Pietro Ichino, già parlamentare prima del Pci e del Pd e poi con Scelta Civica di Mario Monti, non è solo uno dei più apprezzati giuslavoristi italiani ma è anche un uomo coraggioso che non ha mai avuto paura di esprimere verità scomode. Lo ha fatto anche ieri in un’intervista sul Riformista, il giornale diretto da Matteo Renzi, con cui ha condiviso molte battaglie ma che non ha mancato di criticare quando riteneva che fosse giusto: per esempio sul salario minimo. Ichino aveva già ricordato in precedenza che il salario minimo legale era previsto dai decreti attuativi del Jobs Act, che è la riforma simbolo del renzismo che la Cgil di Landini e il Pd di Elly Schlein vorrebbero ora cancellare, e si era domandato perchè oggi Renzi non condivida l’idea di istituirlo per legge e preferisca, come la Cisl, arrivarci attraverso la contrattazione sindacale. Ma è proprio il Jobs Act a rinfrescare la memoria di Ichino che difende l’impianto della riforma renziana e poi ricorda con lucidità che già “la legge delega (sul Jobs Act) prevedeva l’istituzione del salario minimo per tutti i rapporti di lavoro non coperti da contratto collettivo nazionale nazionale. Se la delega non è stata attuata, è stato anche per l’opposizione della Cgil, che invece oggi rivendica la legge sul salario minimo”. Cambiare idea è lecito ma non cancellando la memoria. Bravo, professor Ichino.