Le polemiche politiche sulla riforma del MES, meglio noto come fondo Salva-Stati hanno coinvolto l’opinione pubblica a tal punto che l’hashtag #StopMes è diventato virale sui social newtwork in più di un’occasione. Un fenomeno insolito dato l’argomento, tecnico ed economico, ma anche piuttosto comprensibile, considerata la tendenza di molti politici ad utilizzare la rabbia dei cittadini come arma per portare avanti le battaglie di partito.
Nessuno si è però preoccupato di spiegare davvero cosa sia questo fondo Salva-Stati, come funzioni, quali ripercussioni potrà avere sull’Italia e quali siano i pro e i contro della riforma che l’Unione Europea dovrebbe approvare all’unanimità – altrimenti non se ne fa niente – il prossimo 13 dicembre, giorno in cui è in programma il summit tra i capi di Stato e di Governo, cui parteciperà anche il Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, attualmente bloccato tra due fuochi. In pochi hanno cercato di far capire quali siano i motivi alla base delle schermaglie politiche interne alla maggioranza, diventate l’ennesima arma in mano alle opposizioni.
Cerchiamo dunque di fare chiarezza sul Mes.
FONDO SALVA-STATI (MES): CHE COS’È
Mes sta per Meccanismo Europeo di Stabilità, in inglese Esm (probabilmente l’avrete sentito chiamare anche così). Nasce nel 2012 per superare il Fondo Salva-Stati Efsf, a sua volta creato nel 2010 per cercare di affrontare la crisi del debito sovrano e andare in soccorso – in qualità di prestatore di ultima istanza – dei Paesi che a causa dei loro conti traballanti perdono la possibilità di finanziarsi sul mercato. Nel corso degli anni ne hanno infatti usufruito Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro, ricevendo complessivamente 254,5 miliardi di prestiti.
Questo fondo ha a disposizione un capitale pari a circa 700 miliardi di euro, il che lo rende la prima istituzione finanziaria mondiale. Attenzione però, perché in quest’ambito occorre fare una prima precisazione: questi soldi, diversamente da ciò che qualcuno vorrebbe far credere, non derivano solo dai contributi erogati annualmente dagli Stati Membri – che anzi hanno partecipato solo per 80 miliardi di euro -, ma sono stati racimolati sommando finanziamenti in capo ai fondi precedenti e investimenti effettuati sul mercato. Praticamente per l’88,6% del totale questo fondo si autofinanzia da solo.
Quanti soldi ha messo l’Italia? In totale 14 miliardi di euro, una cifra che rende il nostro Paese il terzo azionista del fondo (siamo anche la terza economia dell’Eurozona), preceduta da Francia e Germania.
FONDO SALVA-STATI (MES): COME FUNZIONA
Il Mes è controllato direttamente dai ministri delle Finanze dell’Eurogruppo (quindi oggi anche da Roberto Gualtieri). Stabilisce che gli Stati che chiedono soldi in prestito devono rispettare delle condizioni che spesso e volentieri si traducono in un programma di aggiustamento dei conti (piuttosto duro come dimostra chiaramente l’esperienza greca) e in un’analisi del loro debito pubblico effettuata dalla ormai nota Troika (Commissione Ue, Fmi e Bce) che svolge anche funzioni di controllo, ma che con la riforma uscirà di scena per lasciare spazio a istituzioni solo europee. I Paesi che ricevono l’assistenza del fondo Salva Stati non ottengono solo un prestito economico, ma tutta una serie di stimoli che possano aiutarli a risollevarsi: vengono comprati titoli di Stato sul mercato primario e secondario, vengono aperte delle linee di credito precauzionali, si partecipa alla ricapitalizzazione indiretta e indiretta degli istituti bancari più in difficoltà per evitare il “too big to fail”.
COSA PREVEDE LA RIFORMA DEL FONDO SALVA-STATI (MES)
Attualmente in sede Europea è in discussione una riforma del MES che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2024. Questi cambiamenti sono oggetto di negoziazione da quasi un anno, il che spunta una delle armi attualmente utilizzate dalla Lega per attaccare il Governo. Se è infatti vero che Il Premier Conte e il ministro delle Finanze, Roberto Gualtieri, si stanno occupando direttamente della vicenda, è altrettanto vero che la bozza di riforma del Mes è stata approvata dall’Eurogruppo lo scorso 14 giugno, quando il numero uno di via XX Settembre era Giovanni Tria e al Governo con il M5S c’era la Lega e non il Pd. Il Presidente del Consiglio ha anche precisato (con toni piuttosto aspri) che il Carroccio ha partecipato a ben 4 tavoli di Governo in cui si è discusso di questa riforma. Salvini ha risposto che il suo partito diceva di essere contrario.
