Stando a quanto si legge sui giornali, si ascolta nei talk show e si commenta sui social, la transazione graduale del comparto sanitario da un sistema in prevalenza pubblico a uno in prevalenza privato sembrerebbe la scelta più sensata. Necessaria per azzerare, o quantomeno ridurre al minimo le lunghe e improponibili liste di attesa, per essere curati in strutture migliori e all’avanguardia nel settore. E via discorrendo. Non si intravedono all’orizzonte valide opzioni alternative. Del resto i politici, in questi anni, ci hanno messo il carico da novanta con i continui tagli ai fondi destinati alla sanità pubblica e innescando, non si sa quanto consciamente, un circolo vizioso per cui «i servizi peggiorano, le condizioni in cui operano i sanitari diventano sempre più difficili e, inevitabilmente, i rischi di errori gravi aumentano». Come in aumento sono pure le denunce e le richieste di risarcimento contro, pressoché esclusivamente, i medici ospedalieri del comparto sanitario pubblico.
I medici, le Asl per cui lavorano e le Regioni possono tutelarsi stipulando polizze assicurative che coprano i rischi per errori, che purtroppo accadono. Tuttavia l’aumento esponenziale di denunce e richieste di risarcimento hanno reso il comparto molto poco appetibile per le compagnie assicuratrici, molte delle quali si sono ritrovate, nel tempo, anche a dover gestire, o tentare di farlo, ingenti perdite legate proprio alla responsabilità civile medica.
«A dimostrarlo bastano tre casi esemplari riportati dall’Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, ndr) nel suo dossier del 2014»:
* Lloyd’s di Londra che, nel 2012, ha dovuto immettere 10milioni di sterline – dei 30 richiesti a tutti i soci per l’aumento di capitale – nelle casse della Lloyd’s Market-form, in crisi di liquidità proprio per le perdite sul mercato italiano della responsabilità medica.
* Faro Assicurazioni, una piccola compagnia genovese cui avevano fatto ricorso molte Regioni e aziende ospedaliere d’Italia. «In poco tempo l’azienda è stata subissata da una mole ingestibile di richieste risarcitorie».
* La compagnia rumena Societatea de Asigurare-Reasigurare City Insurance S.A., gestita quasi per intero da italiani e che proprio in Italia vantava il 90 per cento dei contratti. «Una serie di indagini ha portato ad accertare la sua incapienza e, il 2 luglio 2012, l’Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, ndr) le ha proibito di stipulare nuove polizze nel nostro paese».
Ciò ha favorito la nascita di un nuovo fenomeno, «la cosiddetta autoassicurazione». La singola azienda ospedaliera o la Regione da cui essa dipende si fa carico del pagamento dei risarcimenti, «in pratica, una polveriera».
Secondo l’Ania, le principali cause dell’aumento del numero di denunce per malpractice e di risarcimento sarebbero tre:
* Una maggiore consapevolezza e attenzione dei pazienti alle cure ricevute, a volte anche favorita, soprattutto recentemente, da alcuni fornitori di servizi di gestione del contenzioso.
* Un deciso aumento degli importi dei risarcimenti riconosciuti dai tribunali.
* L’ampliamento dei diritti e dei casi da risarcire da parte della giurisprudenza.
Per migliorare la situazione l’Ania, in audizione alla Camera dei deputati nel 2013, ha avanzato tre proposte:
* Passare a un sistema in cui, per determinate casistiche di eventi, sia previsto un risarcimento, o meglio un indennizzo standardizzato, senza la ricerca e l’attribuzione della responsabilità.
* La rivisitazione del concetto di responsabilità attraverso l’introduzione di protocolli che esimano gli operatori dalla responsabilità se essi sono in grado di dimostrare di averli correttamente eseguiti, o attraverso una più precisa delimitazione del perimetro della responsabilità.
* Il contenimento del ricorso alla giustizia ordinaria tramite meccanismi alternativi di risoluzione del contenzioso e la disincentivazione delle richieste infondate.
Per Carraro e Quezel il metodo migliore per ridurre i rischi legati alla malpractice è dotare la sanità di più risorse e migliorare «le condizioni di lavoro degli addetti, fornendoli di mezzi adeguati e di occasioni più frequenti per aggiornare le loro conoscenze scientifiche e le loro competenze tecniche».
Del resto, se da un lato l’Ania teme sviluppi negativi conseguenti all’autoassicurazione di Asl e Regioni, dovuti in prevalenza all’inesperienza nel settore degli stessi, rispetto a una compagnia assicuratrice, dall’altro la stessa Ania che propone l’introduzione di rigidi protocolli dimostra la medesima scarsa conoscenza, in campo medico. La casistica cui vanno incontro quotidianamente medici, chirurghi e operatori sanitari è tale da renderle improponibile una simile opzione. Piuttosto necessita una maggiore diffusione e un costante aggiornamento delle linee guida scientifiche, già parzialmente in uso.
