Inps, Governo e Parlamento lavorano per evitare che il Pil tagli le pensioni degli italiani. In una lettera che sarà inviata probabilmente oggi al Tesoro, l’Istituto di previdenza chiede un chiarimento sull’applicazione del meccanismo di calcolo introdotto nel 1995 dalla riforma Dini.
Il problema da risolvere è la rivalutazione negativa dei montanti contributivi (i capitali che i lavoratori hanno accumulato nel corso degli anni di attività), legata all’aggiornamento annuale del valore calcolato dall’Istat. Da quasi un ventennio, infatti, il montante viene rivalutato annualmente in base alla media della variazione del Pil italiano nei cinque anni precedenti (facendo riferimento ai dati Istat), a un tasso che si applica retroattivamente.
Il trend negativo registrato dal prodotto interno lordo italiano dallo scoppio della crisi, tuttavia, ha portato quest’anno per la prima volta il tasso di rivalutazione in territorio negativo (-0,1927%). Ciò significa che, applicando le regole oggi in vigore, i contributi versati e rivalutati fino al 31 dicembre 2013 non cresceranno affatto: al contrario, diminuiranno.
L’Inps dà per scontato che i futuri pensionati non vadano penalizzati, poiché il meccanismo della riforma Dini – concepito quando era impensabile una caduta del Pil così prolungata nel tempo – era nato con l’obiettivo opposto, ovvero di aiutare chi si ritira dal mondo del lavoro garantendo una rivalutazione dei contributi. Proprio oggi pomeriggio, in audizione al Senato, il commissario straordinario dell’Inps Tiziano Treu ha precisato che l’opinione dell’Inps sul calcolo delle pensioni con il sistema contributivo è “conforme con la lettera e lo spirito della legge che parla di rivalutare e non di svalutare” le pensioni. Per questo, ha aggiunto, non si può considerare che ci sia una svalutazione del montante contributivo legato al Pil negativo ma al massimo che il tasso di rivalutazione sia pari a zero. Treu ha fatto presente che anche la Consulta si è pronunciata nello stesso modo in un caso simile. E ha riferito che “il ministero del Lavoro darà una risposta ma, da quello che sentito, è d’accordo con noi” mentre il ministro dell’Economia “non si è ancora pronunciato”.
L’orientamento dell’Istituto è intanto condiviso dal vice ministro Enrico Morando: “Siamo immersi in una lunga fase di recessione. E’ chiaro che sarebbe semplicistico limitarsi a un’applicazione automatica del meccanismo, ma è ragionevole intervenire per impedire la svalutazione delle pensioni, cambiando le regole del gioco. Va posto il problema, ricordando che serve una grande cautela quando s’interviene sulle materie previdenziali. Occorre un atteggiamento volto a garantire stabilità nei conti, senza produrre terremoti”.
Morando ha ricordato poi che “in Svezia esiste un meccanismo analogo, ma il problema non si è mai posto perché non si è mai verificata una caduta economica simile alla nostra. È il Pil negativo che produce conseguenze negative sul sistema previdenziale. In questo quadro occorre azzerare l’impatto con un provvedimento legislativo. Non è accettabile una svalutazione, ma neanche si può pretendere una rivalutazione se il Pil è negativo”.
Un’apertura analoga è arrivata anche da Pier Paolo Baretta: “Va riaperta la discussione tecnica sui coefficienti alla luce dei cambiamenti avvenuti nel sistema previdenziale – ha detto il sottosegretario all’Economia –. Ma nel frattempo bisogna neutralizzare ogni effetto negativo sulle future pensioni dovuto al periodo di recessione. Non va dimenticato che il sistema contributivo si basa su un pilastro: la pensione deve corrispondere a quello che ciascuno ha versato”.
Sulla stessa linea Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera ed esponente Pd, che insieme alla collega di partito Maria Luisa Gnecchi ha presentato una proposta di legge per “sterilizzare l’impatto negativo del Pil sulle pensioni”. Il testo prevede che, dopo due anni consecutivi di recessione, l’indice di rivalutazione dei montanti contributivi sia calcolato sull’andamento del Pil nei cinque anni che hanno preceduto la flessione, anziché sul quinquennio immediatamente precedente all’anno di riferimento.
D’altra parte, il presidente della commissione bicamerale di vigilanza degli enti previdenziali, Lello Di Gioia (Psi), ha fatto sapere “ci si sta muovendo perché già in questa legge di Stabilità possa essere inserita la modifica alla modalità di calcolo del tasso annuo di capitalizzazione in modo che non possa diventare negativo”.
Ma non è finita. La politica dovrà rispondere anche alle richieste di varie Casse previdenziali di professionisti che vogliono garantire ai propri iscritti una rivalutazione. Esiste il precedente degli agrotecnici, che lo scorso 18 luglio hanno ottenuto un verdetto positivo da parte del Consiglio di Stato e ora possono applicare un tasso di rendimento minimo dell’1,5%, nonostante il parere contrario dei ministeri del Lavoro e dell’Economia. La stessa richiesta è stata avanzata dalle Casse dei consulenti del lavoro (Enpacl) e degli ingegneri (Inarcassa), mentre quelle di psicologi (Enpap) e periti industriali (Eppi) stanno ancora valutando l’opzione.