Scopo delle nuove regole che l’Ue vorrebbe introdurre è quello di completare l’Unione bancaria, dopo decenni di lotte tra i vari Stati, e rafforzare l’Unione monetaria.
Al centro della riforma – e delle polemiche – c’è il cosiddetto backstop (che non c’entra niente con il meccanismo che da tre anni blocca la Brexit, ndr.), una funzione tramite la quale il fondo Salva-Stati dovrebbe diventare “il paracadute finale” delle banche. Traduciamo: quando una banca di uno Stato Membro è in crisi, per salvarsi può contare sui Fondi nazionali per le risoluzioni bancarie che sono finanziati tramite risorse delle banche stesse. Nei casi in cui il Fondo di Risoluzione impegnato nel salvataggio non abbia abbastanza soldi per evitare il default dell’istituto, i soldi che servono potranno essere chiesti al MES, il cui ruolo sarà rafforzato, in modo da evitare speculazioni finanziarie che possano acuire la crisi dei vari istituti e le loro ripercussioni sugli Stati. Con l’introduzione del backstop il MES non potrà più ricapitalizzare direttamente le banche in difficoltà (cosa che fino ad oggi non ha mai fatto, pur potendo), e saranno previsti dei cambiamenti per accedere alle linee di credito precauzionali: gli Stati dovranno firmare una lettera d’intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità, che – ricordiamolo – prevede un rapporto deficit-pil inferiore al 3% e un rapporto debito-pil inferiore al 60%.
Il fondo avrà anche la possibilità di fare da mediatore tra gli Stati e gli investitori privati nel caso in cui serva ristrutturare il debito pubblico. Se al MES arriva la richiesta d’aiuto di uno Stato, il fondo può – non deve ! – chiedere ai privati di partecipare al salvataggio, il che vuol dire ristrutturare il debito e determinare perdite secche per chi ha in pancia i titoli di Stato del Paese in questione. Non c’è però alcun obbligo né automatismo, aspetto che va sottolineato in virtù delle polemiche in atto.
Sono inoltre previsti – altro nodo importante – cambiamenti riguardanti le Clausole di azione collettiva (note come Cacs) nei casi in cui sia necessario procedere con la ristrutturazione del debito sovrano di un Paese. Le modifiche comportano che, già dal 2022, i titoli del debito pubblico di un Paese saranno soggetti a una Cac unica e non più doppia come oggi, sarà dunque più semplice avere l’ok degli azionisti per ristrutturare il debito sovrano.
FONDO SALVA STATI (MES): COSA C’È ALLA BASE DELLE POLEMICHE
Ci sono due polemiche parallele e legate tra loro che hanno però la stessa base: il debito pubblico. La prima, internazionale, vede contrapposti i Paesi del Nord Europa a quelli del Sud. In sostanza gli Stati nordici sono restii a partecipare a un meccanismo che consenta di prestare soldi ai Paesi meno virtuosi caratterizzati da un forte debito pubblico (come l’Italia), quelli del Sud invece vogliano evitare il ripetersi di condizioni che possano portarli a finire “come la Grecia”, ottenendo dei soldi in cambio di programmi economici che comportano conseguenze economiche durissime per la popolazione.
Sul fronte interno preoccupa proprio il fatto che il nostro elevatissimo debito pubblico possa costringere, in caso di bisogno, l’Italia a tagliare in modo prepotente il proprio debito. Repubblica sottolinea però che “per l’Italia la questione non si pone, perché una delle clausole per accedervi (al MES ndr.) è non avere squilibri eccessivi, e l’Italia è sotto monitoraggio Ue da anni per il debito”. Non solo, il timore è che queste regole spingano gli investitori internazionali a smettere di comprare i Btp di fronte alla prima incertezza sulla tenuta dei nostri conti proprio per paura che l’Italia possa eventualmente andare incontro ad una ristrutturazione del debito sovrano. E date le continue tensioni politiche interne, le possibilità che le preoccupazioni sul futuro del Paese si riaccendano non sono per nulla remote.
