si era dichiarato contrario a un coinvolgimento dell’Inghilterra nell’imbroglio continentale. Ora, però, non aveva difficoltà ad ammettere che la situazione era mutata e che di conseguenza una convinta politica di di sicurezza collettiva era la nuova strada da seguire.
Si era determinata – è questo un motivo ricorrente negli scritti di Angell di questi anni – una curiosa inversione dei ruoli, per cui coloro che erano stati a suo tempo partigiani dell’intervento inglese contro il prussianesimo, degli warmongers,erano divenuti sostenitori di una politica di isolamento, mentre coloro che, come lui, avevano sostenuto le ragioni del non intervento, erano ora persuasi della necessità di una strategia comune e concordata per prevenire la guerra. I falchi insomma erano divenuti delle colombe e i pacifisti era diventati dei bloody pacifists,dei maledetti pacifisti coperti di sangue.
Partendo dalla critica l’atteggiamento arrendevole che le grandi potenze e la stessa SdN avevano tenuto nei confronti dell’aggressione giapponese in Manciuria, Angell sarebbe giunto negli anni successivi, dopo l’Etiopia, alla campagna in difesa della quale egli partecipò attivamente, e dopo la Spagna [nel luglio del 1936 si ha il pronunciamento franchista cha avvia la Guerra civile spagnola], ad orientarsi verso una strategia di prevenzione del conflitto basata sull’alleanza tra Francia, Inghilterra e Russia sovietica.
La sostanza era quella, insomma, di lavorare per un’alleanza antifascista, anche militare, la le potenze democratiche e l’URSS.
Il caso dell’Etiopia
Come è noto, nel novembre 1935 il meccanismo della sicurezza collettiva caro a Henderson fu effettivamente messo alla prova e applicato nei confronti dell’Italia, riconosciuta come aggressore dell’Etiopia, ma è anche altrettanto noto che la sua applicazione fu timida e parziale [si decisero delle sanzioni, ma non l’embargo sul petrolio] e in quanto tale, sostanzialmente inefficace, come i fatti ampiamente dimostrarono.
Vi era dunque alla fine del 1935 materia sufficiente di riflessione e di ripensamento per la giuria del premio, ma anche quest’anno passò senza che venisse assegnato. Molti probabilmente ne furono sfavorevolmente colpiti, ma vi fu anche chi si compiacque.
Mussolini, pochi giorni dopo l’annuncio del rinvio del premio, espresse la sua soddisfazione per il fatto che “i dispensatori del premio Nobel non hanno voluto offendere l’umanità prendendo in considerazione i pompieri incendiari, né i commentatori dell’evangelo wilsoniano”.
Da Giuliano Procacci, I premi Nobel per la pace e le guerre mondiali. Nuova edizione con i discorsi dei premi Nobel, goWare, 2022, estratti dalle pp. 201-211