Le scelte della politica, «declinate in mille modi diversi e perversi» (dal blocco del turnover alla riduzione dei posti letti, dall’accorpamento degli ospedali all’aumento dei ticket, dal ritocco dei Lea – Livelli essenziali di assistenza – all’eliminazione dei servizi essenziali), sembrano «scientificamente concepite per agevolare il processo di destrutturalizzazione del sistema sanitario italiano». Francesco Carraro e Massimo Quezel sottolineano le due conseguenze di questa situazione:
* Gli italiani rinunciano a curarsi, non avendo risparmi sufficienti per farlo.
* Come in molti altri settori della vita quotidiana, anche in quello della salute il cittadino è costretto a fare un mutuo.
Nel 2017 gli istituti specializzati nel credito hanno erogato 400milioni di euro a pazienti costretti a indebitarsi per garantirsi le cure.
Non vi sono dubbi quindi che questo fenomeno ha generato «un business dai contorni appetibilissimi» per quelle stesse compagnie di assicurazione che stanno scappando dal campo della responsabilità civile medica. «La chiamano white economy».
Stando ai dati forniti dall’Ania, «tra il 2013 e il 2014 gli italiani hanno sborsato per le polizze malattia 2 miliardi di premi». Ma c’è un risvolto alquanto inquietante e a raccontarlo agli autori di Salute S.p.A. è proprio un broker assicurativo: «Le polizze sono concepite per pagare il meno possibile».
Parafrasando il motto molto in voga tra i banker della city londinese, come riporta il giornalista del «Guardian» Joris Luyendijk nel saggio Nuotare con gli squali. Il mio viaggio nel mondo dei banchieri: «It’s only Opm (other people’s money)», si potrebbe quasi affermare che i broker assicurativi operano seguendo il mantra: It’s only other people’s lives.
Salute S.p.A., il libro-inchiesta di Francesco Carraro e Massimo Quezel, edito in prima edizione da Chiarelettere a settembre 2018, è un testo molto articolato e analitico, che affronta il problema della malpractice nella sanità pubblica ma, soprattutto, ne indaga le cause. Molto interessanti le tre interviste, poste a conclusione del testo, a un broker assicurativo, a un liquidatore e a un medico legale, perché entrano nel vivo del discorso. Raccontano in concreto il nocciolo della questione. Del diritto alla salute, se è poi veramente ancora tale e se lo è mai davvero stato. Delle lacune della sanità pubblica. Delle carenze di quello che vorrebbe tanto porsi come “il secondo pilastro”, ovvero il comparto assicurativo ma di come, in realtà, questo difetti proprio, anche se non esclusivamente, in quello che è il cardine su cui si fonda e si regge la pubblica sanità: il principio mutualistico. Destrutturare il comparto sanitario pubblico a favore di quello privato significa, inesorabilmente, abbandonare detto principio. Se si ritiene la soluzione migliore la si può anche intraprendere in via definitiva purché lo si faccia con cognizione di causa e, soprattutto, informando correttamente i cittadini in merito.
Salute S.p.A. si rivela essere senz’altro una lettura interessante, non da ultimo perché invoglia alla riflessione su tematiche fondamentali date, troppo spesso e con troppa leggerezza, per scontate ormai. Un libro da leggere.
Bibliografia di riferimento
Salute S.p.A., Francesco Carraro, Massimo Quezel, Chiarelettere (prima edizione settembre 2018).
Biografia degli autori
Francesco Carraro, avvocato e scrittore, si occupa da anni di responsabilità civile, medica in particolare, e di azioni di risarcimento danni. È autore di “KrisiKo. La via d’uscita nel grande gioco della crisi” (con Vito Monaco) e di “Post scriptum. Tutta la verità sulla post verità”, entrambi pubblicati dalla casa editrice padovana Il Torchio.
Massimo Quezel, patrocinatore stragiudiziale, ha dedicato anni allo studio e alla formazione in materia di infortunistica, risarcimento danni e responsabilità professionale medica, con l’obiettivo di fare da controcanto allo strapotere delle assicurazioni. Nel 2001 ha fondato un network nazionale di studi di consulenza il cui obiettivo è tutelare i diritti dei danneggiati al fine di garantirgli la possibilità di ottenere il giusto risarcimento. È autore del libro “Assicurazione a delinquere” (Chiarelettere 2016).