A causa delle tensioni interne al Governo, nelle ultime ore sta montando anche un’altra polemica relativa alle conseguenze del possibile passo indietro o dell’eventuale richiesta di rinvio del nostro Paese sulla firma della riforma. Come detto, i cambiamenti passeranno solo se votati all’unanimità e dunque il Sì dell’Italia è decisivo. Nei mesi scorsi, tra l’altro, era stata proprio l’Italia, insieme alla Spagna e alla Francia, a sostenere la riforma del Mes – backstop compreso – chiedendo ed ottenendo che la ristrutturazione del debito non fosse automatica (come volevano Germania e Olanda), ma opzionale. Se una volta ottenuto l’ok alla sua linea, il nostro Paese dovesse tirarsi indietro, secondo molti osservatori il rischio sarebbe quello di trovarsi in uno stato d’Isolamento che farebbe perdere forza all’Italia in sede europea in un periodo in cui si sta trattando sul bilancio dell’Eurozona e sullo schema di assicurazione dei depositi, quest’ultimo considerato fondamentale da Roma.
LE RASSICURAZIONI DI GUALTIERI
A cercare di placare gli animi è intervenuto il ministro delle Finanze: “Le condizioni per l’accesso di un paese ai prestiti del MES non sono cambiate, anzi, per una fattispecie specifica, sono state sia pur solo parzialmente alleggerite. Soprattutto è bene chiarire come la riforma del MES non introduca in nessun modo la necessità di ristrutturare preventivamente il debito per accedere al sostegno finanziario”.
Gualtieri ha inoltre chiarito che: “A proposito della riforma del Meccanismo europeo di stabilità si è ingenerata nel dibattito italiano molta confusione. L’Italia non ha avuto, non ha e non avrà bisogno dei prestiti MES: il debito italiano è sostenibile, ha una dinamica sotto controllo anche grazie alla politica fiscale prudente e a sostegno della crescita che il paese porta avanti”. Secondo lui, dunque per l’Italia non c’è nessun pericolo, anzi il Mes rappresenta “un potente elemento di stabilizzazione dei mercati finanziari e una difesa contro possibili crisi e deve pertanto essere considerato come un nostro alleato, non come un nemico”.
LA POSIZIONE DI BANKITALIA
Qualche giorno fa il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco aveva lanciato l’allarme: “I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default. Dovremmo tutti tenere a mente le terribili conseguenze dell’annuncio del coinvolgimento del settore privato nella risoluzione della crisi greca dopo il vertice di Deauville a fine 2010”.
Ieri, 21 novembre, fonti di Bankitalia hanno però smorzato i toni, facendo sapere che Via Nazionale non è a sfavore della riforma, ma ha voluto mettere in guardia sui possibili rischi, sottolineando che i cambiamenti non implicano nessuna ristrutturazione del debito e dunque che l’Italia e le sue banche (che possiedono 400 miliardi di titoli di Stato) possono dormire sonni tranquilli: “La riforma dell’Esm – dicono le fonti di Bankitalia – non prevede né annuncia un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani”. “Come nel trattato già in vigore non c’è scambio tra assistenza finanziaria e ristrutturazione del debito e anche la verifica della sostenibilità del debito prima della concessione degli aiuti è già prevista dal trattato vigente”.
FAVOREVOLI E CONTRARI
Il dibattito è accesso anche tra gli esperti. Ritportiamo due testimonianze emblematiche. A schierarsi a favore della riforma c’è Lorenzo Bini Smaghi, che sulle pagine del Corriere della Sera, sottolinea: “Il punto importante, che si stenta a capire nel dibattito italiano, è che la decisione del Mes di concedere o meno il sostegno finanziario a un paese, e a quali condizioni, dipende – nel nuovo come nel vecchio trattato – dalla volontà politica degli Stati membri creditori”.
“Il nuovo trattato – continua – prevede vari rafforzamenti del Mes, tra cui l’incremento delle risorse, anche per finanziare il Fondo di risoluzione unico europeo. Consente ai Paesi che rispettano il patto di Stabilità di ottenere un programma ‘precauzionale’, per evitare il contagio in caso di crisi sistemica. Il sostegno del Mes consente peraltro di accedere all’intervento illimitato della Banca centrale europea (Omt), con forte effetto stabilizzatore sui mercati”.
Contrario alla riforma è invece Carlo Cottarelli, su La Stampa si chiede: “Se gli investitori sanno che il fondo salva stati, quello che può intervenire in caso di problemi, chiederà probabilmente una ristrutturazione del nostro debito come condizione per un prestito, come pensate che si comportino? Smetterebbero di comprare titoli di stato al primo segnale di tensione”.